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In ricordo di Mauro Venegoni e i suoi fratelli

Quello che segue è l'intervento di Roberto Cenati, presidente ANPI Provinciale di Milano, a ricordo di Mauro Venegoni, ucciso dai repubblichini il 31 ottobre 1944, letto nel corso della cerimonia svoltasi a Cassano Magnago.

In occasione del 30° anniversario della Liberazione, Sandro Pertini, nella prefazione al bellissimo libro su Legnano nella Resistenza, scriveva: “È bene che tutti conoscano la lunga battaglia combattuta contro il fascismo in tutta la zona dell’Alto Milanese, durissima e senza soste, con scioperi e agitazioni nelle fabbriche anche nei momenti più oscuri del ventennio nero; è bene che non si dimentichino i nomi dei venti antifascisti denunciati al Tribunale speciale, di coloro che trascorsero un lungo periodo nelle carceri fasciste, di coloro che dettero un contributo alla difesa della Repubblica Spagnola, dei 68 caduti della Resistenza, o deportati e morti a Mauthausen, della Medaglia d’Oro Mauro Venegoni, operaio, che dedicò tutta la vita alla lotta per la libertà che fu barbaramente trucidato dalle brigate nere il 31 ottobre 1944 dopo essere stato sottoposto alle più atroci torture”.

Ricordare Mauro significa collegarsi alle vicende e al ruolo che tutto l’Alto Milanese ha avuto durante il fascismo prima e successivamente nel corso della Resistenza e alla storia gloriosa dei quattro fratelli Venegoni, attorno ai quali si costituisce il nucleo forte dell’opposizione antifascista nella zona del legnanese Anche per l’iniziativa dei fratelli Venegoni l’Alto Milanese fu una delle zone nelle quali repubblichini e nazisti ebbero vita dura.

Legnano all’inizio del ‘900 e l’occupazione delle fabbriche.
Legnano all’inizio del ‘900 era un grande centro industriale, la cui vita era scandita dalle sirene dei grandi stabilimenti. E all’età di 12 anni Mauro con il fratello Carlo comincia a lavorare in fabbrica. Nell’autobiografia di Carlo Venegoni si legge “La felicità entrava di rado nelle famiglie operaie. Si viveva sotto l’assillo dei debiti, con la paura di perdere il lavoro, di ammalarsi e di invecchiare senza assistenza né pensione”.

L’occupazione delle fabbriche.
Tutto, per i fratelli Venegoni, comincia un Primo Maggio del 1917, nel pieno della Grande Guerra, quando Carlo e Mauro di 15 e 14 anni, assistono a Legnano al loro primo comizio politico. Lo tiene un attivista socialista di Milano che parla dell’esigenza della pace e invita i lavoratori a costruire il sindacato per il proprio riscatto. È una folgorazione per i due ragazzi.
L’impegno nel sindacato e nel Partito Socialista fu per i ragazzi Venegoni il solo modo per cercare di costruirsi un destino diverso e migliore.
Ed è proprio l’esperienza nel sindacato che ha segnato l’esistenza di Mauro Venegoni facendo di lui un uomo che si batteva personalmente, in nome degli ideali di solidarietà, a difesa dei più deboli, mettendo a repentaglio la propria stessa vita e libertà.
Nel Settembre del 1920 un imponente movimento di lotta, culminato con l’occupazione delle fabbriche, scuote il nostro Paese e si estende anche a Legnano. Carlo diciottenne è tra i più attivi organizzatori del movimento alla Franco Tosi e con il fratello Mauro diciassettenne, viene incaricato di tenere i contatti con i giovani operai in tutta l’area legnanese.

L’avvento del fascismo.
I fratelli Venegoni sono stati duramente perseguitati dal fascismo a causa della loro intransigente difesa delle idee di libertà ed emancipazione dei lavoratori. Sono giovani, ribelli, anticonformisti.
Il 17 Luglio 1922 Mauro Venegoni, allora diciannovenne, partecipa agli imponenti funerali del giovane sindacalista Giovanni Novara massacrato da una squadraccia in pieno giorno in via XXIV Maggio e alle lotte antifasciste delle fabbriche legnanesi.
Nel 1923 Mauro Venegoni al termine di un comizio di un gerarca fascista alla Franco Tosi, interviene dal palco e smentisce con parole infiammate le affermazioni dell’oratore fascista, ricevendo gli applausi dei lavoratori.

L’arresto di Mauro.
In un rapporto dei carabinieri di Legnano che lo propongono per il confino, Mauro viene definito “nemico acerrimo del regime e del governo fascista”. Più volte fermato dalla polizia viene arrestato nel 1927 con il fratello Pierino e deferito al Tribunale speciale. Mauro e Pierino vengono assolti per insufficienza di prove, ma prima della sentenza hanno trascorso 15 mesi in carcere. Pierino ha compiuto in prigione i suoi 20 anni. Dopo essere emigrato clandestinamente in Francia, nel 1932 Mauro viene arrestato in Calabria e condannato a 5 anni di reclusione. Sono anni di isolamento e di gravi privazioni. Ma anche di studio appassionato: Mauro e Carlo in carcere studiano storia, letteratura, lingue straniere, filosofia, pedagogia, economia.

Perseguitati giorno e notte.
La fine del periodo della detenzione nel 1934 non pone termine ai controlli, alle perquisizioni, agli arresti cui sono sottoposti Carlo e Mauro Venegoni. Sono gli anni della massima affermazione del regime e della nascita dell’impero, mentre l’antifascismo subisce durissimi colpi. Nonostante le enormi difficoltà del momento, attorno ai fratelli Venegoni resiste un gruppo consistente di antifascisti. Il 10 giugno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, Carlo e Mauro, già da tempo inseriti nella lista delle persone da arrestare in determinate circostanze, vengono tratti in arresto, e spediti in un campo di concentramento. Carlo a Colfiorito, nelle Marche e Mauro a Istonio Marina, in Abruzzo.
Anche nel campo di Istonio, riservato ai soggetti ritenuti pericolosi, Mauro non rinuncia a battersi. Nel gennaio 1941 è scoperta una organizzazione clandestina: Mauro, tra gli animatori del gruppo, è spedito, per punizione alle Isole Tremiti, oggi luogo di villeggiatura, ieri campo di concentramento.
Nelle vivaci discussioni che si svolgevano tra i confinati, diviene sempre più evidente la sua posizione antistalinista, tanto che Mauro è escluso dal collettivo comunista dell’isola. La liberazione non avverrà che pochi giorni prima dell’8 settembre 1943.

La Resistenza.
All’annunzio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, Carlo, Mauro, Pierino e Guido Venegoni si ritrovano insieme a Legnano dopo tanti anni. Dopo un ventennio di battaglie politiche e sindacali i fratelli Venegoni hanno un grande ascendente sui lavoratori della zona. L’8 settembre Carlo che ha il compito di creare nuclei di lavoratori decisi a lottare, improvvisa un clamoroso comizio nel cortile della Franco Tosi nel corso del quale invita gli operai a non illudersi, facendo appello alla resistenza armata contro i tedeschi. Sarà proprio la Franco Tosi a pagare, un prezzo altissimo per gli scioperi promossi a cominciare dal marzo 1943, con la deportazione, nel tragico mattino del 5 gennaio 1944, dei lavoratori di quello stabilimento e di altre fabbriche legnanesi nel lager di Mauthausen. Dopo l’8 settembre i fratelli Venegoni si organizzano in un gruppo autonomo che stampa un suo giornale, “Il Lavoratore” e i “Quaderni del Lavoratore. Mauro organizza e dirige il movimento sappista, prima nell’Olonese e poi nel Vimercatese (diventa comandante di una Brigata Garibaldi nel Vimercatese), conquistandosi la stima e la fiducia dei suoi compagni. Ai fratelli che gli avevano sempre consigliato prudenza rispondeva: “Noi dobbiamo rimanere sulla breccia. E se è nostro destino sacrificarci, dobbiamo cadere là, al nostro posto di combattimento. Non un passo indietro”.

Gli arresti nell’ agosto 1944.
All’inizio dell’estate del 1944 Pierino cade nelle mani delle camicie nere ed è portato a Milano, nella sede della MUTI in via Rovello. Verrà poi deportato in Germania.
A liberazione avvenuta sarà il primo presidente della sezione dell’ANPI di Legnano. Dopo Guido e Pierino, alla fine di agosto, è arrestato anche Carlo, sorpreso in una tipografia di Milano dove si stampava l’Unità clandestina. Carlo finirà nel lager di Bolzano dove ritrova Ada Buffulini che dopo la Liberazione diventerà sua moglie. Il commento di Mauro è amaro: “Di 4 fratelli mi salvo solo io”, dice a un suo compagno di Legnano.

La cattura di Mauro Venegoni.
Alla fine dell’ottobre 1944 Mauro incappa in un posto di blocco. I suoi documenti, a nome Raimondi, insospettiscono i repubblichini che lo riconoscono. Un colpo con il calcio del fucile gli spezza la mandibola. Inizia così il martirio: torture selvagge non gli fanno rivelare nulla che possa danneggiare i suoi compagni.

La 182^ Brigata Garibaldi.
La tortura e l’uccisione di Mauro provocano immensa emozione nella zona dell’Alto Milanese, dove egli era universalmente noto per il suo coraggio, per la sua intransigenza, per la coerenza delle proprie idee. Se ne rendono conto anche i fascisti che rinunciano a fucilare Guido, quando già l’esecuzione è pronta. Decine di giovani prendono la via della lotta armata nel nome di Mauro, al quale viene dedicata una Brigata Garibaldi, la 182°.

Il senso di una vita.
I fratelli Venegoni hanno attraversato insieme il Novecento a testa alta, conservando intatto il proprio spirito libero nonostante le persecuzioni, i lunghi anni della galera fascista, il campo di concentramento, le torture delle camicie nere. Complessivamente i fratelli Venegoni trascorsero 23 anni tra carcere, confino e vigilanza speciale. Carlo, Mauro, Pierino e Guido hanno vissuto con lo stesso stile: sguardo “vivace”, andatura “svelta”, “poco rispettosi” verso ogni autorità, come aveva segnalato un ignoto questurino negli anni Venti. Insieme hanno lavorato per la dignità del lavoro, per la fine dello sfruttamento, per pace. Ricordarli non è solo doveroso, ma significa far rivivere, nella società contemporanea colpita da una profonda crisi sociale ed economica, ma anche etica, i valori della solidarietà, della giustizia sociale, della politica posta al servizio del bene comune, idealità queste che animarono tutti i combattenti per la libertà. E dalla loro lotta è nata l’eredità più preziosa della Resistenza: la Costituzione repubblicana, una Costituzione che in ogni suo articolo richiama ideali e valori di grande civiltà, di eguaglianza e giustizia. Tra di essi vi è la riaffermazione del diritto al lavoro che deve essere assicurato soprattutto alle giovani generazioni, per garantire loro un futuro certo e sereno.

Il monito dei Fratelli Venegoni.
Un’ultima considerazione vorrei fare sulla vita così intensa dei fratelli Venegoni. Mussolini aveva portato l’Italia alla rovina chiedendo agli italiani di rinunciare a pensare con la propria testa; bisognava credere, bisognava obbedire anche quando gli ordini erano sbagliati. Il fascismo ha trasformato gli italiani da cittadini in sudditi, in soggetti passivi.
I fratelli Venegoni hanno lottato anche per questo: perché gli Italiani tornassero ad essere cittadini con doveri e con diritti, con teste liberamente pensanti, con capacità di critica e con un rinnovato interesse per la cosa pubblica.
Ricordava Giacomo Ulivi, fucilato a 19 anni a Modena dalla Guardia nazionale repubblicana, in una bellissima Lettera dei Condannati a morte della Resistenza italiana che “il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale” è stato quello di inchiodare in molti italiani il pregiudizio “della sporcizia della politica”, pregiudizio che periodicamente riaffiora anche ai nostri giorni. “Lasciate fare a chi può e chi deve; voi lavorate e credete, questo dicevano”. Questa abdicazione è stata all’origine delle sciagure che si sono abbattute sul nostro Paese negli anni della dittatura fascista. E concludeva Ulivi: “Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma che ogni sciagura è sciagura nostra. Se ragioniamo, il nostro interesse e quello della cosa pubblica finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante”.
Questo monito che ci viene da lontano costituisce un forte e importante appello anche alle nostre coscienze per un maggiore e più intenso impegno di tutti perché gli ideali e i valori sanciti nella nostra Carta Costituzionale trovino la loro completa attuazione nella Repubblica nata dalla Resistenza.