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Le donne sediziose di Cadelbosco

Questo articolo di Teresa Vergalli è pubblicato su "PATRIA indipendente" n° 9 del 2011. Rievoca un episodio avvenuto nel Reggiano: l’«adunata sediziosa» del ’41, le mille donne di Cadelbosco in piazza contro il fascismo.

di Teresa Vergalli

È andato in scena a Cadelbosco, provincia di Reggio Emilia, uno spettacolo del Teatro dell’Orsa che prende ispirazione da un antico episodio di quelle parti. Un teatro che si fa veicolo di storia.
Noi di Patria, che abbiamo l’impegno di impedire che l’Italia deragli verso nuovi autoritarismi simili alla dittatura, non possiamo che rallegrarci che il teatro, così come la letteratura, si faccia strumento per una consapevolezza e una conoscenza ad un tempo storica e culturale.
Cosa si ricorda in quello spettacolo?
Un episodio veramente eccezionale accaduto l’8 ottobre del 1941, a poco più di un anno dall’entrata di Mussolini in guerra. Episodio tanto più eccezionale perché ne sono state protagoniste le donne. Tante donne, un migliaio almeno. Per quel borgo agricolo che di abitanti ne poteva avere soltanto poche migliaia, quel migliaio fa veramente impressione. Le cronache fasciste dell’epoca hanno definito il fatto come “adunata sediziosa”, quindi illegale, disfattista, da reprimere con durezza. Erano donne, quasi tutte braccianti agricole, cioè povere. Quelle che come i precari di oggi, andavano rastrellando giornate di lavoro saltuario qua e là, per scampare alla miseria, nera ospite fissa che se non era dentro casa era comunque sempre affacciata sull’uscio. Andavano alla vendemmia, e anche a mietere il riso, quelle donne. Non so per che paga, ma certamente vicina a quella delle giovani donne schiacciate giorni fa sotto il crollo di Barletta.
Qualche storico-economista faccia il confronto fra le paghe di poche lire di allora e gli scarsi euro di oggi. Credo che ci sia un esatto triste parallelo.
Quelle nostre nonne e bisnonne contadine andavano a piedi o in bicicletta verso campi sparpagliati, venivano dai tanti casolari e frazioni, ma ad un bivio, occasione obbligata di incontro, scambiandosi in dialetto i loro malumori, erano arrivate alla decisione di ribellarsi. Il pane era poco e cattivo. La guerra un incubo. Si mettono d’accordo per l’indomani, cambiare percorso, avvertire le altre, tutte le altre e andare non nei campi ma dentro il borgo, al municipio. A far che? A protestare per i bollini del pane, bollini distribuiti da poco e risultati così insufficienti, così scarsi. Bollini del pane, cioè fame e bollettini di guerra, cioè dolore.
Nel paese è già arrivata notizia di ragazzi morti in Grecia e in Albania. Gli altri ragazzi sono chissà dove a fare forse la stessa fine. Molte di quelle donne se hanno gli uomini in fabbrica alle Reggiane o in qualche altro cantiere avranno rinunciato al pezzo di pane personale per farne il fagottino attaccato al manubrio della bicicletta dei loro uomini lavoratori. Come se anche loro donne non fossero lavoratrici, ma si sa, specialmente allora, come ancora oggi, dalle donne si ottiene sempre un di più di dedizione.
Col passaparola il primo gruppetto diventa grande e poi gigante, improvviso, imprevisto, inimmaginabile. Invade la piazza e straripa dentro il municipio. Il grido è “vogliamo pane e basta con la guerra”. Una di loro dice: “Non chiedevamo il burro, o la bistecca, che nemmeno sapevamo cos’era”. Prima i carabinieri cercano di farle tornare a casa, ma poi chiamano la polizia. Nascono tafferugli, le donne si difendono, ci sono alcuni fermi, ma è il giorno dopo che avvengono gli arresti.
Dieci donne sono messe in cella a Cadelbosco Sopra, poi mandate al carcere di San Tommaso a Reggio. Anzi, si va a vedere nelle loro case se ci sono delle provviste di grano o farina, considerati evidentemente corpi del reato o aggravanti, dimostrazione di non povertà, quindi prova per quella accusa di disfattismo e di bolscevismo per la quale si rischiavano anni di galera o confino. Inutilmente furono cercati i promotori o le promotrici di quella adunata “sediziosa”. Furono arrestate anche alcune che alla manifestazione non c’erano, come la Antenisca Bertani in Rossi, che aveva il torto d’essere sposata con un antifascista già condannato dal tribunale speciale.
In prigione, condizione terribile per donne di campagna abituate agli spazi aperti e angosciate per i figli a casa, ci restano quasi due mesi. Alla fine vengono rilasciate senza processo. Forse i capi fascisti ebbero la percezione che era meglio far scendere il silenzio per non provocare l’espandersi delle proteste. Forse per l’imponenza della manifestazione un processo sarebbe diventato problematico e dirompente.
Trenta anni dopo quell’episodio, nel 1971, il comune di Cadelbosco Sotto, ha voluto onorare quelle donne e quell’episodio, dal quale giustamente si considera partita la resistenza alla guerra e al fascismo. Alle dieci incarcerate sono state assegnate Medaglia d’Oro e diploma. Una bella targa ricordo è stata messa alla parete del palazzo del municipio.
Ora che sono passati altri quaranta anni, allo spettacolo teatrale di questo 2011 hanno assistito i parenti, i nipoti e pochissimi dei contemporanei. Voglio immaginare la loro emozione.
In una pubblicazione di quel 1971 trovo le fotografie di quelle dieci incarcerate.
Donne della mia terra, facce semplici e pulite che ci guardano negli occhi con il loro racconto di fatiche e di onestà. Immagino facce simili e occhi uguali per tutte le altre, sconosciute, che c’erano in quella folla, in quel migliaio di indignate e ribelli.
Credo che sia giusto, nonostante i settanta anni passati, ripetere ancora almeno i nomi delle dieci, le più sfortunate. Eccoli in ordine alfabetico: Santa Arduini classe 1896; Esterina Bedini, 1909; Antenisca Bertani, 1907; Angela Brozzi, 1893; Silvia Cantarelli, 1916; Giuseppina Codeluppi, 1891; Giuseppina Immovilli, 1913; Anna Lusetti, 1907; Ondina Pederzoli, 1912; Iolanda Spaggiari, 1910.
Da quelle parti, Cadelbosco Sotto, Cadelbosco Sopra, e qualsiasi altro comune della “bassa reggiana” e non solo, questi cognomi sono frequenti, ripetuti. Chi li porta, anche se non è parente o discendente, credo debba essere contento comunque di avere un legame con queste donne, così vago nel nome, ma così profondo nell’esempio.








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