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Il presidente Ricci al Pd: "Risvegliare le coscienze degli italiani"

Quello che segue è l'intervento che il presidente nazionale dell'ANPI, Raimondo Ricci, ha svolto alla festa nazionale del Partito Democratico di Torino venerdì 10 settembre sul tema: “Dalla Resistenza alla difesa della Costituzione”.

Care amiche e amici, compagne e compagni del Partito Democratico che avete organizzato questo incontro, desidero innanzi tutto portare il saluto dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, che oggi si propone, con una intenzione decisa, di intervenire per aiutare questo Paese a ritrovare la giusta linea della propria storia. Ritengo che sia stato scelto per questo incontro un bellissimo titolo: “Dalla Resistenza alla difesa della Costituzione” e non – badate – “Dalla Resistenza alla Costituzione”, perché proprio questo è il punto sul quale è polarizzato l’impegno al quale il nostro Paese, a tutti i livelli, a cominciare da quelli che sono più consapevoli della situazione politica e sociale che stiamo attraversando, deve dedicarsi. Tutti noi dobbiamo renderci conto – come è stato sottolineato da coloro che mi hanno preceduto e, da ultimo, dal rappresentante del Parlamento – che la partita che stiamo affrontando in questo momento è una partita decisiva per la storia d’Italia.

Si deve ripartire dal significato generale della Resistenza italiana per comprendere i compiti che abbiamo di fronte a noi oggi, quelli di cui possiamo essere ancora interpreti noi anziani, che siamo però oramai alla fine della nostra esistenza, e quei giovani che, invece, hanno ancora in mano le sorti del nostro presente e, soprattutto, quelle del nostro futuro, in una situazione gravida di minacce.

Parliamo innanzitutto del significato generale della Resistenza italiana: è stato ricordato il sacrificio di tanti nostri compagni che hanno combattuto sulle montagne, nelle sofferenze del carcere, nelle vicende della deportazione, in tutte le attività cospirative e militari che sono state compiute nel corso della lotta di liberazione nel nostro Paese. Ma la Resistenza italiana ha avuto un significato particolare rispetto alle altre resistenze europee: un significato che noi dobbiamo tenere ben presente, e che deve essere sottolineato in modo molto deciso. L’Italia, dopo la conquista della propria unità nazionale, è andata incontro alla drammatica esperienza del fascismo, del dominio assolutistico, violento e criminale, di una delle prime forme attuate del moderno totalitarismo. Un totalitarismo che non può essere paragonato alle dittature dei tempi antichi, che pure sono state molte e anch’esse tragiche, ma sicuramente meno pervasive, meno profonde delle dittature dei tempi moderni, perché queste, il nazismo, il fascismo, lo stalinismo, hanno posto a loro disposizione gli strumenti della tecnica moderna, i grandi processi dell’uomo, la possibilità di avere nelle proprie mani gli strumenti attraverso i quali sono state possibili una captazione del consenso e una repressione del dissenso che non hanno eguali nella storia del genere umano. Questi sono stati i totalitarismi moderni di cui il fascismo è stato un esempio.

Da qui, dunque, dobbiamo partire per capire fino in fondo la specifica vicenda della Resistenza italiana. Vedete, quando ho letto il titolo di questo incontro, “Dalla Resistenza alla difesa della Costituzione”, ho pensato ad un importante studio del professor Guido Quazza, che è stato a lungo prestigioso e autorevole presidente dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, che conobbi personalmente e che, a suo tempo, volle che entrassi nel comitato direttivo dell’Istituto nazionale. In questo libro, intitolato “Resistenza e storia d’Italia”, ritengo siano contenute analisi riferibili proprio all’argomento che vogliamo affrontare: cosa è stata la Resistenza nella storia d’Italia? E’ una storia che non è ancora volta al suo termine, come vedremo in seguito, ed è opportuno comprenderne la specificità.

Per raccontare questa storia, una storia molto diversa – come abbiamo detto – da quella delle esperienze resistenziali degli altri paesi, dobbiamo partire da una realtà indiscutibile: la seconda guerra mondiale, la più grande tragedia che l’umanità abbia mai conosciuto, è durata circa sei anni e per quattro di questi sei anni di guerra l’Italia è stata a fianco del nazismo e del fascismo. Mussolini si è posto a fianco di Hitler, ne ha condiviso la strategia, le azioni belliche, la prospettiva di un dominio che, secondo la volontà nazista, doveva essere un dominio non solo sull’intera Europa, ma, in prospettiva, sul mondo intero, da attuare, nel nome di una razza a tutte superiore, attraverso la violenze e attraverso una destabilizzazione di intere nazioni mai conosciuta nella storia precedente.

L’Italia si pose a fianco di questo disegno. Dobbiamo partire da qui, dunque, da ciò che è avvenuto negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, allorché c’é stato quel “ritorno alla ragione” rappresentato dall’uscita del nostro Paese dalla guerra. Con l’armistizio stipulato l’8 settembre del 1943 nei confronti degli Alleati, seppure in una fase in cui la guerra aveva mutato la propria direzione, investendo direttamente il territorio del nostro Paese, l’Italia ha compito un “ritorno alla ragione”, un ritorno alla riscoperta di antiche radici costituite, nel corso dell’Unità d’Italia, mobilitando la parte più consapevole del popolo italiano per opporsi alla violenta occupazione del nostro Paese compiuta dalle armate tedesche, sfociata nelle violenze che sono state perpetrate, nel tipo di guerra di distruzione attuato, non – badate - di vittoria nei confronti del nemico, ma di distruzione del nemico, proprie della macchina bellica comanda da Hitler nel giro di questi sei anni.

Questa è stata la vicenda dell’Italia, un Paese che è stato fascista, che rinnega questo suo passato, alimentando una ribellione nei confronti del fascismo e di un nazismo che ancora riteneva di poter diventare il dominatore assoluto del mondo nella prospettiva hitleriana del “Reich millenario”. Ebbene, l’Italia in questa situazione riuscì ad esprimere la Resistenza.

Sono stati qui citati, anche da chi ne è stato protagonista, momenti dolorosi e tragici: la perdita, nelle carceri, nella cospirazione, nella lotta sulle montagne, nella deportazione, di tanto sangue nostro. Noi giovani di allora abbiamo personalmente vissuto il nostro “spicchio” di vicenda di questa grande rivolta che è stato il “ritorno alla ragione” del nostro Paese. Abbiamo compreso di dover di mettere in gioco la nostra vita: “Se un uomo muore libero – recita una canzona partigiana – che cosa importa di morire”? . E poi: “Il bersagliere ha cento penne. L'alpino ne ha una sola. Il partigiano ne ha nessuna. Ma va sui monti a guerreggiar ... Il partigiano riman lassù... Non piangetelo perché se libero un uomo muore, che cosa importa di morire?”. Questa è stata la nostra Resistenza, la resistenza di un paese, che era stato fascista, contro il suo oscuro passato. Non soltanto quindi, come è avvenuto in altri paesi soggiogati dal nazismo (quali la Polonia, la Jugoslavia, la Norvegia, la Francia e gli altri paesi europei a noi vicini), l’intento di tornare ad una identità precedente a quella dell’attacco nazista, vale a dire tentativi di portare avanti una guerra provvisoriamente perduta. L’Italia no. Essa non ha avuto il compito, attraverso la Resistenza, di riportarsi alla posizione antecedente al dominio nazista. L’Italia combatteva non soltanto contro il nazismo, divenuto nemico occupante del nostro Paese, ma combatteva contro il proprio passato, contro il fascismo. Quella della Resistenza italiana è stata una lotta contro il nazifascismo, una lotta anche politica che si pose la finalità non di tornare al proprio passato, ma di mutare profondamente l’essenza e l’identità del nostro Paese.

Oggi è assolutamente doveroso richiamare alla mente tutto questo, attraverso un risveglio delle coscienze del nostro popolo, e soprattutto dei giovani. Quando noi italiani siamo stati deportati a migliaia e migliaia nei campi di concentramento nazisti, sia gli antifascisti, sia i più di seicentomila militari fatti prigionieri dopo l’8 settembre 1943, in Italia e nei paesi che il fascismo aveva occupato e rinchiusi nei campi di prigionia, abbiamo trovato altri popoli a loro volta deportati nel corso della guerra (russi, cosacchi, popoli dell’Europa centrale) che chiamavano noi “fascisti”, perché era persino incredibile per loro che vi fossero italiani i quali fossero finiti in campo di concentramento. L’Italia restava, nell’immaginario collettivo di questi popoli, un paese fascista e quindi bisognava in qualche modo opporsi anche agli italiani che erano stati deportati.

Ebbene, io credo che l’Italia abbia fatto il suo dovere. Forse gli italiani hanno dimenticato che circa un mese dopo l’8 settembre 1943, esattamente il 13 ottobre, il governo italiano legittimo, che allora era l’Italia monarchica, ha dichiarato guerra al suo alleato nazista. E questa dichiarazione di guerra è servita a difendere al tavolo della pace, dopo la sconfitta del nazifascismo, i confini del nostro Paese. La Germania, che fino all’ultimo ha combattuto la lotta del nazismo, fu spaccata in due.

Ricordiamo questa vicenda della Resistenza italiana e vediamo cosa è scaturito da questa esperienza: è scaturita la nuova identità dell’Italia, da Paese che era stato fascista a paese evoluto e democratico, e ciò è avvenuto attraverso due momenti decisivi, quelli che chiamo, e continuerò a chiamare, “il lascito straordinario del 25 aprile 1945”. Il primo momento consiste nella trasformazione dell’Italia da paese monarchico a Repubblica democratica; il secondo punto, realizzato subito dopo la guerra, nel 1946, è l’elaborazione e l’approvazione a larghissima maggioranza della Costituzione del nostro Paese, approvata da forze politicamente eterogenee: socialisti, comunisti, democristiani, liberali, azionisti, repubblicani e persino monarchici, per dare all’Italia una costituzione che è fra le più avanzate di tutta Europa. La nostra Costituzione riconosce, infatti, nei suoi principi generali, i primi dodici articoli,e negli articoli che vanno dal 13° al 54° gli obblighi, i doveri e i diritti dei cittadini, e le disposizioni che costituiscono la base delle istituzioni di garanzia e, in questa visione democratica, le regole in forza delle quali il nostro Paese deve essere, e deve avere come propria identità democratica, una identità la quale, rinnegando il fascismo, il nazismo e la propria storia, costituisca la bussola della nostra Patria, il modo di essere della nostra collettività nazionale, quella per la quale hanno versato il sangue i nostri giovani, tutti coloro che abbiamo lasciato lungo la strada – che sono molti più di noi sopravvissuti – i quali hanno concorso a realizzare questo grande disegno, che deve essere l’orgoglio di noi italiani, non qualcosa da ricordare soltanto. Questo è ciò che noi vogliamo realizzare.

Vorrei concludere con questo messaggio: noi come Anpi riteniamo si debba ricostituire questa unità in un momento nel quale nel nostro Paese sta prevalendo, fatte le debite differenze da allora, un disegno autoritario di chi vuole un potere assoluto, vuole negare i diritti dei lavoratori, vuole simulare un regime assoluto, soprattutto per valorizzare gli interessi di alcune persone e non gli interessi di un intero popolo. In questo momento ritengo che il migliore insegnamento sia quello che viene dalla nostra storia - così come ho tentato di ricostruire in questo mio intervento - la quale, nella sua essenza profonda, rappresenta realmente il traguardo al quale tutti noi dobbiamo fare riferimento. L’Anpi non è un partito politico: è il traguardo al quale tutti noi dobbiamo guardare.