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La questione (im)morale e la questione politica

Nel numero scorso della Newsletter Anpi (quello del 16 giugno), ho scritto una nota intitolata “Basta!”, dedicata alla questione morale. Di fronte agli scandali, alla corruzione sempre più diffusa, alle altrettanto diffuse manifestazioni di illegalità, ponevo un problema (per me) fondamentale, quello cioè di cambiare non tanto le leggi, che ci sono e basterebbe rispettarle, quanto i comportamenti di tutti, a cominciare dai partiti, da coloro che rivestono cariche elettive pubbliche o funzioni di governo, fino ai comuni cittadini. E sostenevo che bisognava ripartire dalla “tolleranza zero”, cioè non solo dall’assoluto rispetto della legge (art. 54 della Costituzione), ma anche dall’osservanza di tutto ciò che è imposto dalla morale corrente e dal comune sentire di un Paese civile. Per questo, il “Basta!” del titolo.

Sono stato subito “accontentato”: basta fare qualche esempio. Partiamo dall’incredibile pasticcio creato dall’elezione di De Luca a “Governatore” della Campania. Un pasticcio previsto e prevedibile perché la condizione di De Luca era nota ed altrettanto lo era la Legge Severino. Candidarlo e sostenerlo significava affrontare un garbuglio indecoroso ed inaccettabile, come ora si sta dimostrando. Tentennamenti e incertezze anche da parte del Governo: alla fine si decide per il decreto di sospensione; ma lo stesso Presidente del Consiglio si affretta a dire che De Luca potrà ricorrere e potrà compiere gli atti che riterrà possibili e leciti. E De Luca, che si è candidato e non si è mai arreso, non si arrenderà neppure questa volta; intendeva presentarsi in Consiglio regionale, e chissà quali atti pensava di compiere: poi ci ha ripensato, pare (sto scrivendo di sabato e la seduta sarà lunedì). Certo è che tutto questo era annunciato e si conosceva. Perché allora sostenere un candidato in queste condizioni? Per fare una prova di forza? Per arroganza? Per la teoria già diffusa e pubblicizzata da Berlusconi che il popolo ha sempre ragione e se ha eletto una persona, questa diventa intoccabile, anche dalla legge? Difficile pronunciarsi su ciò che induce a certi comportamenti anche organi di Governo e dirigenti di partito; ma è lecito dire che tutto questo è scandaloso; il cittadino “comune” sa che c’è una legge Severino, approvata da tutti i maggiori partiti e pensa che non ci sia altro da fare che applicarla.

Sbaglia per semplicismo, ma attenzione (!), se si accorge del suo errore, finisce per pensare che la legge c’è solo per alcuni, e per altri non vale, e utilizza lo strumento di cui dispone nel modo più negativo: non va a votare. È questo che vogliamo? È questo che occorre alla democrazia di un Paese, che richiederebbe rispetto della legge da parte di tutti e partecipazione convinta dei cittadini alla cosa pubblica? Proseguiamo: scoppia a Roma uno scandalo colossale (si parla ormai comunemente di “Mafia Capitale”). Bisogna far pulizia e non deve essere solo la Magistratura a farlo, ma devono essere i partiti, il Parlamento, il Governo. Bene: c’è un sottosegretario, “coinvolto” in qualche modo nello scandalo. Mi auguro sinceramente che risulti innocente, ma considero doveroso che si dimetta dalla carica pubblica, oppure che venga invitato a dimettersi. Non si dimette; c’è una mozione di sfiducia per indurlo a dimettersi; dovrebbe approvarla tutto il Parlamento; e invece no, il sottosegretario viene “salvato” da una maggioranza anomala, che va da Forza Italia fino al Partito Democratico.

Il cittadino non ha di che essere soddisfatto, soprattutto se rilegge l’art. 54 della Costituzione, in tutte le sue parti. Ma non è finita. Alla guida del Comune di Roma c’è un Sindaco le cui qualità, come tale, in una città difficile e complessa, non sta a noi giudicare; ma è pacificamente e da tutti ritenuto onesto ed estraneo a tutte queste scandalose e vergognose vicende che hanno avviluppato Roma e il suo Comune in un abbraccio spaventoso, fatto di un misto di delinquenza, corruzione, arroganza, mafia. Ma è lui, la persona perbene che se ne deve andare, secondo alcuni, pochi o molti che siano. Che lo pretendano i partiti che pensano di guadagnare qualche posto per eventuali elezioni è possibile e comprensibile; che lo pensi il Partito che lo ha indicato, lo ha appoggiato, in qualche modo lo ha fatto vincere, è stupefacente. Naturalmente non si tratta di tutto il Partito, perché ad esempio, il Commissario che il PD ha nominato per gestire la vicenda romana, soprattutto per ciò che attiene –appunto- alla sua organizzazione politica, sostiene Marino e pensa che debba restare al suo posto, magari aiutato e consolidato con una Giunta più autorevole e più qualificata, per governare questo immenso pasticcio che è la città metropolitana, Capitale d’Italia. Ma non sembra pensarla così il Capo di quel partito, che parla quasi con “distacco” del Sindaco, lasciando a lui ogni responsabilità di decisione, tanto da far pensare a tutta la stampa che se ne voglia sbarazzare appena possibile (dopo l’estate?); intanto, già due o tre consiglieri (del PD) si autosospendono, quasi a suggerire un percorso.

Così il cittadino – che ragiona in modo semplice, con una logica elementare – conclude: resta al suo posto il “coinvolto” (ripeto, spero che lo sia solo formalmente e risulti poi innocente) e deve avviarsi verso l’uscita il Sindaco, più o meno capace di amministrare, ma perbene. Dal punto di vista dell’etica politica e della morale comune, non c’è davvero male. Ma andiamo ancora avanti: il Governo vuole “rivoluzionare” per ragioni sue, che io non ho capito (ma solo perché sono ignorante nella materia specifica) la governance della Cassa Depositi e Prestiti. Fa fuori la vecchia dirigenza, con la quale discute solo dopo aver già nominato i nuovi “capi”, e non si accorge che per uno dei due c’è un problema di “onorabilità” che secondo lo Statuto dell’Ente, lo renderebbe improponibile (una pendenza giudiziaria, in sostanza). Si rinuncia, quando ci se ne accorge, a quel dirigente? No, neanche per sogno, si progetta la modifica dello Statuto, per rendere più “morbida” la clausola di “onorabilità”, in modo che il progetto possa avere il suo corso, con tutti i “nuovi governanti” al loro posto. Questo fatto è così lineare e semplice da non richiedere commenti; anche un bambino, ignaro di Costituzione e Statuto, capirebbe che non è così che si inculca nel cittadino il concetto di “legalità”, inteso nel senso molto ampio a cui solitamente mi attengo nelle mie note, concordando con molti autorevolissimi giuristi e costituzionalisti.

È proprio in questo contesto, che include nel concetto di legalità anche la morale e la correttezza dei comportamenti politici, che può inserirsi un altro paio di esempi, con i quali chiuderò l’argomento, anche se ci sarebbe ancora materia per continuare. È stata approvata la legge elettorale, la “migliore possibile”, tanto che per averla si è ricorsi anche alla fiducia, perché bisognava ottenere il risultato, e al più presto. Tutto questo dopo un anno di palleggio tra le due Camere, ripensamenti, modifiche, innovazioni. Adesso, la legge elettorale c’è, anche se - ulteriore distorsione – entrerà in vigore tra un anno circa.

Ci sono state le elezioni amministrative, sia pure parziali, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non è più sicuro che ci sia un partito che può vincere tutto; si intravvedono pericoli se si va ai ballottaggi, pur essendo in testa nella prima tornata (Venezia insegna!); e che cosa accade? Si ricomincia a parlare della Legge elettorale, pensando seriamente di metterci mano ancora, non già per togliere di mezzo le parti più criticate e più sospette di incostituzionalità, ma per affrontare un paio di punti che parevano risolti in modo definitivo: l’assegnazione del premio di maggioranza alla “lista” che ha raggiunto un determinato quorum; il ballottaggio nel caso che nessuno raggiunga, nel primo turno, il quorum necessario per il premio di maggioranza. E qui si prospetta già la prima anomalia. L’Italicum è sbagliato, dannoso, pericoloso. Sarebbe da cambiare, con qualunque mezzo, perché non è ciò che serve ai cittadini e alla democrazia. E invece, si parla di cambiarlo per ragioni di convenienza politica, che sembrano suggerire che fosse migliore la prima idea, quella del premio di coalizione e che si debba rimettere mano al “secondo turno” che era stato presentato come una garanzia.

Naturalmente, non c’è ancora nulla di scritto o di dichiarato pubblicamente; ma la stampa (che è attenta a ciò che si pensa dietro le quinte), comincia a parlare di questi propositi; e nessuno la smentisce. Anzi, mi è capitato di leggere una significativa intervista con un illustre Professore, considerato (anche se lui smentisce) come un padre dell’Italicum e certamente molto vicino al Presidente del Consiglio e Segretario del partito di maggioranza relativa. Basta leggere il titolo (che può anche non essere del tutto esatto, ma esprime l’opinione che si è fatta l’autore dell’intervista): “D’Alimonte: un baby Nazareno, sul premio di coalizione”. La lettura dell’articolo non smentisce affatto la possibilità (e forse già l’intenzione) di rimettere le mani sulla legge elettorale, per ragioni – checché se ne dica – di pura convenienza politica, al punto che si arriva ad ipotizzare una sorta di intesa tra la maggioranza di governo e una parte delle opposizioni.

Tutto questo è serio, accettabile e ammissibile? Io penso di no, perché se una legge è pessima, come lo è l’Italicum, essa va cambiata nelle parti in cui nega la rappresentanza, impedisce ai cittadini di scegliere, assegna premi che distorcono la volontà popolare. E invece no. Si pensa di ricostituire un vecchio e, per fortuna, superato patto con Berlusconi, per tutt’altre ragioni, che nulla hanno a che fare con la rappresentanza, la democrazia e la sovranità popolare. Non è così che si riconquista la fiducia dei cittadini, né – tantomeno – si incoraggia la partecipazione. Anzi, così si convincono più che mai i cittadini che i fini perseguiti sono corrispondenti ad interessi e convenienze di parte, anziché all’interesse generale.

Concludo con l’ultimo esempio. È passata la riforma della Scuola, al Senato, con la fiducia, ancora una volta. La fiducia su una riforma importante dovrebbe essere un’eccezione rarissima; ma tant’è: si è ricorsi alla fiducia e si è chiusa la partita in quattro e quattr’otto.
Non era stato detto che a luglio ci sarebbe stata una “giornata della scuola” per discutere, tutti insieme e in tutto il Paese, della riforma di uno degli Istituti più importanti per la convivenza, il senso civico e la formazione del cittadino? Semplicemente non se ne è parlato più. Tutto questo, perché c’era la necessità di inserire nei ruoli 120.000 insegnanti ancora precari; esigenza giustissima, cui si sarebbe potuto far fronte stralciando questo punto, facendo un Decreto Legge, data l’urgenza, riservando quindi alla riforma della Scuola tutto il tempo necessario, senza ricatti di sorta.

Anche in questo caso, c’è un modo di intendere la politica, il governo della cosa pubblica, il prestigio del Parlamento, che non ci convince e non può convincere il cittadino che questa sia la “buona politica” di cui tutti parlano da molto tempo come di una necessità assoluta, proprio per “moralizzare “ la convivenza civile del Paese. Si noti che non ho parlato affatto dei contenuti della riforma della Scuola, sui quali mi sono già espresso più volte; ma ho fatto solo questioni di metodo, ponendo un problema di “moralità” e di “legalità” (in senso ampio) di una scelta politica.