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L'incerto referendum sul pareggio di bilancio

In corso la proposta di un referendum abrogativo della legge n. 243/12, attuativa del principio di pareggio del bilancio, ormai consacrato (a suo tempo, nel silenzio generale) nella stessa Carta Costituzionale (art. 81).

L'iniziativa, strutturata in modo da cercare di aggirare l'ostacolo del divieto costituzionale di promuovere referendum in tema di norme vigenti della Costituzione e di leggi di fisco e di bilancio, ha un incerto destino, perché non sono pochi coloro che dubitano della sua ammissibilità, nonostante l'accorgimento adottato; e già, in materia, vi sono scritti e saggi di notevole interesse, in un senso o nell'altro. Comunque vada a finire, però, l'iniziativa ha un merito, che è quello di esprimere con chiarezza l'avversione ad un sistema rigido di austerità, di assoluto rigore, di pareggi forzati e di vincoli troppo stringenti, che rischia di generare, sua volta (come già accade), effetti negativi sul piano del rilancio delle attività produttive, degli investimenti, delle misure per contrastare la disoccupazione e il precariato, e così via.

Se essa servisse per esprimere una forte volontà collettiva nella direzione accennata, questo potrebbe anche essere salutare, anche se - non di rado - la capacità d'ascolto delle istituzioni sembra piuttosto ridotta, come dimostra la nota vicenda del referendum sull'acqua.

Difficile, dunque, assumere una posizione precisa (peraltro non richiesta da nessuno) sul tema del referendum e della sua concreta possibilità di sfociare in un risultato positivo. Resta, comunque, il fatto che un pronunciamento collettivo, su una materia finora riservata solo a chi dirige il Paese, potrebbe addirittura aiutare gli sforzi di chi, dalle posizioni di governo, cerca di convincere l'Europa ad allentare i freni. Sotto questo profilo, dunque, ognuno può fare il proprio ragionamento sulle ammissibilità o meno e sulla stessa possibilità di successo del referendum, assumendo liberamente la decisione di aderire o meno, senza peraltro dimenticare mai che abbiamo un colossale debito pubblico, che comunque bisognerà ridimensionare.

È una valutazione, dunque, che credo debba essere lasciata all'iniziativa ed alla volontà di ciascuno, non essendo il caso, allo stato, di impegnare l'ANPI come tale in un'iniziativa dai contorni, anche giuridici, incerti, pur condividendo, nel complesso, la finalità ed i contenuti del messaggio che si intende utile dare per il bene del Paese e nei limiti più sopra accennati. Il tutto accompagnato dalla considerazione che non è da escludersi la necessità di ricorrere ad un referendum nel caso che dovesse passare la riforma del Senato con una maggioranza non sufficientemente qualificata per escluderlo; ipotesi che richiederebbe, evidentemente, un impegno ancora più assorbente e poco compatibile con altre iniziative del genere.

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