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Manlio Magini

Nato a Livorno il 25 gennaio 1913, deceduto il 29 settembre 2003, avvocato, Medaglia d'argento al valor militare.

Si era laureato in Giurisprudenza nel 1935 e, per quanto cresciuto in una famiglia antifascista, Magini era partito come volontario per la guerra d'Africa. Conseguita nel 1937 una seconda laurea in Scienze politiche, passò tre anni in Estonia, insegnando nell'Istituto italiano di cultura di Tallin. La Seconda guerra mondiale vede Magini mobilitato in Jugoslavia e in Unione Sovietica. Tornato dalla campagna di Russia, durante la quale aveva maturato la sua determinazione di opporsi al fascismo, è arrestato (mentre svolge un incarico governativo), per "attività sediziosa". Condannato ad un anno di confino a Tito (Potenza), Magini vi incontra Marisa Tulli, la più giovane confinata d'Italia, che diventerà la sua compagna per tutta la vita. Quando torna in libertà, il giovane antifascista riallaccia i contatti clandestini e, dopo l'8 settembre 1943, diventa partigiano combattente. Cade nelle mani delle SS, messe sulle sue tracce da una spia, il 6 novembre 1944 a Milano. Con lui, che è comandante delle Divisioni "Giustizia e Libertà" della Lombardia, cadono nella trappola Bruno Vasari e altri compagni. Comincia la trafila San Vittore, campo di Bolzano, Mauthausen, Gunskirchen che, per lui, si concluderà felicemente con la caduta del nazismo. Al ritorno dai lager, Magini viene insignito di Medaglia d'argento al valor militare e ricopre importanti incarichi in aziende pubbliche, che frutteranno anche apprezzati saggi sull'industria petrolifera (L'artigianato dell'olio di pietra, L'avvento dell'industria petrolifera internazionale, Italia e petroli tra storia e cronologia). Scrittore per vocazione (l'ex comandante partigiano ha pubblicato anche due romanzi e, sul finire del secolo scorso, tre libri di poesie), Magini ha lasciato una autobiografia che, edita da Polistampa nel 1993, reca, non a caso, il titolo Un itinerario per il Lager.