L'Umanità di Garibaldi
2 Ottobre 2011
Pubblichiamo un articolo del prof. Manlio Brigaglia che ha illustrato la vita dell'eroe dei due mondi ai 50 giovani - tra i 16 e 30 anni - in visita all'isola della Maddalena su un programma di approfondimenti tematici organizzati dall'Anpi nazionale.
“Giuseppe Garibaldi, agricoltore”. Il Generale firma così, davanti al sindaco della Maddalena, il suo atto di matrimonio con Francesca Armosino. È il 26 gennaio del 1880. Il sindaco è dovuto andare a Caprera per la breve cerimonia, perché il Generale è quasi impossibilitato a muoversi. Ha 72 anni e mezzo, ma un’artrite fortemente debilitante si è aggiunta ai segni che gli ha lasciato una vita di avventure in mezzo mondo (anzi, in Due Mondi). Quando, nella primavera del 1882, farà a Palermo il suo ultimo viaggio, i medici non lo lasceranno sbarcare perché l’emozione dell’accoglienza potrebbe fargli male. Morirà poco dopo il ritorno a Caprera, alle sei e venti del pomeriggio del 2 giugno. Nella sua camera da letto, la sveglia è ferma a quell’ora, il calendario ha il foglietto di quel giorno.
I ragazzi venuti alla Maddalena il 23-25 settembre scorso su invito dell’Anpi nazionale e della Fondazione “Di Vittorio” l’hanno ritrovata per intero, quella memoria del Generale, soprattutto visitando il Compendio garibaldino di Caprera, guidati da Anita Garibaldi Jallet, bisnipote dell’Eroe e gentile sacerdotessa del suo culto.
Caprera, “l’unico luogo vero, l’unico luogo sacro del nostro Risorgimento”, ha scritto Mario Soldati. In effetti, cinquant’anni della biografia di Garibaldi fanno tutt’uno con il cuore del Risorgimento. L’anno iniziale è il 1833. In quell’anno, viaggiando come marinaio per il Mediterraneo, Garibaldi incontra sulla Clorinda il saintsimoniano Barrault e puntando su Taganrog (la città del mar d’Azov ha ancora oggi un suo monumento, sempre amato e da poco anche restaurato) un personaggio che chiamerà “il Credente”: da loro, missionari del credo rivoluzionario, riceve l’ispirazione libertaria e eroicamente utopica, in una parola l’amore per l’Umanità, che lo accompagnerà tutta la vita. Ma quel 1833 è anche l’anno in cui conosce Mazzini e si iscrive alla “Giovine Italia”.
Il fallimento dell’insurrezione di Genova lo spingerà a disertare dalla Marina sarda e a riparare in America Latina. Qui Garibaldi vive i suoi primi anni da guerriero: in qualche misura anche da guerrigliero, nelle battaglie sulla pampa, e da marinaio-corsaro nella lunga serie di lotte prima per la libertà della Repubblica del Rio Grande do Sul e poi in difesa dell’Uruguay contro il dittatore argentino Rosas. Sono anni avventurosi: Garibaldi sfiora cento volte la morte, ma anche vede e rapisce Anita. Quel dodicennio 1836-1848 fa diventare Garibaldi famoso nelle Americhe e in Italia. Presto in tutto il mondo.
Ma è l’Italia il luogo delle più grandi imprese del Generale. Dalla sfortunata Prima guerra d’indipendenza alla difesa della Repubblica romana, dalla partecipazione alla Guerra del ’59, preludio al “miracolo” della liberazione di tutta l’Italia meridionale, cominciata con poco più che mille compagni, alla Terza guerra d’indipendenza: combattendo sempre una “sua” guerra, sempre in urto con l’establishment militare piemontese prima e del Regno d’Italia poi, ma anche pronto al famoso “obbedisco” che interrompe la sua campagna in Trentino nel ’66 (vittoriosa, mentre l’esercito regolare è in rotta a Custoza e la flotta viene umiliata a Lissa).
Ma dal 1849 il sogno è il ritorno a Roma: a quella liberazione della Città dei Padri dal potere temporale dei papi, che i democratici italiani considerano da sempre il più grosso ostacolo all’unificazione d’Italia. Dalle sconfitte dell’Aspromonte e di Monterotondo, dove per due volte Garibaldi sarà arrestato dagli “italiani”, acquista forza la parola d’ordine che lui stesso ha lanciato: “O Roma o morte”.
Il 1870, l’anno di Porta Pia, è anche l’anno della sua ultima battaglia: ma a Digione, in Francia, per difendere la precaria democrazia nata sulle rovine dell’Impero di Napoleone III (uno dei grandi “nemici” di Garibaldi, che a Caprera aveva perfino dato il suo nome a uno dei suoi asinelli).
Dal 1855 Garibaldi ha cominciato a comprare e ad abitare l’isoletta: 15 chilometri quadrati di graniti e rada terra spazzata dal vento, che Garibaldi trasformerà in una azienda dove, contro le pigre credenze degli isolani, possono crescere tutte le piante e vivere ogni specie di albero. Qui vive gli ultimi suoi ventisette anni, visitato da persone e personaggi di mezza Europa, un Cincinnato già diventato mito. Davanti al grande masso dove – come dice D’Annunzio – “dorme il Leone in sepoltura” il ponente salino porta il respiro della Storia.
Manlio Brigaglia
Dettagli sull'iniziativa sono disponibili su: http://www.anpi.it/a532/