Salta al contenuto principale

Fischia il Vento

Gli altri canti del coro "Suoni e l'ANPI"

Il testo è stato scritto dal colonnello Felice Cascione, comandante partigiano sulle montagne della Liguria e medaglia d’oro al valor militare, sull’aria del canto popolare russo Katiuscia, una canzone dell’esercito sovietico scritta nel 1938 dal poeta Michail Isakowski e portata in Italia dai nostri reduci dopo la campagna di Russia.

Quasi certamente il canto nasce negli ultimi giorni del 1943 o nei primissimi del 1944. È il canto che conobbe maggior diffusione e popolarità durante la lotta di Liberazione e tuttora è molto conosciuto. Nel libro “Taccuino alla macchia” di Guido Somano partigiano nel cuneese, alla data del 13 Febbraio 1944 si legge “…camminiamo tutta la mattina prima di riuscire a prendere contatto con Martinengo. I suoi uomini, che dapprima ci anno guardato con sospetto, ora fraternizzano con noi. Il loro morale è alle stelle. Cantano una canzone che non ho mai sentito e che è bellissima e che dice… …fischia il vento urla la bufera”

La corrente centrale della folla li derivò verso un assembramento di rossi: avevano issato un compagno su una specie di podio e lo invitavano, lo costringevano a cantare con una selvaggia pressione. Il ragazzo nicchiava, una fiera, tarchiata e grinning figura. Da intorno e sotto aumentarono le insistenze e quello allora intonò «Fischia il vento, infuria la bufera» nella versione russa, con una splendida voce di basso. Tutti erano calamitati a quel podio, anche gli azzurri, anche i civili, ad onta della oscura, istintiva ripugnanza per quella canzone così genuinamente, tremendamente russa. Ora il coro rosso la riprendeva, con una esasperazione fisica e vocale che risuonava come ciò che voleva essere ed intendere, la provocazione e la riduzione dei badogliani. L’antagonismo era al suo acme sotto il sole, il sudore si profondeva dalle nuche squadrate dei cantori. Poi il coro si spense per risorgere immediatamente in un selvaggio applauso, cui si mischiò un selvaggio sibilare degli azzurri, ma come un puro contributo a quell’ubriacante clamore. Qualche badogliano propose di contrattaccare con una loro propria canzone, ma gli azzurri, anche la truppa, erano troppo nonchalants e poi quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Disse Johnny ad Ettore che aveva ritrovato appena fuori della cintura rossa: - Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.

tratto da Beppe Fenoglio, "Il partigiano Johnny"