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La grande lezione di Mattarella sul dovere della memoria

Signor Presidente della Repubblica Federale di Germania,

Signor Presidente della Regione Toscana Rossi,

Signor Sindaco Giannetti e cittadine e cittadini e di Fivizzano,

siamo qui per rendere omaggio a vittime, a comunità, a luoghi, verso i quali, durante la Seconda guerra mondiale, la disumanità nazifascista manifestò tutta la propria ferocia.

Presidente Steinmeier,

l'Italia Le è grata per avere voluto intervenire qui, oggi, alla commemorazione del 75° anniversario delle stragi perpetrate nel Comune di Fivizzano.

La Sua sensibilità, Presidente, nei confronti del valore della memoria è ben nota.

Ella ha voluto testimoniarla sin dal Suo primo viaggio a Roma, da Presidente neoeletto della amica Repubblica Federale Tedesca, nel maggio del 2017, con la Sua visita al Mausoleo dei Caduti delle Fosse Ardeatine.

Memoria e verità sono alla base delle democrazie.

I popoli italiano e tedesco, negli anni fra i due conflitti mondiali, vissero esperienze tragiche e parallele.

La progressiva perdita di fiducia nei valori al centro della storia europea - il rispetto della vita, della dignità di ogni persona, della libertà individuale e collettiva - unitamente alla deformazione dell'idea di nazione, permise a regimi che avevano a spregio la democrazia di giungere a esercitare un potere assoluto, portando i nostri due popoli a combattere infauste guerre di aggressione, il cui scopo ultimo era l'aberrante costruzione di un sistema fondato su forza e arbitrio, sull'oppressione dell'uomo sull'uomo.

La notte delle coscienze condusse a immani tragedie, come quelle che ebbero luogo nel Comune di Fivizzano, le cui vittime oggi solennemente ricordiamo. Vittime, uccise per feroce volontà di morte.

La “guerra ai civili” caratterizzò, infatti, la dolorosa scia di lutti che, sul finire del secondo conflitto mondiale, portarono alla Toscana – insieme all'Emilia Romagna – il triste primato di Regioni italiane con il maggior numero di caduti a causa di stragi ed eccidi, del tutto al di fuori da ogni logica di confronto bellico.

La guerra totale di annientamento, che il regime nazista riservava ai popoli sottomessi, non risparmiò la Lunigiana.

La disumanità, il terrorismo senza scrupoli praticato dalle SS e dai brigatisti neri repubblichini, ha crudelmente segnato la vita di questa parte d'Italia, della sua gente.

Fivizzano, nel dopoguerra, è tornato a esprimere, nella tranquillità della vita quotidiana, la serenità di gente operosa e creativa, di importante centro di cultura, legato alla tradizione della stampa.

La ritrovata bellezza e quiete di questi luoghi non può, peraltro, distoglierci da quell'”esercizio della memoria” che ci vede qui riuniti.

Sarebbe ingannevole pensare che quegli episodi siano avvenuti perché si trattava di un'altra, ben diversa epoca. Che chi se ne è reso colpevole appartenga a un tempo e un luogo lontani, che non sono quelli di oggi.

La pretesa che, in fondo, quei morti, quelle distruzioni, non siano attuali e che, quindi, non ci riguardino, quasi che fossero altre le comunità colpite, estranee le condizioni, è infondata. Quelle vicende non sono un passato doloroso ma archiviato, anzi, da dimenticare!

Al contrario, quei morti ci impongono di guardare con consapevolezza mai attenuata quei fatti.

Se accedessimo alla tesi dell'oblio, rischieremmo di dimenticarci anche che in quei drammi affondano le radici e le ragioni del lungo percorso che, attraverso la lotta in Europa contro il nazifascismo, attraverso la Resistenza, con il recupero dei valori democratici e di libertà, ci ha portato alle nostre Costituzioni e nel successivo percorso di integrazione europea, alla nostra comune prospettiva storica.

Se tutto questo non venisse sempre ricordato si realizzerebbe una fuga da noi stessi, dalla nostra storia, con il prevalere dell'incomprensione di ciò che siamo, con il prevalere dell'indifferenza, dell'estraneità verso ciò che autenticamente costituisce la nostra Repubblica.

Si tratta di un rischio grave, che ci ruberebbe quella nostra storia di sofferenza e di riscatto.

Offenderebbe il sacrificio dei nostri concittadini ai quali è stata sottratta la vita.

Pretenderebbe di annullare il lutto dei familiari e il dolore di un'intera collettività.

Questo non può accadere.

La grande intellettuale tedesca, Hannah Arendt, ci ammoniva: “E' nella natura delle cose che ogni azione umana che abbia fatto una volta la sua comparsa nella storia del mondo possa ripetersi anche quando non appartiene a un lontano passato.”

Nel corso della visita ufficiale compiuta a Berlino nel gennaio scorso, ho trovato lo stesso messaggio, all'ingresso del memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa, espresso con parole di Primo Levi:

“È accaduto, quindi può accadere di nuovo”.

Una frase che, nella sua scabra semplicità, permea di significato la cerimonia di oggi perché, continua Levi in un altro passo: “le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.

Il nostro futuro non può consistere nel ritorno a un passato di distruzioni, di oppressione dei popoli, di eccidi.

È nostro dovere impedire che si creino condizioni in cui questo possa riprodursi.

La nostra democrazia, i nostri valori di libertà, la spinta ideale che ha permesso all'Europa di risollevarsi e di riconciliarsi con se stessa, si fondano e si sviluppano proprio a partire dal sangue versato da innocenti, come avvenuto qui, e dal conseguente commosso grido dei padri fondatori dell'Europa: “mai più guerre, mai più lutti”.

Un appello - monito e implorazione al tempo stesso - che trovò eco attenta nelle coscienze di coloro che - sopravvissuti all'abisso della barbarie - si posero come obiettivo la costruzione di una nuova Europa, finalmente pacificata, nella quale ostilità e sopraffazione fossero bandite.

Signor Presidente Steinmeier,

il significato della cerimonia di oggi, come di quelle alle quali parteciparono i nostri predecessori a Marzabotto e a Sant'Anna di Stazzema, rappresenta ricordo, appello al pentimento e alla riconciliazione.

Furono, insieme, italiani e tedeschi a scatenare la follia omicida contro una popolazione inerme, fatta di anziani, bambini e donne, alcune anche in stato di gravidanza.

Di fronte a quei crimini siamo oggi qui, fianco a fianco, tedeschi e italiani, a chinare il capo verso le vittime, a invocare perdono.

Accanto alle sovrastanti e assolute colpe personali di chi si macchiò di quei crimini si aggiungono quelle storiche, politiche; e i peccati di omissione.

Questi tragici avvenimenti assegnano a noi tutti una grave responsabilità.

La storia ci insegna che, di fronte alla barbarie, interi secoli di civiltà possono venire annientati in un momento.

Quel “mai più”, allora, non è solo eredità della nostra storia recente, ma è la consegna che deve accompagnare ogni giorno il nostro essere cittadini, il clima e i comportamenti giorno per giorno della vita quotidiana.

I popoli della Repubblica Federale di Germania e della Repubblica Italiana hanno saputo, con determinazione, superando il dolore e le avversità, riprendere in mano il proprio destino e risalire dagli abissi in cui li avevano trascinati il nazismo e il fascismo, contribuendo alla costruzione dell'Unione Europea, uno dei più grandi spazi di libertà che esista al mondo.

Signor Presidente,

Signore e Signori,

l'impegno al quale siamo chiamati è, insieme, personale e collettivo: che quel “mai più“appartenga anche alle sfide dell'oggi.

Che alle giovani generazioni venga consegnato un mondo in pace, dove l'odio e l'avversione fra i popoli siano banditi e a prevalere siano i valori del dialogo e del rispetto reciproco.

Lo esige la civiltà, lo esigono i morti di Fivizzano.

Sergio Mattarella

Fivizzano

25 agosto 2019

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