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Mario Jacchia

Nato a Bologna il 2 gennaio 1896, trucidato a Parma il 20 agosto 1944, avvocato, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Il corpo di "Rossini" - questo il nome che aveva scelto durante la Resistenza - non ha mai avuto sepoltura. Si sa soltanto che dopo essere stato catturato dai fascisti (e lo presero perché si era attardato per distruggere documenti e anche per consentire che i suoi compagni del Comando di Zona Nord Emilia si allontanassero dal luogo di riunione, che era diventato una trappola), questi lo consegnarono ai tedeschi. I nazisti, dopo averlo torturato inutilmente per giorni per ottenere preziose informazioni, lo eliminarono e fecero sparire il cadavere. Quella di Jacchia è davvero una singolare figura della Resistenza. Nazionalista, era stato ufficiale nella prima guerra mondiale, durante la quale era stato gravemente ferito e pluridecorato. Finito il conflitto fu attivo nelle formazioni paramilitari nazionaliste, sino ad iscriversi al fascio di Leandro Arpinati. Se ne dissociò quando i suoi camerati aggredirono anche suo fratello e suo padre, aggressione alla quale di lì a non molto seguì l'incendio del suo studio di avvocato. Sono le leggi razziali del 1938 a far compiere a Mario Jacchia il salto di qualità. Le leggi antiebraiche gli impediscono di svolgere la professione forense? Lui s'incaponisce e riesce a portare avanti una difficile pratica di "arianizzazione" e a farsi riammettere nell'allora sindacato degli avvocati. Ormai, però, il suo obiettivo è liberare l'Italia dal fascismo. Nel 1942 entra in contatto con il movimento clandestino comunista. Sul finire dello stesso anno fa già parte del primo Comitato unitario di azione antifascista bolognese. Con altri ebrei bolognesi politicamente attivi, "Rossini" costituisce il locale Partito d'azione. Tenta anche di organizzare, senza riuscirci, un movimento antifascista tra i militari. L'8 settembre 1943, allo scopo di collegare le forze dell'antifascismo con l'Esercito ed organizzarne la sollevazione, va a Roma ed incontra Cadorna, che diventerà poi comandante del Corpo volontari della libertà. Non riesce subito nel suo intento e torna a Bologna, dove entra nel Comitato militare del CLN dell'Emilia-Romagna in rappresentanza delle formazioni Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione. Da quel momento e sino all'arresto, tutti i partigiani del Nord dell'Emilia combattono al comando di "Rossini" i nazifascisti.