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Com'era il confino a Ventotene

Ci sono luoghi cui la natura, la volontà degli uomini e la storia affidano un particolare destino, quello di essere luoghi di esilio, le piccole isole ne sono un esempio peculiare. L’isola di Ventotene, anche per le sue ridotte dimensioni, non si è sottratta a tale sorte e da sempre luogo ideale di segregazione, fu individuata, durante il periodo fascista, come colonia di confino politico.

Il regime fascista per non arrecare pericolo allo Stato, inviò sull’isola, per 13 anni donne e uomini coraggiosi, allontanandoli dalle loro attività e dai loro affetti per fiaccarli, svilirli e umiliarli nella loro dignità, li riunì coattivamente in una sorta di pollaio, ma inconsapevolmente, trasformò l’isola in un’occasione speciale e irripetibile per la storia futura del nostro paese, perché è proprio a Ventotene che si forgiò la classe politica della futura Repubblica. L’isola da luogo di umiliazione, si trasformò in luogo di testimonianza e di riscatto per tutti coloro che opponendosi alla violenza e alla sopraffazione decisero di non mollare e difendere con dignità le proprie idee.

Il confino politico era regolato da alcuni articoli delle leggi speciali del 1926, leggi che avevano abolito i partiti e i loro giornali, i sindacati e le associazioni antifasciste. Con queste leggi fu anche istituito il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e la Commissione Provinciale che assegnava al confino.

Lo scopo del confino era quello di allontanare gli individui ritenuti pericolosi per lo Stato ma anche per l’ordine e la sicurezza pubblica, così finirono al confino anche gli omosessuali, (soprattutto alle Tremiti) e i religiosi di fede diversa, testimoni di Geova, evangelisti.

Per finire al confino bastava veramente poco, come si evince dalle oltre 12000 ordinanze emesse dalle Commissioni Provinciali: partecipare al funerale di un amico comunista, deporre fiori sulla tomba di un antifascista, ironizzare o raccontare barzellette sul fascismo o sulla figura del duce, diffondere notizie ascoltate da una radio straniera, leggere libri ritenuti sovversivi, cantare inni considerati rivoluzionari, anche in abitazioni private. Festeggiare il primo maggio era poi considerata un oltraggio per il regime fascista.

Diversamente dal vecchio domicilio coatto, il confino non era una condanna stabilita dal potere giudiziario, ma una misura preventiva volta a liberarsi degli oppositori politici senza ricorrere ad un processo e soprattutto senza l’esibizione delle prove.

La durata del confino era variabile da uno a cinque anni ma spesso allo scadere del periodo assegnato si utilizzava il meccanismo del rinnovamento perché il confinato non aveva dato segni di ravvedimento e costituiva dunque ancora pericolo per lo Stato.

Per attuare le misure di repressione contro l’opposizione antifascista, il regime si dotò di una nuova forza, una polizia segreta appositamente istituita, l’OVRA, mentre la milizia fascista, M.V.S.N., fu individuata come forza d’ordine nelle colonie confinarie.

La storia della colonia di confino politico di Ventotene inizia nel 1930, quando per ragioni di sicurezza il Ministero degli Interni (Divisione Affari Generali e Riservati) decise di chiudere la colonia di Lipari, anche in seguito alla clamorosa fuga di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti, e individuò nell’isola di Ventotene il luogo che meglio rispondesse, date le ridotte dimensioni e la scarsa accessibilità delle coste, alle ragioni di sicurezza, il più adatto adatto ad “ospitare” i confinati ritenuti più pericolosi ed irriducibili, comunisti ed anarchici . La colonia divenne veramente importante, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, per i nomi dei suoi confinati, solo a partire dal 1939, quando fu ridimensionata la colonia di Ponza. Da quella data il capo della polizia, Arturo Bocchini, progetta per l’isola la nascita di una vera e propria colonia confinaria dove concentrare i più pericolosi avversari del regime. Fu costruita a tale scopo una cittadella confinaria, con un’imponente caserma per gli agenti di PS, 12 padiglioni, uno destinato alle donne, uno ai tubercolotici e un’infermeria e fu trasferito sull’isola un intero reparto di milizia volontaria. Tra agenti, militi e carabinieri erano più di 350 ed assolvevano ad un efficiente controllo lungo le coste e per mare. Su circa 800 confinati presenti sull’isola la metà era costituita da comunisti, seguivano poi in ordine di grandezza gli anarchici e i socialisti, il gruppo di Giustizia e Libertà e i Federalisti di Altiero Spinelli. Erano presenti anche gli stranieri, i nuovi sudditi dissidenti dell’impero mussoliniano: albanesi, jugoslavi, dalmati, montenegrini, croati, sloveni.

Il confinato arrivava sull’isola, dopo un lungo ed estenuante viaggio con sosta nelle celle di transito sporche ed infestate di insetti, caricato con i ferri ai polsi e legato a catena con gli altri sul piccolo postale che collegava l’isola al continente, era condotto nei locali della Direzione della colonia e sottoposto ad un accurato controllo, era privato dei suoi documenti personali e fornito di una carta di permanenza, il famoso libretto rosso, nel quale erano segnate tutte le prescrizione alle quali doveva attenersi.

Il confinato poteva passeggiare in un percorso limitato, solo al centro del paese, senza superare il limite di confino che era segnalato da cartelli, da filo spinato o da garitte con guardie armate, poteva passeggiare solo con un altro confinato. Aveva l’obbligo di rispettare gli orari di uscita ed entrata nei cameroni e rispondere, due e in alcuni periodi, anche tre volte al giorno agli appelli; non poteva avere nessun rapporto con gli isolani, non poteva entrare nei locali pubblici se non per il brevissimo tempo dello scambio commerciale, non poteva partecipare a riunioni o intrattenimenti pubblici, non poteva parlare di politica, ascoltare la radio, non poteva avere carta da scrivere se non timbrata dalla direzione, poteva scrivere, con le persone autorizzate dalla direzione, una sola lettera a settimana, lunga 24 righe, ovviamente sottoposta a censura. Vi erano poi alcuni confinati speciali, che avevano come ulteriore umiliazione un milite che li seguiva a tre passi.

I confinati però negli anni seppero organizzarsi in una serie di imprese comunitarie: spacci, botteghe, mense, biblioteche, perfino un’orchestrina che si esibiva la domenica. A Ventotene, a differenza di quanto era avvenuto nelle altre isole di confino, le mense erano organizzate per appartenenza politica: vi erano 7 mense dei comunisti, componente più numerosa, con i nomi più importanti (Terracini, Secchia, Scoccimarro, Longo, Roveda, Curiel, Ravera…), 2 mense degli anarchici dove spiccava la figura quasi leggendaria di Paolo Schicchi; c’era Giovanni Domaschi, conosciuto in tutte le colonie confinarie per le sue rocambolesche fughe. Vi era poi la mensa dei giellisti dedicata ai fratelli Rosselli, con Ernesto Rossi, Bauer, Fancello, Calace, Dino Roberto. Vi era poi la mensa dei socialisti con a capo Sandro Pertini, due mense dei manciuriani, cioè di quei confinati isolati dalla componente politica perché ritenuti delatori al soldo della direzione politica e infine vi era la mensa dei federalisti europei con Altiero Spinelli, mensa che aggregava proprio per il consenso alle nuove idee contenute in quello che poi diverrà famoso come il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera ed unita. C’era anche la mensa A degli ammalati, soprattutto tubercolotici, dove la generosità di alcuni confinati, tra i quali Di Vittorio, faceva arrivare il latte della loro stalla e i prodotti dei campi che coltivavano.

I confinati avevano a Ventotene una fornitissima biblioteca con volumi di storia, di economia, di filosofia di letteratura sia italiana che straniera, accanto alla biblioteca ufficiale vi era poi una biblioteca clandestina a cui potevano accedere solo in pochi.

Attorno alla biblioteca nacque in quegli anni un’intensa attività di studi, di riflessioni di preparazione, non a caso Ventotene è stata definita l’Università del confino, un autentico laboratorio culturale. Nelle stradine dell’isola, in una vera e propria organizzazione, i confinati studiavano, analizzavano, discutevano; si tenevano lezioni sistematiche e specialistiche di storia, di economia, di finanza, di statistica e perfino lezioni di tecniche militari impartite da alcuni ufficiali albanesi e dai combattenti di Spagna. Qualcuno ha poi raccontato che quelle lezioni furono fondamentali nella lotta partigiana.

Ognuno si specializzava nello studio dei testi, ma tutti si arricchivano e si formavano per lo scambio privilegiato con alcune personalità di altissimo spessore culturale e morale presenti allora sull’isola. Nella apparente immobilità della vita confinaria Pietro Grifone, scrisse la sua opera più importante Il capitale finanziario e nell’introduzione all’opera dedica una parte proprio a come si studiava al confino di Ventotene; anche Ernesto Rossi scrisse e soprattutto scrisse Altiero Spinelli il Manifesto di Ventotene .

Parallelamente all’efficiente sistema di sicurezza, di sorveglianza e di censura messo a punto dalla direzione della colonia negli anni, i confinati avevano altrettanto saputo organizzare un’ efficiente organizzazione per la ricezione e la trasmissione di documenti, da e per il continente, con la complicità di qualche familiare in visita o di qualche isolano, partivano messaggi clandestini celati negli oggetti più disparati. Per tutti quegli anni il collettivo del partito riuscì sempre ad essere collegato con il centro sia in Italia che all’estero, non a caso qualcuno argutamente ha definito il gruppo dei comunisti dell’isola, il governo di Ventotene, perché era proprio dall’isola che partivano le direttive più importanti.

Il 25 luglio cade il fascismo, i confinati si sentono liberi, ma il giorno dopo viene affondato, da quattro aerei siluranti inglesi, il piccolo postale che collegava l’isola al continente, e i confinati privi di mezzi rimasero bloccati sull’isola.

Il 28 luglio giunse nel piccolo porto dell’isola un ospite d’eccellenza Benito Mussolini che ironia della sorte, qualcuno aveva deciso di confinare a Ventotene, ma il direttore della colonia, Marcello Guida, per ragioni di sicurezza, considerata la presenza di quasi novecento confinati e della bene armata guarnigione tedesca, (che si occupava di un potente radar) decise di non accogliere. La corvetta si diresse allora verso la vicina Ponza.

Gli ultimi confinati partirono verso la fine di agosto, erano soprattutto anarchici e slavi che furono destinati ai campi di concentramento di Fraschette d’Alatri e Renicci d’Anghiari, gli altri si erano già uniti ai gruppi combattenti per la liberazione d’Italia.

L’8 settembre sull’isola sbarcano 45 paracadutisti americani e grazie alla collaborazione di un ex confinato, che era rimasto sull’isola dopo la partenza degli altri, i tedeschi consegnarono le armi e Ventotene divenne il primo comune della provincia di Latina ad essere liberato dagli alleati, di questo episodio si conosce la testimonianza di un inviato di guerra molto speciale, J. Steinbeck, che accompagnava i soldati in quella che fu chiamata Ventotene Mission; l’episodio è raccontato nel suo libro C’era una volta una guerra.

Siamo un popolo dalla memoria assai corta, che dimentica facilmente gli errori e i sacrifici compiuti dalle generazioni che ci hanno preceduto, così negli ultimi anni è accaduto che nell’immaginario collettivo la mistificatoria associazione confino-villeggiatura sia andata rafforzandosi e qualcuno ha utilizzato l’assonanza isola-villeggiatura per un revisionismo storico alterato e manipolato, rivalutando il regime fascista come benevolo e svilendo la repressione degli oppositori come fatto secondario. L’isola invece da luogo di umiliazione, si trasformò in luogo di testimonianza e di riscatto per tutti coloro che opponendosi alla violenza e alla sopraffazione decisero di non mollare e difendere con dignità le proprie idee.

Filomena Gargiulo

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