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"La partecipazione ha bisogno di una politica seria, comprensibile, pulita, onesta. In Italia non c'è"

Domenica si sono svolte le elezioni amministrative, ma non sta a noi commentare e valutare chi siano i vincitori e i vinti.

A noi interessa soltanto sottolineare un dato: quello del rilevante calo dei votanti, perché si tratta di un fatto che va al di là delle semplici contingenze politico-partitiche.

Due voti: 4 dicembre, referendum e grandissima partecipazione; 11 giugno, Amministrative e un calo netto dell'8 % del numero dei votanti, rispetto ad un passato non certo brillante. Che significa?

È semplice: la partecipazione non è casuale e nasce da motivazioni ben precise; per ottenerla, bisogna lavorare specificamente pensando più che al voto che arriverà al proprio partito o candidato, a ciò che colpisce i cittadini e li induce a essere una presenza attiva.

Quella motivazione, per il referendum c'è stata, e lo si è visto chiaramente. A questo voto amministrativo invece, l'attenzione è stata ridotta e spesso limitata a scelte ed interessi locali o localisti.

Nè poteva essere diversamente, dopo mesi in cui si discute sul nulla, si offre ai cittadini una diatriba infinita sulla futura legge elettorale, per poi finire in un fallimento alla prima mossa. Dopo mesi in cui i programmi scarseggiano, di idee sul rilancio dell'attività produttiva e dell'occupazione se ne vedono ben poche e il dibattito politico, più che sui grandi temi che interessano le cittadine, i cittadini, le famiglie, è concentrato attorno ad interessi clamorosamente di parte, senza reali prospettive per il Paese.

Cantava Gaber che “la libertà non è star sopra un albero”, ma deve essere frutto di una conquista, di un impegno quotidiano, insomma della “partecipazione”. È vero, ma ci vuole una motivazione; e questo sarebbe il ruolo della vera, buona politica; lanciare idee, delineare programmi su cui valga la pena di discutere, di cui ciascuno si senta parte attiva e non reciti la parte dell'escluso. Insomma, la partecipazione – che è il sale della democrazia – ha bisogno di una politica seria, comprensibile, pulita, onesta. E questo, come sappiamo, in Italia non c'è; c'è invece molto bisogno di una rigenerazione della politica, proprio per riavvicinare i cittadini alle Istituzioni ed alla politica stessa.

In questi giorni abbiamo avuto un esempio estremamente significativo: l'incontro tra il Pontefice e il Presidente della Repubblica italiana. Con reciproca considerazione, i due (lo dico con il massimo rispetto), non hanno girato attorno ai problemi, ma li hanno affrontati di petto e con una evidente concordia di convincimenti e di intenti. Mattarella ha insistito sulla “priorità lavoro”; il Pontefice ha detto ai politici “siate più vicini alla gente”; entrambi hanno concordato su una “laicità non ostile”. Non sono solo parole, soprattutto quando provengano da quelle fonti: l'invocazione di un lavoro “stabile e dignitoso” e la deprecazione del precariato costituiscono indicazioni importanti di ciò che questo Stato dovrebbe fare ed intraprendere, con politiche certe, sicure, a largo raggio (e non con elemosine); il richiamo alla necessità di una ”progettualità” è qualcosa che tutti sentiamo come una profonda necessità, che tuttavia ci viene costantemente negata. Il ragionamento sulla necessità che le risorse finanziarie vengano concentrate su obiettivi di crescita e non fondate su meri intenti speculativi, non ha bisogno di molte illustrazioni: è accessibile a tutti e da tutti – anche solo istintivamente - condiviso. L'appello ai politici di essere più vicini alla gente è denso di significato, perché è certo che la vicinanza non si raggiunge con comportamenti formali e furbeschi, ma dimostrando correttezza, lealtà, etica, risultando – alla fine – credibili.

Si potrebbe andare avanti a lungo, ma credo che bastino questi accenni per capire che da un incontro di elevatissimo livello è nata una spinta verso una politica diversa, sentita da tutti come necessaria e troppo spesso invece assente.

Non è certo casuale il fatto che i giardini del Quirinale fossero pieni di scolari delle zone terremotate, spesso di colore diverso: un richiamo autentico a quei doveri inderogabili di solidarietà, cui fa riferimento l'art. 2 della Costituzione.

Certo, non basta un incontro, anche se ispirato a importanti parole, per colmare quella “distanza” che impedisce poi ai cittadini di partecipare in massa ad ogni momento della vita pubblica, politica e locale. Ma bisogna saper cogliere le altissime indicazioni e confidare che il Governo – adesso non sottoposto a pericoli imminenti di caduta – le colga, utilizzando appieno i suoi poteri e altrettanto faccia il Parlamento, cercando di concludere a testa alta questa discussa e discutibile legislatura.

Noi, con tutto il cuore, continuiamo a sperare che qualcosa cambi, nell'interesse della collettività e del bene comune.

Carlo Smuraglia

(da ANPInews n.249 - 13/20 giugno 2017)