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Giovanni Pesce, combattente-idealista senza tregua

Il 27 luglio ricorre il 5° anniversario della scomparsa del comandante partigiano, Giovanni Pesce.

Il presidente provinciale dell'Anpi milanerse, Roberto Cenati, lo racconta così.

Il 27 luglio del 2007 ci lasciava Giovanni Pesce, leggendario comandante partigiano, compagno indimenticabile.
Era ancora un bambino quando la sua famiglia dovette emigrare in Francia. A 13 anni era già al lavoro in una miniera della Grand' Combe, la zona mineraria delle Cevennes in cui vivevano i suoi. Aderì ancora ragazzino al Partito comunista e divenne anche
segretario della Sezione giovanile. Fu uno dei discorsi a Parigi di Dolores Ibarruri, la "Pasionaria", a convincerlo della necessità di arruolarsi nelle Brigate Internazionali, che nella Guerra civile spagnola sostenevano il regime democratico contro i fascisti di Franco. Fu tra i più giovani combattenti italiani inquadrati nelle Brigate Garibaldi.

Ferito tre volte, sul fronte di Saragozza, nella battaglia di Brunete e al passaggio dell'Ebro, portava ancora nel corpo le schegge della ferita più grave. Rientrato in Italia nel 1940, Pesce viene arrestato ed inviato al confino a Ventotene. Ventotene fu per Pesce, come per molti confinati, una sorta di università proletaria. Servì a fargli conoscere la realtà del Paese, ad apprezzare l’amicizia e la solidarietà di tanti compagni. Nel settembre del 1943 è tra gli organizzatori dei G.A.P. a Torino; dal maggio del 1944 assume a Milano il comando della 3a G.A.P. "Rubini".

Con il suo arrivo nel capoluogo lombardo e il risveglio dell’attività gappista, si scatena una lotta senza quartiere ai nazifascisti, attraverso attentati, colpi di mano, sabotaggi, esecuzioni di spie e di torturatori. Dopo essere stato inviato a organizzare la lotta clandestina nella valle Olona, Giovanni Pesce torna a Milano e rimane alla guida dei gappisti dal dicembre 1944 sino alla Liberazione. A guerra finita gli viene conferita la medaglia d’Oro al valor militare consegnatali direttamente da Umberto Terracini, senatore della Repubblica e Presidente dell’Assemblea Costituente.

Il 14 Luglio 1945, giorno della presa della Bastiglia, si sposa con Nori Brambilla, sua inseparabile compagna, che Giovanni ha conosciuto nella 3a Gap, da lui diretta. Nel dopoguerra Giovani Pesce continua la sua attività nel PCI dove svolge incarichi legati alle tematiche resistenziali sino allo scioglimento del partito, iscrivendosi successivamente a Rifondazione Comunista di cui ha fatto parte sino alla sua
scomparsa.

Consigliere comunale a Milano dal 1953 per oltre dieci anni, Giovanni Pesce è stato Presidente dell’AICVAS (Associazione Italiana Combattenti Antifascisti di Spagna), esponente autorevole del Comitato nazionale dell’ANPI sin dalla sua costituzione e Vicepresidente Provinciale della nostra Associazione. Chi ha conosciuto la tenacia e la passione di Giovanni Pesce sarà difficile che dimentichi il suo fondamentale contributo all’arricchimento e alla conservazione della memoria storica, memoria che diventa cultura e quindi patrimonio di un popolo, della storia di una comunità.

Nella sua azione e nei suoi scritti ha sempre richiamato il movimento democratico alla necessità di una forte presa di posizione a fronte della sempre più preoccupante ondata revisionistica che da anni si sta abbattendo sul nostro Paese, esortando nel contempo all’iniziativa e alla necessità di una ferma e urgente mobilitazione antifascista. Instancabile è sempre stato il suo impegno per tramandare alle giovani generazioni, con le quali è sempre riuscito a stabilire uno straordinario rapporto, il testamento dei Combattenti per la Libertà, i valori in nome dei quali essi lottarono, sacrificando le loro giovani vite. Per questo non smetteva mai di andare nelle scuole a parlare con gli studenti. Quando raccontava ai ragazzi squarci della sua vita complessa e ricca di contenuti, suscitava immediatamente la loro attenzione tanto che potevano stare delle ore ad ascoltarlo. “Se oggi siamo liberi – amava ripetere- è perché allora abbiamo combattuto”.

Tino Casali, allora Presidente dell’ANPI Provinciale di Milano, in un’affollata assemblea svoltasi il 18 settembre 2007 nel salone dell’ANPI di via Mascagni, così ricordava Giovanni Pesce: “Sei stato uomo di parte, fiero di esserlo, come di parte sono gli uomini costretti a scegliere e quindi a prendere posizione in un momento cruciale per la storia nazionale. Scelta che fu per la libertà, scelta che facesti per tutti; scelta che diviene chiara e pienamente compresa attraverso i tuoi scritti. La tua vita ha espresso una chiara eticità che contraddistingue gli uomini onesti, leali ed intransigenti. Moneta rara in tempi così difficili e confusi”. Rimangono indelebili la sua onestà intellettuale, la modestia e ironia e, a volte, il suo scanzonato modo di affrontare anche questioni importanti; la sua incessante passione di combattente per la libertà e per la politica, intesa nel senso più alto del termine.

Pesce amava ricordare, tra i periodi più significativi della propria vita, quello trascorso in Spagna, con le Brigate Internazionali, impegnate nella guerra contro Franco e il nazifascismo. Quell’esperienza fu fondamentale per lo stesso favorevole esito della Resistenza italiana. Gran parte dei combattenti per la Libertà avevano saputo mettere a frutto gli anni della guerra di Spagna. E’ il caso di dire che se il fascismo in Spagna vinse la battaglia iniziale della Seconda Guerra Mondiale, ancora in Spagna l’antifascismo creò i quadri e le premesse per la vittoria finale del 25 aprile.

Nel libro-intervista di Giannantoni e Paolucci Giovanni Pesce, “Visone” un comunista che ha fatto l’Italia, Pesce dichiara: “In Spagna ero un povero minatore che andava a combattere a fianco di tanti volontari italiani e stranieri. Gente che aveva lasciato la propria famiglia, genitori, fratelli, mogli e figli, gente che aveva gettato nella lotta la propria vita per quella di un altro popolo in grave difficoltà. Una
storia altissima. Questa esperienza mi diede forza ideale, mi fece capire cosa fossero in concreto i valori della solidarietà, dell’umanità, dell’amicizia che a quei livelli non mi capitò mai di poter ritrovare né rivivere. Nella Resistenza eravamo tanti gruppi diversi, io ho fatto il gappista spesso da solo, anche se alle spalle avevo il Partito e il comando garibaldino. Ma era cosa diversa, l’afflato umano era minore. La Spagna ha rappresentato invece il richiamo per eccellenza ai più alti ideali di tutto il Novecento. Una storia che ha unito le persone più diverse in un comune percorso ideale. E’ stata l’ultima grande epopea del secolo breve.”

E all’intervistatore che nel libro gli chiede cosa direbbe ad un giovane diciottenne per orientarlo politicamente e moralmente in un Paese come è oggi l’Italia, Pesce risponde: “Gli direi quello che hanno detto a me allora. Di avere fiducia e di coltivare la speranza. La fiducia si conquista con la lotta quotidiana ma è anche una fede; la speranza è il motore che ti fa andare avanti. Ricordo che quando facevo il gappista, soprattutto nel periodo di Torino, solo in casa, al limite della disperazione, compreso nei pensieri dell’azione che avrei dovuto compiere, sopravvivevo perché ero fiducioso e perché speravo che la lotta un giorno si sarebbe conclusa vittoriosamente”. E conclude: “Ho ancora fiducia e speranza. Ho vissuto sempre così e morirò così”. Grazie, Giovanni, non ti dimenticheremo mai.

Roberto Cenati. presidente dell'ANPI provinciale di Milano