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L'Anpi sulla crisi Indesit: il lavoro prima di tutto

Qui di seguito il comunicato della Sezione Anpi "24 Marzo" di Matelica di adesione allo sciopero del 12 Luglio delle organizzazioni sindacali del Comprensorio di Fabriano.

Pozzuoli 1955: “Può l'industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell'indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”. Sì. Caro Adriano Olivetti, autore di queste parole, sì. L’azienda non può pensare solo ai profitti. L’azienda non è un elemento esterno e indipendente dall’ambiente in cui opera. L’azienda ha una responsabilità sociale. L’azienda è composta da coloro che vi lavorano. Quando l’Olivetti nel 1953 dovette superare una crisi di sovrapproduzione, i manager suggerirono di licenziare 500 operai. Adriano Olivetti fece il contrario: assunse 700 nuovi venditori in Italia, potenziò le filiali e ne costruì delle nuove. Licenziò i manager che volevano mandare a casa i lavoratori! Fino all’ultimo giorno della sua esistenza, Adriano si oppose al destino delle grandi aziende familiari del capitalismo mondiale: la dispersione della proprietà in un azionariato impersonale e globalizzato posto nelle mani di un management troppo libero e irresponsabile che prima o poi avrebbe potuto portare alla morte della fabbrica, la sua fabbrica.

Fabriano 2013: l’Indesit annuncia un nuovo piano industriale che prevede 1.425 esuberi. Cara Indesit, ma stai scherzando? 1.425 persone sono 1.425 famiglie che passerebbero dalla sicurezza nel futuro alla disoccupazione. Dove è finito il grande progetto di Aristide Merloni che, come Olivetti, si era opposto all’emigrazione della sua gente, costruendo la fabbrica nel suo territorio? Ti ricordi, cara Indesit che non erano i Fabrianesi a partire per trovare lavoro, ma era il lavoro che arrivava a Fabriano? Tutto questo perché Aristide sapeva che l’emigrazione significa sradicamento, perdita d’identità, disagio sociale e miseria.

La “fabbrica”, come la chiamano ancora i tuoi operai, nacque qui perché il lavoro è un diritto anche in mezzo ai monti. Perché l’azienda diventa grande se i lavoratori ne condividono la missione, operando nella consapevolezza di essere corresponsabili del successo dei prodotti che costruiscono. Perché l’azienda e chi ci lavora sanno benissimo che si agisce giorno dopo giorno, turno dopo turno, pezzo dopo pezzo per il bene comune e per quello delle nuove generazioni.

Ok, l’obiettivo della strategia è creare un valore per i compratori che superi i costi, ma dichiarare 1.425 esuberi a giugno, con un bilancio 2012 in attivo, a un mese dalle ferie, in un momento in cui l’attenzione mediatica è rivolta ad altro, non è da signori, cara Indesit. Non è proprio proponibile. L’A.N.P.I. con questo comunicato dice chiaramente che sta con i lavoratori davanti ai cancelli, che è accanto e lotta con tutti quegli operai ed impiegati che si trovano nelle stesse condizioni di quelli dell’Indesit: con quelli dell’ ex Antonio Merloni, con quelli della Best, con quelli della Faber, con quelli dell’Elica, con quelli della Cotton Club, con quelli della Tecnowind, con quelli della Mediterranea, con quelli della Sacci, con quelli della Conceria del Chienti e con quei tanti troppi altri costretti ogni giorno a chiedersi che ne sarà delle loro famiglie.

Questo territorio non può de-industrializzarsi, ma va rilanciato. Questo paese deve crescere! C’è bisogno di un nuovo piano industriale che si traduca in assunzioni e non in licenziamento e disoccupazione. Ma che significa ‘delocalizzare’? Ma a forza di cercare mercati di produzione più profittevoli, a forza di cercare la forza lavoro che costa di meno, dove si andrà a trovarla nel futuro, su Marte? La globalizzazione non riguarda solo le merci, riguarda anche i diritti, che prima o poi arriveranno anche in quei paesi in cui il costo del lavoro oggi è inferiore. I diritti sono un bene che si espandono velocissimamente.

Cari manager, che di fronte alle difficoltà sapete solo proporre disoccupazione, siate più creativi! I lavoratori sono valore e danno valore. Ripartite dal profitto del valore e non dal valore del profitto, ricordandovi che in Italia è la Costituzione a dettare le regole, perché se all’articolo 41 si afferma che l’iniziativa economica privata è libera, soprattutto si specifica che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Per questo “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”. Del resto, non è un caso se,nel suo ultimo rapporto, il gigante della Finanza J.P.Morgan asserisce che i sistemi politici dei paesi del Sud del Mediterraneo (tra cui l’Italia) ed in particolare le loro Costituzioni,adottate in seguito alla caduta del Fascismo e nate dalla Resistenza, non sono adatte allo sviluppo economico, anche a causa dell’eccessiva tutela dei diritti dei lavoratori.

Noi invece sosteniamo che sfrattare le Costituzioni in nome dell’economia significa portare ad autoritarismi, perdendo la memoria e dimenticando che quando nell’articolo 1 la nostra arta afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro, si dichiara con forza che la dignità umana viene prima della finanza. L’A.N.P.I. continua a difendere e sostenere fortemente i valori della nostra Costituzione e chiede l’intervento politico sulla questione, nonché l’azione di controllo che la stessa Costituzione detta. Perché l’Associazione Nazionale dei Partigiani dice ‘Sì’ al lavoro. Disse e dirà sempre ‘Sì’ ad una Italia che fosse e che sarà migliore.