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Contro ogni fascismo, anche se non ha la camicia nera

Quello che segue è l'intervento di Roberto Cenati, presidente provinciale di ANPI Mìlano alla manifestazione per ricordare i martiri di piazzale Loreto.

“La sera del 10 agosto 1945 in piazzale Loreto – ricordava Antonio Greppi, il primo sindaco della Milano liberata -il popolo milanese si raccolse per la commemorazione dei Quindici Martiri, nel primo anniversario del sacrificio. Una stele di marmo era stata eretta sul lembo di terra dove erano caduti. Parlarono i rappresentanti dei Partiti del Comitato di Liberazione, poi io presi la parola in nome della città.Con Marcella Principato e Nanda Fogagnolo c’erano le vedove, le madri, le famiglie dei martiri. La grande piazza era ancora scarsamente illuminata e molti cumuli di macerie aspettavano di essere portati via. Ma più che mai l’anima di Milano era una sola.” E il 14 maggio 1946, dopo le prime elezioni libere, Antonio Greppi osservava: “Il popolo delle 5 Giornate, del 1898, del 1945; di Amatore Sciesa, delle barricate, dei Martiri di Loreto, sarà il nostro più vero e ascoltato Consiglio Comunale”. Con la stessa intensità, questa sera, Milano rinnova l’omaggio ai Martiri di Piazzale Loreto.

Nella vicenda dell’eccidio dei 15 Martiri, come in tanti altri tragici episodi avvenuti nel nostro Paese nell’estate del 1944, proprio quando sembrava che la guerra volgesse al termine il contributo dei repubblichini si rivela determinante. Senza la loro collaborazione i tedeschi, da soli, non sarebbero riusciti ad arrestare, torturare e deportare nei campi di concentramento, tanti nostri concittadini.

A distanza di 67 anni è doveroso ricordare che il governo di Salò nasce come governo illegale, come è ben chiarito dalla sentenza del 16 luglio 1945 della Suprema Corte di Cassazione. “La pseudo Repubblica Sociale Italiana” - vi si legge - “non fu mai uno stato vero e proprio, sia perché mancò il libero consenso popolare alla sua costituzione, sia perché fu combattuta dallo stato legittimo attraverso la guerra dichiarata alla Germania il 13 ottobre 1943, della quale essa era strumento. Non essendosi perciò la nazione divisa in due stati, né avendo lo stato legittimo sciolto mai i cittadini dal vincolo di sudditanza, quelli tra essi che si posero contro la nazione prestandosi a favorire il tedesco invasore non potevano non essere ritenuti traditori quali collaborazionisti del nemico”.

È un regime quello di Salò, ma il discorso va esteso anche all’intero periodo fascista, che si instaura contro i valori della civiltà, di questa civiltà nostra che si basa sugli ideali che nascono con la rivoluzione inglese e francese, con il movimento operaio, che sono poi i valori della libertà (e non il disvalore della dittatura) i valori dell’uguaglianza e della solidarietà (contro i nazionalismi esasperati e il razzismo che erano le bandiere dei nazisti e dei fascisti).

Ora, con la proposta di legge Fontana n. 3442, recentemente approvata in Commissione Difesa della Camera dei Deputati, si vuole conferire il riconoscimento giuridico a tutte indistintamente le associazioni combattentistiche e d’arma, anche a quelle, quindi, che richiamano la loro azione alla Repubblica di Salò, mettendo sullo stesso piano partigiani e repubblichini. L’ANPI e le Associazioni Resistenziali continueranno ad opporsi con ogni mezzo a questo disegno chiamando alla mobilitazione iscritti, cittadini, forze politiche, associazioni democratiche. D’altra parte questa proposta, come il progetto di legge che si prefigge di abolire la XII norma transitoria e finale della Costituzione che “vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”, è frutto della deriva revisionistica in atto ormai da diversi anni nel nostro Paese. Si vuole non solo a mettere sullo stesso piano repubblichini e partigiani, ma rivalutare pienamente il fascismo e i suoi simboli.

È dunque inevitabile che questo clima favorisca i rigurgiti neofascisti e neonazisti nel nostro Paese. È del 22 luglio scorso la notizia comparsa sulla stampa nazionale di un elenco di 162 nomi di professori universitari e magistrati finiti in una lista pubblicata su Internet perché con cognome ebreo. Ed è dell’8 luglio scorso la gravissima provocazione neofascista, avvenuta dopo ben quarant’anni, contro la Camera del Lavoro di Milano, luogo simbolo della democrazia nella nostra città. Auguriamo all’attivista sindacale seriamente ferito nel corso dell’aggressione neofascista, una completa e definitiva guarigione.

Nella nostra città in particolare si stanno intensificando le manifestazioni di tipo dichiaratamente fascista e nazista, perfino con l’apertura di nuove sedi e di nuovi punti di riferimento. Occorre un impegno comune delle istituzioni, delle forze politiche, dell’associazionismo, dei cittadini affinché queste inaccettabili aggressioni neofasciste abbiano finalmente a cessare e diventino improponibili a Milano, città Medaglia d’Oro della Resistenza. È preciso e insostituibile compito del Comitato Permanente Antifascista chiamare i cittadini milanesi alla massima vigilanza in questa delicatissima fase, compiere tutti gli opportuni passi presso le Forze preposte alla difesa dell’ordine pubblico e soprattutto favorire interventi nelle scuole, tra le giovani generazioni, perché i nostri ragazzi sappiano quali sciagure ha provocato il fascismo nel nostro Paese e non cadano preda di ideologie eversive. Credo inoltre che sia quanto mai opportuno avviare una urgente riflessione collettiva che potrebbe sfociare in un importante convegno su quanto sta avvenendo a Milano, sulle ragioni profonde della reviviscenza di movimenti, atteggiamenti, iniziative fasciste e naziste, sulle finalità che si propongono, sulle coperture e sulle protezioni di cui godono.

La riflessione deve necessariamente estendersi anche al di fuori dei nostri confini e deve riguardare il diffondersi di movimenti neofascisti, antidemocratici e populisti nella stessa Europa. Il terribile eccidio compiuto ad Oslo è stato forse opera di una sola persona che però è rappresentativa di un segmento oscuro della società norvegese. Lo dimostra il fatto che l’autore di quella terribile strage fosse attivo su un sito dell’estrema destra norvegese che ospitava interventi caratterizzati da sentimenti contrari all’immigrazione e xenofobi. Non è un caso che siano stati presi di mira proprio i giovani laburisti norvegesi proprio perché chiedevano una maggiore apertura e più multiculturalismo. Il rifiuto dello straniero la chiusura delle frontiere mentali prima ancora che geografiche caratterizzano questi movimenti.

Ma se è vero che la diffusione dei movimenti neofascisti nel nostro Paese è stata favorita dalla deriva revisionistica sarebbe tuttavia limitativo fermarsi a questa constatazione. Bisogna infatti considerare che l’intensificarsi di questo preoccupante fenomeno è largamente favorito anche dai reiterati attacchi alla Costituzione, alle istituzioni di garanzia, alla magistratura, al capo dello Stato, dei quali si rende ormai da tempo protagonista il Presidente del Consiglio. Da questo fronte, soprattutto, proviene la minaccia più seria e più pericolosa alla nostra democrazia. Ammoniva giustamente il Presidente nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia al termine della straordinaria manifestazione in piazza Duomo per il 25 aprile: “Noi non ci fermiamo al fascismo in camicia nera, ma a tutto ciò che sa di limitazione della libertà, di contestazione dei principi di fondo della nostra Costituzione, di disprezzo delle regole. Ciò che conta è tenere sempre presente la storia e ricordarci che essa ci insegna che i pericoli per la democrazia possono assumere aspetti multiformi e non debbono mai essere sottovalutati. Quando si osa persino proporre di modificare l’articolo 1 della Costituzione, vuol dire che siamo già oltre il limite della tollerabilità ed è indispensabile reagire con forza e con fermezza”.

L’omaggio che noi ogni anno rendiamo ai Quindici Martiri di Piazzale Loreto, come a chi ha sacrificato la propria vita per la libertà, rientra nel nostro dovere di affermare quel che di meglio abbiamo storicamente espresso e rappresentiamo, perché “l’identità, la consapevolezza storica, l’orgoglio nazionale di un paese – sosteneva il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo intervento del 24 aprile 2010 alla Scala - traggono forza dalla coltivazione e valorizzazione di fatti, di figure, di simboli, in cui il popolo, in cui i cittadini possano riconoscersi traendone motivi di fierezza e di fiducia”.

Di questi simboli, di questi esempi sui quali si costruisce e si consolida la nostra identità nazionale, abbiamo bisogno in questa delicatissima fase storica, caratterizzata dall’emergere di gravissime trame inquinanti ad opera della nuova P3 e P4, dalla caduta sempre più preoccupante dell’etica pubblica, dal prevalere di egoismi e personalismi, dal proliferare di leggi “ad personam”, da una crisi economica e sociale sempre più grave che sta pesantemente ricadendo sugli strati più deboli della popolazione. L’elemento forse più preoccupante è costituito dal fatto che tra i rimedi escogitati dal governo per fronteggiare la straordinaria emergenza economica, non sono contemplati il rafforzamento del potere d’acquisto dei lavoratori, il rilancio dei consumi, il finanziamento degli investimenti, l’abbattimento dell’evasione fiscale, ma la controriforma dello Statuto dei Lavoratori, la modifica dell’articolo 41 della Costituzione che subordina l’iniziativa privata all’utilità pubblica e l’introduzione nella Carta Costituzionale del vincolo al pareggio del bilancio. Fine ultimo sembra proprio quello di colpire il lavoro, valore fondante della Repubblica democratica e lo spirito stesso della Costituzione che nella parte attinente alla persona ed al lavoro ha ispirato principi e valori fondamentali recepiti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un confortante risveglio delle coscienze, ma bisogna fare di più. Occorre un ulteriore sussulto, un maggiore e forte impegno di tutti a difesa dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica nata dalla Resistenza. In questa battaglia sono impegnate le associazioni resistenziali, così come nella incessante azione volta a fare memoria legandola alla conoscenza storica. Il compito che ci si propone non è solo quello di tributare il doveroso omaggio a chi ha sacrificato la vita per la libertà, ma di far rivivere i valori della pace, della solidarietà, della giustizia sociale, della politica posta al servizio del bene comune e non di interessi di parte, che animò i partigiani e i combattenti per la libertà, i quali, dopo aver liberato l’Italia dal nazifascismo, ritornarono alle loro occupazioni senza nulla chiedere e nulla pretendere. Il richiamo all’esempio di chi ha combattuto nelle file della Resistenza, unicamente animato dall’interesse generale, deve rappresentare e costituire un forte monito alla società contemporanea travagliata dall’emergere di una sempre più grave e preoccupante questione morale.

Sosteneva su “Patria Indipendente” del 9 aprile 1978, Gina Borellini, una delle 19 donne decorate di Medaglia d’Oro al Valor Militare che “il grande valore del moto di liberazione nazionale sta nel fatto che non fu soltanto lotta contro il fascismo e il nazismo, ma lotta dura e cruenta, per costruire una società diversa, per affermare nuovi valori dove al centro fosse posta la persona umana, uomo-donna, con pari diritti e doveri senza distinzioni di sesso, di razza, di fede politica o religiosa, con le sue esigenze di libertà, di dignità, di cultura, di lavoro, di giustizia.” “Così – concludeva - venne scritto nel programma per l’avvenire: la Costituzione Repubblicana”. E vorrei qui ricordare due donne straordinarie che ci hanno lasciato recentemente: Nella Marcellino, giovanissima organizzatrice a Torino degli scioperi del 1942 e del 1943 e Alba Rossi Dell’Acqua, attiva nella Resistenza milanese a fianco di Quintino Di Vona e poi partigiana con le formazioni di Moscatelli. Infine un caro saluto e un affettuoso abbraccio da tutti noi a Nori Brambilla Pesce dalla fine di luglio ricoverata in ospedale per seri motivi di salute.
Queste donne rappresentano emblematicamente le 35 mila partigiane combattenti, le 20 mila patriote, le 70 mila iscritte al “Gruppi di Difesa della Donna”, le 2750 cadute in combattimento o fucilate, le 3 mila deportate, le 4 mila denunciate ed arrestate. È anche grazie al loro sacrificio e alla loro lotta se l’Italia è riuscita a liberarsi dall’oppressione nazifascista.

I messaggi e le lettere che i Quindici Martiri ci hanno lasciato dai quali traspare una concezione della patria e della famiglia profondamente diverse da quella retorica e ridondante del fascismo, costituiscono forse il modo migliore di ricordare il 150° dell’Unità d’Italia. Quell’Unità rappresenta oggi una conquista irrinunciabile per contare in Europa e nel mondo; essa non può considerarsi un residuo del passato o essere oggetto di stravaganti proposte come il decentramento di alcuni ministeri, in contrasto con l’articolo 114 della Costituzione che dichiara Roma capitale della Repubblica.

I Quindici Martiri di piazzale Loreto sono stati l’anima di una Milano che opponendosi al fascismo lottava per la libertà e la democrazia, fino al sacrificio della propria vita. Il loro esempio costituisce un forte monito anche per noi, perché, raccogliendo l’eredità che ci hanno lasciato, continuiamo a batterci, per una società più libera e più giusta in grado di assicurare una vita serena agli anziani e soprattutto ai giovani. Forse non ci rendiamo sufficientemente conto che se non apriamo alle giovani generazioni nuove possibilità di occupazione e di vita dignitosa la partita del futuro è persa non solo per loro, ma per tutti: ed è in scacco la stessa democrazia nel nostro Paese. Un’ultima osservazione, infine. Nelle linee programmatiche approvate dalla Amministrazione comunale di centro sinistra viene riaffermato un punto molto importante, già riconosciuto da Pisapia nel suo messaggio inviato all’ANPI e all’ANED nel corso della campagna elettorale: il riconoscimento di Milano come capitale dell’Antifascismo e della Resistenza. Ed è proprio nel solco di questa gloriosa tradizione che chiederemo al Sindaco di Milano, oltre all’impegno alla realizzazione della Casa della Memoria, la restituzione di onore e dignità al sacrario dei Caduti situato sotto la Loggia dei Mercanti, sia vietando che si svolgano manifestazioni che nulla hanno a che fare con la solennità del luogo, sia richiedendo interventi sullo stato di degrado in cui da tempo versano le lastre di bronzo su cui sono scolpiti i nomi dei Partigiani e dei Deportati milanesi. Sulla targa posta all’esterno della loggia che ricorda i Caduti si legge: “In supremo anelito di libertà hanno donato la vita. Milano ne conserva i nomi gloriosi alla storia”. Abbiamo il dovere di tenere viva la memoria di questa storia gloriosa bene riassunta nella motivazione della Medaglia d’Oro alla città di Milano, che lega le epiche Cinque Giornate e il Primo Risorgimento al Secondo Risorgimento e alla Resistenza.

Ricordava Gian Battista Stucchi, autorevole esponente del Comando del Corpo Volontari della Libertà che “a differenza di altri eventi che pure fanno la nostra storia, la Resistenza ha il privilegio di non invecchiare. Essa è presente in ogni ricorrenza, più viva che mai, a ricordarci non il dovere compiuto, ma il dovere da compiere” ed Enzo Biagi era solito ripetere che una certa Resistenza non è mai finita, perché c’è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi.
Credo che sia nostro compito continuare su questa strada.