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David Giuseppe Diena

Nato a Carmagnola (Torino) il 16 dicembre 1883, ucciso nel lager di FlossenbŒrg il 2 marzo 1945, medico.

Di famiglia ebrea, si era laureato in medicina e chirurgia e, nel 1909, fu uno dei fondatori della Società Italiana di Gastroenterologia. Ufficiale volontario durante la Prima guerra mondiale, chiese di combattere in prima linea. Tornato a Torino, Diena s'impegnò particolarmente nella Croce Verde, un'istituzione sociale che, allora, era molto attiva nell'assistenza agli emigrati, agli ammalati e agli operai. Agli albori del fascismo, aderì al movimento Democrazia Sociale, una piccola formazione politica sorta da una scissione del Partito radicale. Nel 1928, Diena ottenne la libera docenza all'Università di Torino. Frequentava ambienti antifascisti e, nel 1938, l'illustre clinico (che aveva sposato la cattolica Elettra Bruno), fu parzialmente colpito dalle leggi razziali: poté, infatti, continuare ad esercitare la sua professione, a condizione di avere in cura soltanto pazienti ebrei. Nel 1942 (gli era stato trovato in casa un opuscolo considerato antitedesco), David Giuseppe Diena fu arrestato con uno dei figli, Giorgio, rinchiuso alle "Nuove" e denunciato al Tribunale speciale. Rilasciato dopo sei mesi, Diena riprese in qualche modo la sua attività, sino all'8 settembre 1943. Con l'armistizio, pensando di sfuggire così alle persecuzioni dei nazifascisti, il professore si rifugiò con la moglie sulla collina torinese, a Cavoretto, mentre i figli, Giorgio e Paolo, prendevano la strada della montagna per unirsi alle prime formazioni partigiane. Per il clinico torinese la precauzione non fu sufficiente. Arrestato dai nazifascisti il 29 agosto 1944, alle spalle di Giuseppe Diena si chiudevano, il 22 settembre, i cancelli del campo di concentramento di Bolzano. Tre mesi dopo: la deportazione a FlossenbŒrg. Nel lager tedesco, il medico si prodigò per assistere i compagni di prigionia, sino a che i nazisti lo uccisero a bastonate. A Torino, nell'androne della casa di via Mazzini, 12, dove i Diena abitarono, una lapide fatta apporre dagli amici ricorda il clinico ucciso in Germania e il figlio Paolo. Sulle loro figure, nel 1998, "Il Mulino" ha pubblicato, di Alberto Cavaglion, Per via invisibile.