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Il linguaggio che avvelena la democrazia

Il problema è che se ne sentono così tante che ormai non ci si fa nemmeno caso.

Una volta si definiva linguaggio da caserma. Oggi si chiama linguaggio della politica. Più esattamente di una certa politica. Che usa le parole come sassate. Per colpire. Nel senso letterale, per ferire. L'avversario. Ma in realtà lacerando lentamente la tela della democrazia.

Sì, a questo punto la qualità del linguaggio della politica non è questione di forma o di etichetta. È questione di sostanza. Riguarda le regole del confronto democratico.

Il gioco è scoperto. La pratica è scientifica. Con un obiettivo costante: sfondare il video, entrare nella case e strappare consenso. Non su proposte e analisi. Ma sulla magia delle parole lanciate come ami avvelenati. Cariche di simboli, di desideri e di paure. Ma vuote di proposte e prive di futuro.
Ultimamente ce n'è per tutte le tendenze. Dal cinema horror con tanto di "zombie" e "morti viventi" all'hard con tanto di offese sessiste alle deputate avversarie.

È cronaca di questi giorni. Il movimento agli ordini di Grillo non va tanto per il sottile. Nemmeno con la storia. Ed ecco servita - guardando a sinistra - niente di meno che la "nuova resistenza". Per poi virare subito a destra con un "boia" (senz'altra aggiunta) rivolto al presidente della Repubblica. Ma che torna il classico slogan dei fascistri reggini, "boia chi molla", se rivolto al presidente della Camera, Laura Boldrini.

Diciamo una banale verità: tutto ciò è inaccettabile. Cercasi reazione democratica. Oltre l'assuefazione c'è solo la resa vigliacca dell'overdose.

C'è da dire che la spregiudicatezza - diciamo così per carità di patria - del linguaggio non nasce con le "5 stelle". Che ha potenziato in violenza un testimone lasciato da altri.

Ricordate le sparate di Bossi? Dalla minaccie mafiosette ai giudici, con leggiadro riferimento al costo delle cartucce, passando da "Roma ladrona" e finendo con evocare inesistenti eserciti pronti all'insurrezione nelle valli del nord.

Un linguaggio aggressivo, volgare più che popolare, apparentemente spontaneo, in realtà studiato e praticato con assiduità e tenacia Dentro e fuori dalle aule parlamentari. Nei talk show ad esempio, dove un fuoriclasse dell'ingiuria come Vittorio Sgarbi ha finito per creare una vera e proprio scuola di imitatori meno originali ma con tonsille corazzate.

Risultato dopo tanti, troppi, anni di silenzio e tolleranza? Tanta assuefazione. Ossia distacco. Dalla politica. Che in un mondo normale è il cibo della democrazia. Succede quando la potenza delle parole nasconde la debolezza dei progetti e dell'analisi.
Il guaio è che in un mondo di urlatori per farsi sentire è necessario urlare sempre più forte. Un circolo vizioso senza fine. Una gara triste a chi la spara più grossa. Che avvelena le coscienze. E la democrazia.

Dire basta è un dovere civile.

Mi.Urb.