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La beffa del panzer rosa

La resistenza è rosa! Ossia, la storia vista attraverso il destino di un carro armato

Chi era adulto nel 1991 ricorda un anno vissuto con inquietudine e curiosità per la fine, attesa ma quanto mai rapida, della guerra fredda e del suo equilibrio fra Stati.
In quell'inizio di decennio infatti sta tramontando un'epoca, un mondo di certezze e contraddizioni che deflagrano con la voce delle generazioni cresciute nel cosiddetto 'secondo mondo', quello del “blocco sovietico”, che non fa più paura nemmeno alla sua stessa gente.

È l'anno della dissoluzione dell'Urss, con sempre più province che di proclamano indipendenti; dello sgretolarsi della Jugoslavia; dello scioglimento del Patto di Varsavia - a sottolineare il precario stato di salute del “blocco” -; l'anno in cui il Partito comunista italiano si trasforma in Partito dei democratici della sinistra (PdS); della prima Guerra del Golfo; della fine dell'apartheid in Sudafrica; l'anno di un panzer tutto rosa.

Nel 1991 il mondo si alza diverso ogni mattina e, in una di queste, il carro armato simbolo del dominio sovietico a Praga e monumento cittadino brilla di una smagliante e poco militaresca vernice rosa.
Il blindato numero 23 però non è solo l'emblema della mancanza di libertà dei cechi, almeno non lo è sempre stato e per questo motivo rappresenta i loro sogni infranti, una storia di sottomissione, violenza e sopportazione iniziata con l'occupazione nazista e proseguita per mezzo secolo sotto l'Unione Sovietica.

Era il 1945 quanto l'armata rossa liberò la Cecoslovacchia dai tedeschi. I soldati vennero accolti come salvatori, forieri di un mondo nuovo, di un uomo nuovo. La realtà fu ovviamente un'altra: sotto il controllo e l'influenza dell'Urss il partito comunista ceco andò al potere e vi rimase fino al 1989 quando il paese si diede un governo democratico grazie alla cosiddetta rivoluzione di velluto..
Il regime post guerra si industriò per creare accoliti e costruire il mito di sè stesso. Fu così che il primo carro armato sovietico entrato in città nel '45, il numero 23 appunto, venne eletto a simbolo della liberazione e rimase esposto alla gratitudine dei passanti, che impararono a vederlo più come un monito che come un ricordo.

Non a caso il rapporto della città con i blindati non doveva concludersi con l'installazione del suddetto tank. Dei carri armati in tutto simili a quello infatti tornarono anni dopo e non da libertori.

È il 1968, dopo la salita al potere di Alexander Dubcek in Cecoslovacchia si avvia una stagione riformista - la Primavera di Praga - per un “socialismo dal volto umano”.
Il nuovo capo del governo vuole concedere maggiore libertà di parola, di stampa e di movimento; il blocco sovietico però non può tollerare autonomie, aperture, incrinature in un sistema mondiale di equilibrio talvolta precario.
Nella notte fra il 20 e il 21 agosto le truppe del patto di Varsavia invadono il paese, riaffermando il proprio controllo e spezzando il sogno di una generazione, quella degli studenti, e dei dissidenti da anni “sotto chiave”.
Il risveglio per il popolo è brusco, il messaggio al mondo chiaro, ma la Primavera di Praga segna anche un punto di non ritorno per l'Urss. Si dovrà comunque attendere il crollo del muro di Berlino e la fine dell'impero dei soviet per avviare un nuovo capitolo anche della storia ceca che, di fatto, ha inizio nel '92 quando il parlamento federale approva la suddivisione del paese in due stati, Repubblica Ceca e Slovenia, effettiva dal 1 gennaio 1993.

In tutti questi giri e rigiri il carro armato rosa irrompe nella storia proprio nella sua fase di cambiamento. Si impone come una risata, come un ricordo o una speranza per un cambiamento reale, per scuotere le menti atrofizzate dal pensiero unico e dalla paura, per sottolineare quanto alla politica manchi un tocco di poesia, di follia creativa, di libertà per il singolo.

L'autore della beffa di protesta contro la presenza delle truppe sovietiche è uno studente, David Cerny - oggi noto artista - il quale, oltre a vedere ben presto il carro tornare al suo originario colore verde mimetico, viene arrestato per la sua impudenza. La fase di transizione è delicata e un libero pensatore - che ridicolizza e denuncia il padre padrone, la sua virilità e chi l'ha servito lungamente - può destabilizzarla.

Oggi in Cecoslovacchia il carro armato, che dopo un altro paio di passaggi di colore, era stato rimosso dalla piazza, è tornato ad essere un simbolo ma non di oppressione, bensì della fine del dominio russo. Così, dopo vent'anni da quell'alba sfrontata, nel 2011 è stato fatto uscire temporaneamente dal Military Technical Museum Lešany e fatto sfilare, sempre dipinto di rosa, sulle acque della Moldava – il fiume che attraversa Praga – durante la Settimana della libertà. Un unico elemento di novità: un gigantesco dito medio alzato al posto del cannone. I tempi sono cambiati e l'antimilitarismo può essere più esplicito, almeno come espressione artistica.

Se c'è una morale in tutta questa vicenda è che niente dura per sempre; che la centralità dell'essere umano, delle sue esigenze e aspirazioni, è costantemente delusa dalla politica che per questo motivo viene spesso contestata; infine che, in un mondo dalla memoria debole e talvolta opportunistica, certi simboli sono buoni in tutte le stagioni, basta saperli usare.

Gemma Bigi

Si ringrazia Alena Kopeckà per la consulenza

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