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Il quartier generale del CVL era nascosto in un monastero di suore a Milano

Era il 5 maggio 1945 quando alla Madre Superiora, Rosa Chiarina Scolari, del “Convento della ragazze traviate di Corso Magenta”, a Milano, venne recapitata una lettera di ringraziamento firmata dal Comando Generale del Corpo volontari della Libertà, probabilmente inviata dallo stesso generale Raffaele Cadorna.

Di questa religiosa si sa che era di ottima famiglia e che morì a poco più di sessant’anni qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, venendo sepolta nel cimitero monumentale di Milano. Quasi nessuno sapeva che il suo convento servì da quartier generale del CVL durante l’insurrezione finale di aprile nel nord Italia.

I giorni precedenti all’arrivo della missiva infatti furono giorni frenetici, di guerra, insieme esaltanti e drammatici per tutto il paese. Nel nord Italia le città erano state progressivamente liberate dal movimento partigiano. Le stesse città che poco dopo accolsero le truppe alleate.

Fondamentale, in quel clima di fermento e tensione, fu il sangue freddo di chi coordinò l’insurrezione generale per cacciare l’esercito nazi-fascista: il Comitato di Liberazione nazionale e il Corpo volontari della libertà. Diversi sono gli esempi di appoggio e sostegno alla lotta partigiana da parte di religiosi, i quali mettevano a disposizione la loro rete di contatti, la loro credibilità, la loro influenza.

L’appoggio dell’Istituto della Riparazione diretto dalla Scolari fu senza dubbio determinante in quei giorni, come si coglie sia dalla data della lettera, scritta quando l’Italia stava firmando la fine della guerra, sia per le frasi di riconoscenza che si leggono: “Reverendissima Madre Generale, il Comando Generale militare desidera esprimerle i più vivi ringraziamenti per la cordiale ospitalità datagli nei giorni che precedettero la liberazione, e nella memoranda notte che segnò la fine della tirannide. Per noi quelle ore di intenso lavoro svolto nella serena quiete del suo Monastero rimarranno nel nostro più caro ricordo, come un giorno gli italiani conosceranno che da codeste mura partirono gli ordini per la risurrezione della Patria.” Il documento, scritto a macchina, è stato recentemente rinvenuto dalla figlia di Giovanni Battista Stucchi, uno dei membri del Comando generale del CVL, fra le carte del padre.

Non è un caso che in questi anni dagli archivi personali di partigiani e combattenti emergano storie di questo tipo. I mesi di lotta partigiana nell’Italia occupata, dopo un ventennio di dittatura e povertà, lasciarono un paese allo stremo, che si doveva ricostruire materialmente, economicamente ed emotivamente. Il popolo si rimboccò le maniche e si rimandò ad anni più sereni il ricordo e l’analisi di ciò che effettivamente fu la Resistenza.

Fu così che tanti nomi, imprese, gesti di solidarietà andarono perduti per la memoria collettiva, per rimanere un ricordo personale, familiare e nient’altro. Spesso anche per l’umiltà di chi aveva fatto semplicemente ciò di cui c’era bisogno, non sentendosi mai un eroe. Oggi che i protagonisti di quella stagione stanno lentamente scomparendo, oggi che più che mai si avverte l’insostituibile importanza della loro voce e della loro presenza, vengono riportati alla luce documenti e storie di quella fase storica. Aneddoti ed episodi che ricordano quanto fosse condivisa, indipendentemente dalle idee e dalle finalità politiche, l’opposizione al fascismo di Salò e alla brutalità dell’occupazione nazista.

Gemma Bigi