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La memoria di Piazza Fontana, per ricordare i pericoli di oggi

Pubblichiamo il discorso conclusivo di Roberto Cenati, presidente dell'Anpi Milano, alla manifestazione svoltasi il 12 dicembre a Milano per il 43° anniversario della strage di piazza Fontana.

Prima di Cenati erano intervenuti uno studente di una scuola media superiore, Carlo Arnoldi, presidente dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana, Onorio Rosati, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano.

Venerdì 12 dicembre 1969 alle ore 19,00 appena due ore e 23 minuti dopo la strage di piazza Fontana, nella sede storica dell'Anpi di Milano, in via Mascagni 6, si riuniva il Comitato Permanente Antifascista per la Difesa dell'Ordine Repubblicano. Erano presenti alla riunione Francesco Scotti Presidente dell'ANPI Provinciale di Milano, Arialdo Banfi, Vicepresidente, Leonida Calamida per la Fiap, Gianfranco Maris per l'Aned.

Il Comitato Permanente Antifascista sorto nel maggio 1969, all'indomani delle bombe neofasciste alla Fiera Campionaria di Milano, non ebbe esitazione a denunciare l'orrendo crimine “ispirato e organizzato da forze reazionarie che nelle provocazioni e nel terrorismo cercano l'occasione per avventure autoritarie”. E si aggiungeva: “La Resistenza ha aperto nel Paese un processo irreversibile di progresso sociale che le forze democratiche non consentiranno a nessuno di fermare”.

Il richiamo alla Resistenza, all'antifascismo, agli ideali di libertà e democrazia è stato fondamentale per chi le istituzioni repubblicane ha continuato a difendere nei terribili anni della strategia della tensione e del terrorismo, che si riuscirono a debellare grazie al solido ancoraggio alla Costituzione e grazie alla forza di molteplici forme di partecipazione, sensibilizzazione e mobilitazione sociale e politica democratica.
Ci siamo battuti e ci batteremo con grande determinazione perché la memoria della Resistenza, punto di riferimento imprescindibile per tutti noi, come lo è stata nel tragico periodo della strategia della tensione e del terrorismo, rimanga sempre viva e non siano cancellate o unificate, come si è tentato per ben due volte di fare, magari per recuperare qualche mezzo punto di PIL, le tre date fondanti della nostra democrazia e civiltà: il 25 aprile, il Primo maggio e il 2 giugno.

Francesca Dendena che ci ha lasciato due anni fa e che dopo Luigi Passera fu per anni Presidente dei Familiari di piazza Fontana, aveva all'epoca della strage 17 anni, ma capì subito, nel giorno dei funerali, quando vide il Duomo ampio, enorme, pieno solo di maestranze, che non potevano essere i lavoratori i responsabili di quell'efferato crimine e che la strage era stata fatta proprio per fermare le loro giuste rivendicazioni.

Il 1969 fu l'anno in cui i lavoratori si battevano per lo Statuto dei Lavoratori (oggi messo in discussione), per l'unità sindacale, per ottenere non solo migliori condizioni contrattuali, ma anche per una società più giusta, in cui accanto alle lotte operaie si intrecciava la contestazione studentesca per una scuola migliore e un costume nuovo e diverso da quello degli anni cinquanta andava ormai affermandosi. Con la strage di piazza Fontana ebbe inizio quella strategia della tensione che tante vittime innocenti doveva mietere e che aveva come suo obiettivo quello di minare le basi del nostro regime democratico e di colpire a morte la Repubblica nata dalla Resistenza e basata sulla Costituzione. Milano e l'Italia hanno corso un pericolo gravissimo. “Se Milano avesse ceduto alla paura – osservava Aldo Aniasi allora sindaco di Milano – il corso degli avvenimenti, forse, avrebbe potuto essere un altro”.

Ai funerali la piazza Duomo era affollata all'inverosimile: c'era un silenzio impressionante. E Aniasi ricorda che Pietro Nenni allora gli disse: “Questa gente è garanzia di democrazia”.

Anche oggi abbiamo più che mai bisogno che i lavoratori, i giovani, i cittadini siano garanzia di democrazia, nella difficilissima fase politica, economica e sociale che il nostro Paese sta attraversando, caratterizzata anche da una caduta senza precedenti dell'etica pubblica, dal manifestarsi quasi quotidiano di fenomeni di corruzione, sino alla scoperta di infiltrazioni della criminalità organizzata nella stessa amministrazione pubblica. La conseguenza inevitabile di questa deriva etica che ha determinato, fra l’altro, una preoccupante assuefazione della gente alle numerosissime situazioni di illegalità, è costituita dal venir meno della speranza nella possibilità di costruire una società più giusta e da una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Occorre un forte sussulto delle coscienze, una vera e propria rivolta morale. Bisogna rilanciare nella società contemporanea la cultura della legalità, il richiamo alla Costituzione repubblicana, ai valori dell’antifascismo, della politica non ridotta a meschini giochi di potere, ma dotata di progettualità e intesa come servizio alla collettività e al bene comune, come ci ha insegnato l’intera vicenda resistenziale.

Un altro dato altrettanto preoccupante è rappresentato dal pericoloso intrecciarsi della gravissima crisi recessiva che investe l'Europa e che sta mettendo in discussione le importanti conquiste del secolo scorso, con il rifiorire di movimenti neofascisti, neonazisti e populisti particolarmente attivi in paesi come l'Ungheria. Alcuni giorni fa in Ungheria un esponente del partito neonazista Jobbik proponeva addirittura di censire gli ebrei presenti in quel Paese, perché ritenuti un rischio potenziale per la sicurezza nazionale. Ma la cosa più vergognosa è che l'Unione europea che rimprovera i greci spendaccioni, non lo fa con i neonazisti di Jobbik né con il presidente del Consiglio ungherese Orbàn che ha sempre taciuto sull'attivissima partecipazione magiara alla Shoah. Anche nel nostro Paese che, se ha sconfitto il fascismo militarmente, non lo ha fatto culturalmente e idealmente e a Milano, città Medaglia d'Oro della Resistenza dobbiamo registrare il reiterarsi di manifestazioni e iniziative di tipo dichiaratamente fascista, con la preoccupante apertura di nuove sedi e di nuovi punti di riferimento concessi persino da enti pubblici, provocazioni culminate il 2 dicembre scorso con la gravissima aggressione neofascista ad un militante di un centro sociale milanese. Da tempo ormai abbiamo sostenuto e riaffermato l'urgenza di un impegno comune delle istituzioni, delle forze preposte alla difesa dell'ordine pubblico, dei partiti, dell'associazionismo, dei cittadini perché queste inaccettabili provocazioni e iniziative neofasciste abbiano finalmente a cessare e diventino improponibili a Milano, città democratica e antifascista.

Ricordare oggi la spaventosa e orribile strage neofascista di piazza Fontana ha anche questo significato: richiamare i pericoli che la nostra democrazia sta ancora correndo. Ma in questo giorno il nostro pensiero non può non andare alle vittime inermi di quella strage, a quei semplici lavoratori e commercianti la cui vita, le cui speranze sono state inesorabilmente spezzate e al dolore inconsolabile dei familiari, alle loro sofferenze e delusioni patite in questi lunghissimi anni.

I parenti sono stati colpiti due volte: per la perdita dei loro cari e per i depistaggi degli apparati dello Stato, per la copertura dei veri colpevoli, per lo spostamento del processo a migliaia di chilometri di distanza da Milano.

E il nostro commosso ricordo non può non andare alla diciottesima vittima di piazza Fontana, Giuseppe Pinelli, che, come osservò il 9 maggio 2009 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, fu vittima due volte, prima di pesantissimi infondati sospetti e poi di una improvvisa assurda e tragica fine. A tutta la sua famiglia va la nostra commossa e affettuosa vicinanza e solidarietà.

Ma ricordare non basta. La memoria deve essere contestualizzata storicamente se vogliamo che non si traduca solo in un semplice, anche se doveroso ricordo. Risulta ormai storicamente accertata la responsabilità neofascista e neonazista negli attentati del 12 dicembre 1969, così come evidenti sono le connivenze dei servizi deviati dello Stato, i depistaggi e le coperture internazionali. Le stesse sentenze di assoluzione per gli ordinovisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, scrivono che nei confronti dei padovani Freda e Ventura, non più processabili perché già assolti nei precedenti processi, sono emerse con le nuove indagini prove che, se fossero state disponibili molto tempo prima, avrebbero portato all'affermazione della loro responsabilità: colpevolezza storica provata, dunque, anche se non più traducibile in sentenza di condanna. La stessa sorte è toccata per la strage di piazza della Loggia a Brescia, con l'assoluzione di esponenti della cellula veneta di Ordine Nuovo. Questa sentenza rappresenta l’ultima umiliante vittoria di un’attività sistematica volta a distruggere e depistare le indagini, cominciata la mattina della strage, il 28 maggio 1974, con il frettoloso lavaggio con idranti della piazza e la raccolta dei reperti ritrovati dopo l’esplosione buttati in una discarica. Si ripeté a Brescia quanto avvenuto il 12 dicembre 1969 a Milano, dopo piazza Fontana, quando vennero fatte esplodere le bombe ritrovate alla Banca Commerciale Italiana.

Abbiamo raggiunto dunque una certezza storica: la matrice neofascista e lo scopo di intimidazione e di eversione che la strategia della tensione si proponeva. Ma è poco, troppo poco per un Paese civile; troppo poco per poter dire ai giovani che la giustizia non è arrivata ad individuare e a condannare i responsabili di simili tragedie. Il nostro stato porta su di sé il grave peso di una democrazia non pienamente compiuta, per le stragi impunite, le deviazioni accertate, le vittime a cui non è stata resa giustizia. Si chiedeva Luigi Passera nel trentennale della strage di Piazza Fontana come possa un Paese come il nostro concretizzare le sue ambizioni di sviluppo, senza perseguire e condannare coloro che nel passato hanno tentato di minare le sue fondamenta. Sulle stragi neofasciste che per decenni hanno insanguinato l'Italia giustizia non è stata fatta, nonostante gli sforzi di alcuni onesti e impegnati magistrati. Gli unici a dover pagare sono stati per piazza Fontana come per Brescia i familiari delle vittime, che avrebbero dovuto farsi carico delle spese processuali.

Ma noi non ci arrenderemo. Abbiamo un compito ben preciso, quello della memoria: quanto accaduto 43 anni fa deve diventare parte di una consapevolezza storica dell'intero Paese, non soltanto delle nuove generazioni ma anche dei tanti, dei troppi che hanno dimenticato. Non ci accontenteremo però della sola memoria. Continueremo ad esigere, a pretendere la verità, sugli autori materiali, ma anche sui depistatori e su coloro che, all'interno dello stato, hanno spinto nella direzione contraria alla ricerca della verità. Continueremo a cercare qualsiasi frammento di verità rimasto nascosto, continueremo a chiedere che si tolga completamente di mezzo, di fronte a simili tragedie il segreto di Stato, che si aprano gli archivi per la consultazione dei documenti ancora secretati, E continueremo a cercare la verità politica oltre che processuale. Ci batteremo per respingere ogni tentativo di eversione e di disgregazione della vita democratica, quale che sia la forma in cui esso venga attuato, esigendo rispetto della verità, della convivenza civile, dei valori fondanti della nostra democrazia, l'applicazione, la difesa e l'attuazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, baluardo e faro della nostra democrazia. È questo l'importante e impegnativo compito cui tutti noi siamo chiamati.

Roberto Cenati