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Attualità della resistenza: "Senza nulla chiedere in cambio"

Quello che segue è l'intervento di Roberto Cenati, presidente dell'Anpi provinciale di Milano, svolto a Pessano con Bornago, domenica 9 Marzo, a ricordo di sette partigiani fucilati dai nazisti e dai repubblichini.

Oggi siamo qui a ricordare il barbaro eccidio dei 7 partigiani trucidati, a Pessano con Bornago, da un plotone composto da tedeschi e repubblichini su ordine del comando militare tedesco il 9 Marzo del 1945. La fucilazione avviene, come atto di rappresaglia, a seguito di un'azione compiuta l'8 marzo 1945, contro il comandante dell'organizzazione Speer di Pessano con Bornago, da parte di una Squadra di azione patriottica. La Sap faceva parte della 184a Brigata Garibaldi Falck di Sesto San Giovanni che era alla ricerca di armi.

La notizia si diffonde rapidamente in tutto il paese, suscitando terrore nella previsione di una feroce rappresaglia nazifascista. Tutti gli uomini fino a cinquant'anni e i giovani fuggono quella sera da Pessano, nel timore di un rastrellamento generale. Cominciano gli interrogatori e le minacce contro i cittadini, nonostante l'intervento del parroco volto a scagionare la popolazione.

Il 9 marzo 1945 alle ore 18,10 un camion, scortato da militari tedeschi e italiani, trasporta al comando tedesco, presso le scuole elementari, otto ostaggi, provenienti dal carcere di Monza. Alle 18,50 sette partigiani vengono fucilati sul posto dove era stato ferito l'ufficiale tedesco. Il giovane partigiano Carletto Vismara viene risparmiato solo per la sua giovane età. Si salva così da una atroce morte, ma lo si costringe ad assistere al compiersi dell'eccidio.

Il ruolo della Repubblica di Salò
Sono due i dati che colpiscono: la giovanissima età dei sette partigiani fucilati: Alberto Gabellini (30 anni, comandante della 193a e della119a Brigata Garibaldi), Mario Vago (22 anni della 182a Brigata Garibaldi), Romeo Cerizza (22 anni della 110a Brigata Garibaldi), Dante Cesana (25 anni della 119a Brigata Garibaldi), Claudio Cesana (21 anni uno dei promotori dello sciopero del 1943 a Sesto San Giovanni), Angelo Viganò (25 anni della 119a Brigata Garibaldi), Angelo Barzago (anni 20 della 201a Brigata Giustizia e Libertà) e la partecipazione all'eccidio di militi della Repubblica di Salò.

Si distingue in modo particolare quel Luigi Gatti responsabile di torture di antifascisti e di reiterati omicidi compiuti a Monza ed altrove. La presenza di militi della Repubblica di Salò è la dimostrazione del fatto che i repubblichini non solo furono al servizio dei tedeschi ma collaborarono attivamente alla denuncia, alla cattura e alla fucilazione di partigiani, ebrei, oppositori politici. Un altro dato balza subito in evidenza. Mario Vago, prima di morire, grida “Viva l'Italia”, a testimonianza del fatto che i partigiani lottavano per liberare il nostro Paese dal nazifascismo, sacrificarono la propria vita per un'Italia libera e democratica e non per altri fini, come sostiene Giampaolo Pansa nel suo provocatorio ultimo libro, nel quale paragona le azioni di Giovanni Pesce, Medaglia d'Oro al Valor Militare a quelle terroristiche degli anni settanta. Tutto ciò è inaccettabile.

Lo sciopero del marzo 1944
Proprio in questi giorni ricorre il settantesimo anniversario dello sciopero del Marzo 1944, proclamato dai Comitati segreti di agitazione di Lombardia, Piemonte e Liguria. Quella formidabile protesta operaia, alla quale si unirono gli impiegati, i tranvieri milanesi, i tipografi del Corriere della Sera, è stata definita dal New York Times e da Radio Londra come “la più grande manifestazione di massa mai effettuata nell'Europa occupata dai nazifascisti”.

Lo sciopero generale, iniziato alle ore 10,00 del primo Marzo 1944, si estende a macchia d'olio a Milano e nei numerosi comuni della sua provincia. Quello sciopero ha registrato la massiccia partecipazione delle donne, senza le quali la Resistenza non avrebbe potuto essere quel grande fenomeno di massa che è stata. Se gli scioperi di un anno prima, del marzo 1943, erano caratterizzati da rivendicazioni di carattere economico e salariale, quello del marzo 1944 è, invece, uno sciopero prevalentemente politico contro la fame, la guerra, il nazifascismo. Lo sciopero generale segna il passaggio del mondo del lavoro all’azione diretta, che poi sfocerà nella Resistenza e nella guerra partigiana. A quegli scioperi seguirà una feroce azione repressiva condotta da tedeschi e repubblichini, con arresti e deportazioni nel lager che, per gli oppositori politici e i lavoratori italiani arrestati si chiamava Mauthausen. Ma da quegli scioperi arriva a noi un forte messaggio, che per la libertà, i diritti, contro i soprusi valeva e vale la pena di battersi, pagando anche prezzi molto alti, come furono quelli pagati dai lavoratori nel marzo 1944.
Proprio nella primavera del 1944 comincia e si consolida nel nord est milanese, l'organizzazione del movimento partigiano. Il nucleo più consistente era organizzato nella divisione Fiume Adda, dal cui comando unificato dipendevano altre brigate, tra le quali la XI brigata Matteotti che aveva un distaccamento anche a Pessano.

Verso la Liberazione
Ai primi di marzo del 1945, mentre l'Armata rossa avanza in territorio tedesco e gli angloamericani raggiungono il Reno, la repubblica di Salò ha i giorni contati e non è intenzione dei Comandi partigiani aspettarne la morte per asfissia. Quanto è accaduto in occasione della liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, con la mancata insurrezione non deve ripetersi, secondo gli intendimenti dei Comandi partigiani, nell'Italia settentrionale. Tanto meno a Milano, capitale politica e morale della Resistenza: un trapasso di poteri indolore dai fascisti agli alleati andrebbe a unico vantaggio dei circoli moderati e reazionari. Si accentua l'impegno di lotta senza compromessi e nella combattività delle formazioni partigiane sta il motore che trascinerà i recalcitranti affinchè all'arrivo degli Alleati siano già insediati e deliberanti i nuovi organismi dirigenti, espressione della riconquistata volontà democratica e popolare.
Dai primi di marzo del 1945 non passa giorno senza che si verifichino fermate di protesta nelle fabbriche, comizi all'interno degli stabilimenti, manifestazioni di donne per protestare contro l'inadeguatezza delle razioni alimentari. È una marea che monta fino al 28 marzo, quando più di cento fabbriche milanesi scendono in sciopero per due ore raggiungendo punte di astensione non più registrate dal marzo 1944.

Significato della Resistenza
A distanza di 69 anni il ricordo commosso di avvenimenti come l'eccidio dei sette patrioti a Pessano con Bornago e delle numerose barbare stragi perpetrate dai nazifascisti tra il 1943 e il 1945, rimane ancora profondamente vivo in tutti noi.

La memoria di chi ha sacrificato la propria giovane vita per la nostra libertà esige un profondo esame di coscienza da parte nostra su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che i Combattenti per la Libertà ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi.
Dobbiamo infatti affrontare, nel nostro Paese, una drammatica crisi economico sociale che sta mettendo in discussione il futuro delle giovani generazioni e che rischia di provocare il disgregarsi della convivenza civile, la miseria, la messa in discussione delle basi, delle fondamenta della stessa democrazia e delle conquiste realizzate nel secolo scorso.
Essa si intreccia con una delicatissima crisi politica ed istituzionale, con la messa in discussione dei principi della legalità repubblicana, con la caduta senza precedenti dell’etica pubblica, in una società che celebra ogni giorno, il rito dell’effimero, del successo individuale, della scomparsa della solidarietà.

La politica come servizio al bene comune
La conseguenza inevitabile di questa deriva etica che ha determinato, fra l’altro, una pericolosa assuefazione della gente alle numerosissime situazioni di illegalità, è costituita dal venir meno della speranza nella possibilità di costruire una società più giusta e da una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica. Occorre, da parte nostra, recuperare la concezione della politica che ci viene dalla Resistenza. I combattenti per la Libertà lottavano e sacrificavano la loro giovane vita senza chiedere nulla in cambio, per il bene collettivo. Questa dimensione della politica intesa come servizio disinteressato e non come occupazione di posti va rilanciata nella società contemporanea se si vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni. Ricordava Giacomo Ulivi, fucilato a 19 anni a Modena il 10 Novembre 1944, dalla Guardia nazionale repubblicana, in una bellissima Lettera dei Condannati a morte della Resistenza italiana che “il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale” è stato quello di inchiodare in molti italiani il pregiudizio “della sporcizia della politica”. “Lasciate fare a chi può e chi deve; voi lavorate e credete, questo dicevano”. Questa abdicazione ha determinato tutte le sciagure che si sono abbattute sul nostro Paese negli anni della dittatura fascista. E concludeva Ulivi: “Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma che ogni sciagura è sciagura nostra. Se ragioniamo, il nostro interesse e quello della cosa pubblica finiscono per coincidere”. È questo forte richiamo che ci viene da lontano che va recuperato, se vogliamo evitare che il crescente distacco dei cittadini dalla cosa pubblica possa rappresentare un pericolo per la stessa tenuta delle istituzioni democratiche nel nostro Paese.

La battaglia contro i rigurgiti neofascisti
Ricordare per noi è un dovere, soprattutto in questi tempi, in cui la tentazione di cancellare la memoria è ricorrente, spesso mascherata dalla strumentale necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del passato, il suo stravolgimento e la sua cancellazione, comprese le iniquità e le infamie del fascismo e della Repubblica di Salò, la cui storia e i cui simboli vengono ripresi e rivalutati da rinascenti movimenti neofascisti e neonazisti che cercano sempre più di trovare spazio nei comuni della nostra provincia e della nostra regione che tanto hanno dato per liberare il nostro Paese dal nazifascismo.
Gli esponenti della pseudo repubblica di Salò, è bene ricordarlo a chi vuole ancora oggi mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini, furono definiti da una sentenza del 16 luglio 1945 della Suprema Corte di Cassazione, traditori e collaborazionisti del nemico.
In questo quadro si verificano episodi gravissimi come quelli legati alle indecenti e offensive dichiarazioni della consigliera provinciale di Fratelli d'Italia, Roberta Capotosti che ha recentemente definito la Shoah come “un'inutile perdita di soldi, di fiato e di tempo”. La più ampia libertà di espressione garantita dalla Costituzione non significa assolutamente libertà di incitamento all'antisemitismo, alla xenofia e al razzismo.
Il ripresentarsi di rigurgiti neofascisti ha una spiegazione ben precisa. Se il fascismo è stato sconfitto militarmente nel nostro Paese il 25 aprile 1945, non lo è stato culturalmente, idealmente e storicamente. Molte persone non conoscono bene cos’è stato il fascismo, quali tragedie ha provocato al Paese e non sanno che il fascismo non promise mai l’emancipazione e la liberazione dell’uomo e tanto meno della donna. Prima e dopo la conquista del potere il fascismo dichiarò sempre apertamente di considerare le masse un materiale da plasmare per conseguire gli obiettivi della sua politica di dominio e di potenza.

La Costituzione repubblicana
C'è però un faro che deve illuminare il nostro cammino, costituito dalla preziosa eredità lasciataci dalla Resistenza i cui valori di democrazia, solidarietà e pace con al centro l'uomo, vanno rilanciati nella società contemporanea che sembra aver perso la propria identità. La Resistenza non fu solo quel grande moto unitario di partiti e di popolo, di uomini e di donne che, pur prive del diritto di voto, lottarono per liberazione del nostro Paese dal nazifascismo. Fu anche, nelle sue più profonde e consapevoli ispirazioni, anelito per la costruzione di un nuovo stato e di una nuova società. Fu guerra alla guerra, aspirazione ad un mondo di pace finalmente risanato dalla piaga del nazionalismo esasperato, all'origine della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.

Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, teorizzata da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, di un’Europa politicamente e socialmente unita, che deve guardare, alle sofferenze della gente, stella polare dell'Italia repubblicana insieme alla Carta Costituzionale. Costituzione che Piero Calamandrei definì come la Resistenza tradotta in formule giuridiche, proprio per il suo forte richiamo ai valori di libertà, di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di solidarietà, di pace, di democrazia fondata sulla partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, come prevede l'articolo 3 della nostra Carta. La nostra Costituzione non ha bisogno di essere modernizzata, ma va difesa e conservata nella sua impalcatura fondamentale rappresentata dall'equilibrio dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana. La gravissima depressione economica e sociale, il dramma della disoccupazione non si superano cambiando la Costituzione, ma attuandola pienamente nei suoi principi fondamentali, garantendo a tutti il diritto al lavoro, la parità uomo donna, una vita dignitosa.

Il momento che stiamo attraversando è grave e delicato. Ma noi non dobbiamo perdere la speranza. Altiero Spinelli nel suo libro, Come ho tentato di diventare saggio” afferma: “Nel tetro inverno '40-'41, quando quasi tutta l'Europa continentale era stata soggiogata da Hitler, l'Italia di Mussolini ansimava al suo seguito, gli Stati Uniti erano ancora neutrali e l'Inghilterra solo resisteva, proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme “un manifesto per un'Europa libera ed unita” e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente. Ero fra quelli che non capitolavano, che anche nei momenti più bui pensavano che la battaglia non era ancora persa; ero andato addirittura progettando quel che si sarebbe dovuto fare dopo l'abbattimento dell'orda nazista.” Non dobbiamo perdere la speranza ma continuare la battaglia per la libertà, per la democrazia, per la difesa e attuazione della Costituzione, per la costruzione di una società più giusta, se vogliamo raccogliere l'eredità spirituale dei Combattenti per la Libertà. Questo è l'impegnativo compito che attende tutti noi.