Salta al contenuto principale

Il monumento perduto a ricordo delle partigiane

Il racconto storico subisce l'influenza dell'epoca in cui avviene. L'attualità politica, sociale ed economica, gli interessi dell'intervistato e dell'intervistatore, influenzano le domande, la scelta dei temi e le risposte. Così, da generazione a generazione avremo maggiore o minore sensibilità per alcuni aspetti piuttosto che per altri, e il racconto storico precedente si arrichisce e diviene esso stesso oggetto di studio, tassello per comprendere un'epoca.

Quindi non si può dire che stupisca davvero la vicenda del monumento alla partigiana veneta, anzi, diviene emblematica di ciò che è stata l'evoluzione del racconto 'Resistenza' nell'immaginario collettivo. Quella che può apparire solo come un'alterazione dei fatti diviene un mezzo perfetto per comprendere la strumentalizzazione, anche in buona fede, che venne fatta della lotta di Liberazione.

Tutto ebbe inizio quando l'Istituto per la storia della Resistenza delle Tre Venezie, presieduto dal prof. Egidio Meneghetti, decise di dedicare un monumento alle donne partigiane per il decennale della Liberazione. Uno dei pochi in Italia. Una scelta 'forte', dove la figura femminile doveva venire rappresentata in guerra, tema solitamente raffigurato con icone maschili. Scelta che già strideva con un racconto che andava sempre più parlando di 'contributo' delle donne alla lotta più che di 'partecipazione attiva'.

La decisione venne presa nel 1953, prima fase della memoria della guerra, quella in cui quasi non serviva raccontare: si era vissuto.

Un'apposita commissione, fra cui spicca il nome di Giulio Carlo Argan, decise di affidare il lavoro a Leoncillo Leonardi. L'artista venne scelto sia per le sue indubbie doti artistiche, sia per il trascorso da staffetta partigiana. E plasmò un'opera neocubista insolita per l'epoca - insolita anche per la monumentalistica resistenziale -, in ceramica policroma da collocarsi a Venezia nei giardini napoleonici del castello. La statua rappresentava una donna in armi con il fazzoletto rosso, presto sostituito da una copia con un fazzoletto bruno, inaugurata nel 1957 alla presenza fra le altre della medaglia d'oro Carla Capponi.

Nella notte fra il 27 e il 28 luglio 1961 però quel monumento venne fatto saltare in aria con una carica di tritolo, lasciando intatto solo il basamento. La mano fascista dietro l'attentato fu evidente e la popolazione reagì con rabbia e stupore, organizzando manifestazioni nei giorni succesivi.

Venne poi creato un apposito comitato composto da Anpi, Fiap, Fvl, Anppia e comune di Venezia, che decise l'immediata realizzazione di un nuovo monumento per celebrare il sacrificio della donna della Resistenza. Non si volle replicare però l'opera di Leonardi, sia per lasciare traccia dell'attentato, con il moncherino del basamento tutt'ora nei giardini del castello; sia perché si preferì trasmettere un'immagine differente della donna in guerra, più rassicurante oltre che più classica: quella dei sacrifici e dei dolori.

Venne così affidata la commessa di una nuova opera ad Augusto Murer, il quale realizzò nel 1969 un grande bronzo con una figura femminile riversa, distesa su di un piano a filo d'acqua. Una partigiana uccisa, ideale continuità con quella combattente di Leoncillo. Venne collocata nel bacino di San Marco dove, grazie ad un supporto progettato da Carlo Scarpa – che aveva ideato anche il basamento di Leonardi – il piano si dovrebbe alzare e abbassare seguendo le maree, creando un suggestivo effetto visivo in grado di trasmettere sofferenza e angoscia.

Senza entrare nel merito della qualità artistica delle due opere, colpisce la volontà di sostituire un'immagine forte, viva, di una donna che reagisce e resiste ad una più tradizionale, di una donna non immediatamente riconducibile ad una partigiana. Una donna vinta dalla guerra, che collima perfettamente con una storiografia per decenni mancante nel narrare il contributo femminile alla lotta, relegato a supporto premuroso e coraggioso dei ribelli, ma sempre sullo sfondo. Almeno fino agli anni '80.

Ad aggiungere amarezza resta oggi un meccanismo mal funzionante, che lascia la comunque splendida figura di Murer in balia dell'acqua, dei gabbiani e dei rifiuti portati dal mare.

Una donna dimenticata.

Gemma Bigi