Salta al contenuto principale

"9 marzo in difesa di Gaza (ma senza le bandierine)"


"Capitolo primo. Nei giorni scorsi per protesta contro l’eccidio in corso a Gaza un giovane militare dell’aeronautica statunitense di nome Aaron Bushell si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington al grido di “Palestina libera”.  È morto poco dopo. La notizia ha avuto scarsa eco sulla gran parte dei media italiani. Sempre pochi giorni fa a Gaza più di cento palestinesi affamati ed esausti sono morti sotto il fuoco dell’esercito israeliano e nella calca della disperazione. Ad oggi a Gaza si contano circa 30mila morti, di cui migliaia e migliaia di bambini e di donne, giornalisti, medici, personale delle Nazioni Uniti. I feriti sono circa 70mila. C’è il rischio da un giorno all’altro di un massacro di dimensioni inaudite a Rafah, al confine con l’Egitto, dove si sono rifugiati più di un milione di palestinesi in fuga.
Per distruggere Hamas, responsabile della orrenda mattanza del 7 ottobre, una formidabile potenza militare e tecnologica diventa sterminatrice di civili totalmente indifesi. Di guerre ne abbiamo viste tante, ma non abbiamo mai visto niente di simile.
Capitolo secondo. Le manganellate di Pisa (e di Firenze) non sono un unicum, perché precedute da altrettanti analoghi interventi in precedenti circostanze a Bologna, Napoli, Torino. Con tutta evidenza non si tratta del particolare zelo di questo o quel commissario, ma di precise indicazioni istituzionali (leggi: ministero dell’Interno) sul “nuovo modo” con cui presidiare le manifestazioni di piazza che esprimono posizioni sgradite all’attuale governo.
Questi due capitoli sono la ragione della grande manifestazione nazionale che un larghissimo numero di associazioni e di forze sociali ha promosso per il 9 marzo a Roma “per difendere il diritto e la libertà di manifestare, per il cessate il fuoco, impedire il genocidio, garantire assistenza umanitaria, liberare gli ostaggi e i prigionieri, la fine dell’occupazione, il riconoscimento della Palestina, una conferenza internazionale per la pace e la giustizia in Medio Oriente, in difesa del diritto di manifestare in Italia”.
Questa piattaforma politica è il punto di arrivo di una lunga serie di incontri, al fine di trovare un comun denominatore fra soggetti che legittimamente sottolineavano diversi accenti, e che andavano grosso modo da chi proponeva di limitarsi alla richiesta del cessate il fuoco a chi richiedeva di “fermare il genocidio”, implicitamente sostenendo che è il corso. Seppur sofferta, è stata individuata la soluzione più equilibrata con le parole “impedire il genocidio” (il che vuol dire che non c’è ancora, ma può esserci) raccogliendo così la preoccupazione della Corte Internazionale di Giustizia, che ha parlato di alto rischio di violazione della Convenzione contro il genocidio. Ma non soffermiamoci solo su questo: si tratta di fermare la continua, incoraggiata e spesso sanguinosa espansione dei coloni in Cisgiordania, di porre termine all’occupazione, di riconoscere lo Stato palestinese. Assieme, ci si contrappone a chi, sbagliando, invoca uno slogan come “Palestina dal fiume al mare” (cioè dal Giordano al Mediterraneo), il che vuol dire cancellare Israele, posizione speculare alla politica radicale dell’attuale governo israeliano che opera (con successo) verso la realizzazione dell’obiettivo di Israele dal fiume al mare, cioè nessuno Stato palestinese. Ricordo appena che in questi mesi scanditi dal massacro quotidiano di Gaza è stato energicamente contrastato, in particolare dall’ANPI nazionale, qualsiasi accostamento fra la pur sconvolgente strage in corso e la Shoah, perché gravemente sbagliato storicamente e politicamente.
Nella spaventosa tragedia in cui versa Gaza e nell’inquietante tornante in cui versa il nostro Paese ove si espandono politiche repressive da parte del governo Meloni, tutto ci vuole, tranne che bandierine, impuntamenti, personalismi, strumentali lacerazioni e tanto meno compiacenti interviste a quotidiani di estrema destra. Mai come oggi occorre equilibrio: ci aspetta un 25 aprile particolare, perché il 2024 è l’80° anniversario di fatti che hanno segnato la memoria, la storia e la vita del nostro Paese, dalle Fosse Ardeatine a Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Non solo: occorre contrastare qualsiasi possibile rischio di involuzione autoritaria. Condivido le preoccupazioni di personalità come Emanuele Fiano e Davide Romano: il tradizionale, grande corteo di Milano non deve fornire occasioni di polemiche; guai a noi se il 25 aprile ci si dividesse sulla tragedia palestinese e sul reciproco diritto all’esistenza ed alla sicurezza dei due popoli. Non deve avvenire e non avverrà. È l’ora della responsabilità".

Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale ANPI

(Su il Fatto quotidiano - p. 11 - del 5 marzo 2024)