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Enrico Brambilla

Nato a Torino il 26 febbraio 1926, deceduto a Torino l'11 agosto 2007, tecnico industriale.

Dopo l'8 settembre 1943, appena ricevuta la "cartolina precetto" per l'arruolamento nell'esercito della RSI, il ragazzo aveva lasciato la sua casa e si era unito ai primi partigiani della XIX Brigata Garibaldi, operativa tra i vigneti del Monferrato e le rupi della Valle di Lanzo.
In uno dei tanti scontri con i nazifascisti "Silvio" (questo il nome di battaglia, che avrebbe poi sostituito con quello di "Marco"), era anche rimasto leggermente ferito. Ma non aveva rinunciato alla lotta. Nemmeno quando, il 13 novembre del 1944, in una trasmissione dell'emittente Italia combatte (la stazione radio attraverso la quale il comando anglo-americano manteneva i contatti con le formazioni del CLN), fu comunicato il proclama del comandante supremo dell'esercito alleato in Italia.
Con gli Alleati assestati sulla "linea Gotica", Harold Alexander, ordinava ai partigiani in primo luogo di "cessare le operazioni organizzate su larga scala"; quindi di conservare le munizioni e i materiali; di tenersi pronti a nuovi ordini, senza esporsi in operazioni arrischiate. Il proclama, diramato in un momento cruciale della guerra di Liberazione, con i rastrellamenti nazifascisti sempre più massicci, fu giudicato negativamente dalla maggior parte delle forze della Resistenza e creò scompiglio in alcune formazioni. Anche in quella di "Silvio". Egli riprese la via di casa, sapendo di poter trovare un rifugio sicuro dai suoi, che abitavano a Torino in un edificio unifamiliare.
Nel capoluogo piemontese il ragazzo non se ne restò però rintanato e, dopo qualche giorno, si aggregò ad un piccolo gruppo di giovani della VII Brigata SAP "De Angeli", attivi alla periferia del capoluogo. Ignorando l'invito del generale Alexander a non esporsi a operazioni arrischiate, si spostava in bicicletta per la città. Spesso lo faceva aggrappato a qualche autocarro carico di militi neri (espediente che sosteneva essere meno pericoloso, perché non si correva il rischio di essere fermati per qualche controllo) e portava a segno piccoli colpi, come il disarmo di fascisti incontrati isolati, estraendo fulmineamente la "Beretta", che aveva occultato in un vano ricavato tra le pagine di un libro sufficientemente voluminoso.
Dopo qualche tempo, nel marzo del 1945, Enrico Brambilla riprese la via dei monti. Inquadrato nella II Brigata "Bruno Buozzi" delle formazioni "Matteotti" lottò contro i nazifascisti sino alla Liberazione.
Nel dopoguerra intraprese la professione di tecnico, spostandosi per lavoro in molti Paesi (sposò, non a caso, una ragazza svedese), ma il ricordo degli anni della Resistenza non lo abbandonò mai. Conservava, tra le cose più care, una vecchia foto che lo ritraeva nelle vesti di garibaldino e un attestato firmato da Sandro Pertini. Un giorno, sentendosi morire, aveva raccomandato ai suoi: "Sotto il mio nome, scrivete partigiano".