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Smuraglia: "La questione israelo-palestinese va affrontata senza apriorismi e incitamenti all'odio"

Alcuni giorni fa, si è verificato un episodio, a Biella, di cui si è occupata anche la stampa: la progettata proiezione di un film con un titolo “Israele, il cancro”, che abbiamo subito considerato improponibile perché presupponeva la demonizzazione dello Stato di Israele, se non addirittura la sua cancellazione. Un titolo, dunque, contrario alla nostra linea di sempre, sulla questione Palestina-Israele (“due popoli in due stati”) e contrario anche al nostro stile abituale, nel formulare critiche, pur aspre, ma in nessun caso in modo violento e odioso. Purtroppo, tra i promotori della proiezione cinematografica c'era anche una locale Sezione dell'ANPI, col logo dell'Associazione sul manifesto dell'iniziativa. Quel titolo (di quello parliamo, non conoscendo il film) ha suscitato reazioni in varie parti d'Italia, da parte di Comunità ebraiche; alcuni hanno anche indirizzato lettere di protesta al Presidente nazionale dell'ANPI, che ha risposto subito a tutti, deplorando il titolo, ma declinando ogni responsabilità dell'ANPI come tale ed assicurando che sarebbe intervenuto prontamente, come in realtà ha fatto, seguendo le normali vie democratiche (prima intervenendo sul Comitato provinciale da cui dipende la Sezione in questione e poi, visto che quest'ultima non recedeva dal suo proposito, intimandole di togliere il logo dell'ANPI, assicurando che altrimenti ci sarebbe stato un procedimento disciplinare.) La Sezione è andata avanti per la sua strada e il tutto finirà, come promesso, davanti alla Commissione di garanzia nazionale.

Una vicenda, in sé limitata, anche se veramente spiacevole, ma che suscita, anche per alcune “interpretazioni” da parte di una certa stampa, sfavorevole all'Associazione, la necessità di qualche riflessione non sommaria.

Anzitutto, perché negare il diritto ad una Sezione di proiettare un film? Ovviamente non si tratta di questo; il film non l'abbiamo neppure visto, ed è dunque estraneo rispetto alla vicenda, che parte invece dal titolo – come ho detto - assolutamente inqualificabile perché sbagliato e odioso. Noi non siamo abituati ad esprimerci con giudizi e terminologie così violente; tanto meno lo siamo quando si tratta di questioni delicate e complesse, sulle quali bisogna intervenire con saggezza e chiarezza e – ove occorra – prudenza.

Si può discutere quanto si vuole, ma quel titolo non va bene, non è nello stile dell'ANPI, non corrisponde alla linea dell'Associazione. È solo a questo che abbiamo reagito. E come? La Sezione ha lamentato che non li abbiamo neppure interpellati prima di prendere le distanze; ripeto, siamo intervenuti sull'Organizzazione provinciale, da cui dipende la Sezione e non avevamo nulla da chiedere perché il titolo parlava da solo, quali che fossero le spiegazioni che si volessero dare; tanto più che a dargli ulteriore contenuto e significato ci ha pensato la regista del film con dichiarazioni che non commento.

Altri (una parte della stampa) hanno rimproverato al Presidente troppa prudenza e troppo “equilibrismo”. Ma si tratta di persone che evidentemente non hanno idea di che cosa sia la democrazia che – anche ad una Associazione ed al suo Presidente – impone rispetto delle regole (ho dichiarato subito a chi esercitava su di me una pressione troppo forte: “non sono un dittatore”). Alla fine abbiamo dovuto parlare di responsabilità disciplinare e ricorrere ad una intimazione. Chiunque dovrebbe capire che questa è sempre l'ultima ratio e che non fa mai piacere parlare di “indisciplina” in una Associazione basata su valori di fraternità e solidarietà. Comunque, sul punto spero che ormai sia tutto chiaro e che perfino i più riottosi riescano a capire che un titolo, se è sbagliato è sbagliato e non può mettere in discussione una linea su una questione delicatissima, cui l'ANPI nazionale si è sempre attenuta e dalla quale non intende distaccarsi (la necessità di due Stati riconosciuti, della loro convivenza pacifica, della esclusione di ogni sopruso, così come di ogni violenza).

C'è ben altro da chiarire, prima di tutto, con certa stampa che non perde mai occasione per attaccare l'ANPI, o per attribuirle responsabilità che come tale non ha. Si comincia, come in questo caso, col non evidenziare che si tratta solo di una Sezione o di parte di essa, su un migliaio di Sezioni presenti in tutta Italia; e dunque è sbagliato considerare responsabile di ciò che fa una sezione o un iscritto, tutta l'ANPI. Invece, già i titoli degli articoli, mettono tutto insieme, pur di dire che è l'Associazione ad essere colpevole, anche se la sua rappresentanza non spetta né alle Sezioni, né ai Comitati provinciali, ma per Statuto, al Presidente nazionale; il quale ha sempre sostenuto, negli scritti e negli interventi, una linea molto chiara e netta e sul caso specifico ha assunto una posizione altrettanto precisa.

È un po' fastidioso, bisogna dirlo, questo modo di salire in cattedra, ad ogni occasione, attribuendo all'ANPI, come tale, tutte le colpe del mondo. Quando critichiamo qualche articolo di stampa, ci guardiamo bene dal criticare “la stampa”, ma segnaliamo e indichiamo un obiettivo preciso, che non coinvolge altri che non sia quello specifico autore. Invece, secondo alcuni giornalisti, basta che un iscritto (su 124.000) sbagli e si parla subito di ANPI, attribuendo a tutta l'Associazione responsabilità che sono e restano individuali. Bisognerebbe finalmente decidersi ad informare i cittadini con completezza e correttezza.

Ma c'è un altro punto da chiarire. Abbiamo da rimproverarci qualche cosa sul tema della questione Palestina-Israele? Devo dire assolutamente di no, perché da ogni atto ufficiale, da ogni dichiarazione scritta o orale del Presidente e dell'Organismo dirigente nazionale, risulta una linea precisa, netta e coerente: la questione estremamente drammatica, dei rapporti Palestina-Israele va risolta col concorso e l'apporto di tutti, nell'unico modo possibile, quello che ho già detto, dei due Stati indipendenti, consapevoli di essere “destinati” a convivere e quindi tenuti a rispettarsi ed a rispettare i diritti di tutti.

Ma già su questo piano c'è qualcosa che non va (e non certo per colpa dell'ANPI) perché se è diffusamente riconosciuto nel mondo lo Stato di Israele, ci sono ancora Paesi (a partire da Israele stesso) che non vogliono riconoscere lo Stato della Palestina e resistono alle prese di posizione dell'ONU, del Consiglio d'Europa, del Vaticano. Si tratta di un drammatico errore (spero che lo si possa dire, senza equivoci) perché già questa è una mina sulla strada della convivenza dei due popoli. Poi ci sono le condizioni in cui viene tenuta la striscia di Gaza, in perenne stato d'assedio, con esiti disastrosi, noti a tutto il mondo; e tanto perché non manchi nulla, dopo l'elezione del nuovo Presidente degli USA, il Governo israeliano ha deciso di destinare una quantità di case nuove ai coloni proprio in zone oggetto di discussione e di contesa.

Non è così che si favorisce la pace e la convivenza civile. Non lo diciamo noi, ma lo dicono anche famosi scrittori israeliani, lo ha detto, con chiarezza, anche alla Knesset, un grande musicista come Barenboim. Credo dunque che lo si possa dire, non per infierire, ma per confidare nella ragionevolezza; e se escono documentari o scritti che dimostrano in quali terribili condizioni si viva in Palestina, questo non è, non può essere censurabile, perché corrisponde a verità.

Questo significa che non ci siano altre responsabilità e che noi siamo favorevoli agli atti di violenza, ai razzi, agli attentati da parte di palestinesi? Niente affatto. Noi possiamo comprendere la rabbiosa disperazione di chi subisce condizioni impossibili e violazioni gravissime dei più elementari diritti umani, ma sappiamo che anche questo non produce pace ma apre o prosegue una catena di azioni e contro azioni che rischia di non avere mai fine. Sappiamo che ogni ostacolo al cammino della pace ed alla speranza di una convivenza civile, deve essere considerato per tale e rimosso.

Anche su questo piano siamo stati sempre chiarissimi e tali intendiamo restare, contrari come siamo alla violenza e all'odio, comunque si manifestino, da qualunque parte provengano e quale che sia una loro eventuale “spiegazione”.

Sappiamo, insomma, che la via per raggiungere risultati positivi è lunga, è difficile e richiede un contributo leale da parte di tutti. Ricordo che nel giugno 2014, il Pontefice riuscì a compiere un atto di coraggio e di speranza, riunendo nella sua Sede, per una preghiera comune, esponenti di Israele e della Palestina e rappresentanti di religioni diverse. Nella newsletter dell'ANPI n. 124, ne scrissi con favore, sperando che la “lezione” fosse percepita per quel che voleva essere: un esempio e un atto di fede e speranza nella ragione, nella disponibilità di tutti in una comune volontà di pace. Un ignoto mi scrisse “ma che c'entra il Papa?”, dimostrando così che davvero si tratta di una strada difficile e densa di pregiudizi, se addirittura non si riesce a capire che abbiamo tutti il dovere di essere favorevoli a qualunque gesto, a qualunque atto che possa lenire le sofferenze dei palestinesi e tranquillizzare anche chi, in Israele, vive in angoscia e paura ma non riesce ancora a capire che non ci sono altre strade possibili al di là di quella della comprensione, della tolleranza, della pace nella giustizia.

Ma ancora. Io ritengo necessario un attento esame di coscienza da parte di tutti, per verificare se abbiamo dentro di noi una vera disponibilità a battere la strada di cui ho detto. Nel nostro Congresso c'è stato chi ha obiettato che ci occupavamo troppo poco della questione Palestina-Israele. Abbiamo risposto che non era affatto così e che eravamo ben consapevoli della tragedia della Palestina e di tutto ciò che dovevano subire i palestinesi e conseguentemente della necessità di ricondurre tutto a normalità. Ma intanto non potevamo che riaffermare la linea che ho sopra descritto e ribadire la necessità di uno sforzo veramente comune; per compiere il quale, bisogna abbandonare la via delle posizioni strettamente individuali e aprioristiche e convincersi che bisogna partecipare ad un movimento che deve essere, per quanto possibile, diffuso, cercando anche di capire, ognuno, come dice il titolo di un bel film francese di questi anni “Le ragioni degli altri”.

Ricordo che dopo un altro episodio, sul quale vi fu ampia discussione, circa un anno fa, scrissi una lettera alla Presidente della Comunità ebraica di Roma e al Presidente dell'ANED di Roma, proponendo una linea di confronto e di azione comune e l'apertura di un fronte dei difensori della democrazia e dei nemici del negazionismo e del razzismo.

In quella lettera mi dichiaravo disponibile ad un incontro in una sede che poteva essere quella dell'ANPI o qualunque altra. La lettera era del 16 giugno 2016 e tendeva a prevenire, molto per tempo, quegli incidenti che più volte sono accaduti a Roma in occasione della manifestazione per il 25 aprile. Ebbi una risposta fortemente positiva e adesiva da parte dell'ANED e nessuna da parte dell'altra destinataria. Così l'incontro non ci fu, e me ne dolgo perché il mio tentativo era lealmente e sinceramente diretto a cercare di trovare una strada comune, anche per prevenire eventuali incidenti in futuro.

Infine, e per concludere, deploro vivamente la confusione che si fa molto spesso tra le eventuali critiche al Governo di Israele (criticabile, ovviamente, come qualsiasi altro governo) e l'antisemitismo. Si tratta di due linee molto diverse e tutti dovrebbero saperlo. Si può essere critici su certi comportamenti dello Stato di Israele (e lo sono, ripeto, anche non pochi israeliani); ma non si può, in nessun caso, essere “contrari” agli ebrei come tali, per la semplice ragione che siamo contrari al razzismo, comunque si manifesti e perché ce lo impone non solo l'art. 3 della Costituzione, ma la storia. Sono assolutamente certo che nell'ANPI non c'è spazio per nessuna forma di razzismo e che l'antisemitismo è estraneo addirittura alla nostra identità. È logico che sia così in una Associazione di valori tra i quali primeggiano la libertà e l'uguaglianza; un'Associazione di pace, perché sappiamo bene che cosa sia la guerra e conosciamo altrettanto bene l'art. 11 della Costituzione che la “ripudia”.

Non dovrebbe esserci bisogno di ricordarlo, ma è necessario perché anche in questi giorni, in relazione ad un titolo sbagliato, ma che si riferiva inequivocabilmente al governo di Israele, si è tornati a parlare, anche in alcuni titoli di quotidiani, di antisemitismo, commettendo quindi un errore di forma e di sostanza. In breve, per antisemitismo si intende comunemente l'avversione pregiudiziale verso gli ebri. È una forma di razzismo evidente, pericolosissima, antichissima e non ancora debellata. Dunque va combattuta risolutamente, ribadendo, peraltro, che non è corretto definire a priori qualsiasi critica nei confronti della politica di Israele come antisemita, perché non è così e non può essere così.

Insomma, e per concludere davvero ci sono dei nodi molto seri da sciogliere per far sì che finalmente, nella propria autonomia statuale, possano vivere in sicurezza entrambi i popoli. Ma bisogna affrontarli senza apriorismi senza incitamenti all'odio, con una volontà davvero sincera e comune di superare una situazione che confligge col nostro stesso senso di umanità.

Carlo Smuraglia

(Da ANPInews n. 238 - 14/21 marzo 2017)

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