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Giuseppe Cargioli

Nato a Fosdinovo (Massa Carrara) il 22 marzo 1928, deceduto a Lerici il 18 agosto 2014. Nome di battaglia: "Sgancia".

Giuseppe Cargioli è ancora ragazzino quando i genitori si trasferiscono in provincia di La Spezia, sono mezzadri, povera gente con prole numerosa (6 maschi e una femmina), e lui a 16 anni è operaio “scalda-chiodi” al cantiere navale del Muggiano.

Già nei primi mesi del ’44 è attivo nella Resistenza distribuendo volantini antifascisti realizzati in una tipografia clandestina di Lerici, alla Rocchetta, con una stampatrice installata in una cisterna sotterranea. A giugno, dopo aver preso parte agli scioperi contro l’occupazione, viene arrestato e condotto alla stazione per essere deportato in Germania: si salva grazie alla pietà di un ufficiale tedesco che lo butta giù dal treno per farlo scappare.

Giuseppe si unisce alle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, poi al Battaglione Internazionale di Gordon Lett (che una volta scortò oltre la linea del fronte) e infine alle Brigate Garibaldi “Vanni”, “Lunense” e “Ugo Muccini”. Gran camminatore, diventa uno dei più esperti conoscitori dei sentieri della Lunigiana, tanto che gli vengono affidati gli ordini di sganciamento delle varie brigate.

Da qui il suo nome di battaglia, “Sgancia”, mentre lui avrebbe preferito chiamarsi Napoleone.

In agosto è testimone della strage nazista di Bardine, in cui vennero trucidati 53 rastrellati a Sant’Anna di Stazzema e Valdicastello e 103 abitanti di San Terenzo: “Ho visto le persone uccise a raffiche di mitra e i corpi appesi ai pali, col cartello che ne vietava la sepoltura”, ricordava.

A dicembre "Sgancia" è nuovamente preso in un’imboscata (assieme al commissario politico Paolino Ranieri, comandante “Andrea”), rinchiuso nella caserma del 21° Reggimento Fanteria a La Spezia e torturato per quasi un mese dalla banda Gallo, riuscendo a non parlare. Liberato in uno scambio di prigionieri, partecipa alla Liberazione di Sarzana.

Nel dopoguerra si sposa ed emigra in Australia come saldatore specializzato, si iscrive al Partito comunista australiano e fonda una sezione ANPI intitolata ai fratelli Cervi. Rientrato in Italia nel 1980, si stabilisce a Lerici, impegnandosi nel Pci, poi con Rifondazione e per tutta la vita nelle battaglie dell’ANPI, sempre con la bandiera della sezione di Lerici (cucita dalla moglie Lina) e il fazzoletto tricolore al collo.


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