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Democrazia, la battaglia continua

Giovedì 31 ottobre al Campo della Gloria di Milano si è svolta, promossa dalle Associazioni Combattentistiche e della Resistenza, la manifestazione in ricordo dei Caduti per la Libertà.

Sono intervenuti: Franco D'Alfonso, per il Comune di Milano; Roberto Cassago per la Provincia; Fabrizio Sala per la Regione Lombardia; generale Mario Renzo Ottone, comandante del Presidio militare di Milano; Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano; mons. Luigi Manganini, per l' Arcidiocesi di Milano, Roberto Cenati, presidente dell'Anpi di Milano.

Qui di seguito l'intervento conclusivo di Roberto Cenati.

Siamo qui, anche quest'anno a rendere il doveroso omaggio ai partigiani e alle partigiane del Corpo Volontari della Libertà, agli ebrei milanesi scomparsi a seguito della persecuzione antisemita, ai deportati politici morti nei lager tedeschi, ai militari dell’Esercito di Liberazione che risalirono la penisola a fianco degli Alleati, ai 650.000 militari italiani (50.000 dei quali non tornarono) catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943 e deportati nei lager nazisti che preferirono la prigionia al ritorno in patria, subordinato al giuramento alla Repubblica di Salò, agli operai tradotti nei campi di concentramento a seguito degli scioperi del marzo 1944. Nei nomi raccolti in questo Campo è incisa e racchiusa una parte importante della storia del Secondo Risorgimento nazionale, la Resistenza, così come è menzionato nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla nostra città.

Ricorre quest'anno il settantesimo anniversario dell'eccidio della Divisione Acqui a Cefalonia, uno dei primi episodi di resistenza organizzata che ha visto protagonista, all'indomani dell'8 settembre, fra il 13 e il 22 settembre 1943, una grande unità delle Forze Armate italiane contro l'esercito tedesco, preponderante per uomini e mezzi. Mai un così elevato numero di uomini, alcuni dei quali giovanissimi, scelsero la via del sacrificio, decisero di non cedere le armi e preferirono combattere. Dopo la resa, centinaia di ufficiali italiani vennero fucilati dalla 1a Divisione di montagna tedesca, già resasi protagonista di eccidi di prigionieri russi, di civili e di ebrei nel corso della campagna di Russia del 1941. Per questo crimine, a distanza di 70 anni, il Tribunale militare di Roma ha condannato in contumacia, con una sentenza senza precedenti in Italia su Cefalonia, il caporale nazista Albert Stork giudicato colpevole dell'uccisione di almeno 117 ufficiali a Cefalonia, alla Casetta Rossa.

Settant'anni fa, dopo l'8 settembre 1943 con l'occupazione tedesca del nostro Paese e la costituzione della Repubblica di Salò, instauratasi contro i valori della nostra civiltà fondata sulla libertà, sul rispetto della persona umana e sull'uguaglianza, che ebbe un ruolo determinante nella denuncia e nell'arresto di tanti nostri connazionali,iniziava la deportazione degli oppositori politici al regime fascista e degli ebrei da Milano e dall'Italia. Il 16 ottobre 1943, 1024 ebrei romani vennero tradotti nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale solo in sedici ritornarono. Per gli strani appuntamenti che la storia combina, la morte di Erich Priebke che agli ordini di Kappler coordinò personalmente il massacro di 335 vittime delle Fosse Ardeatine, è caduta a poche ore dal settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma. Furono i colleghi di Priebke a strappare al ghetto gli ebrei romani per deportarli ad Auschwitz.

Non va mai dimenticato il messaggio di coloro che non sono ritornati dalla deportazione sia a seguito della persecuzione antisemita che di quella politica: quello di non negare lo sterminio dove è stato praticato, di non banalizzare e non confondere tutto con la sola violenza o la natura malvagia dell'uomo, perché la violenza aveva un solo nome, nazifascismo, di non dimenticare l'organizzazione del lager caratterizzata da un trattamento che programmaticamente annientava con il lavoro e programmaticamente sopprimeva con il gas gli inabili e gli inadatti al lavoro. Bisogna comprendere, a distanza di tanti anni da quei tragici fatti, quanto sia importante mantenere viva la memoria storica su cosa abbia significato il nazifascismo. Dobbiamo mantenere in vita questa memoria perché i persecutori di ieri non finiscano, come recentemente accaduto, per essere dipinti come le vittime di oggi.

La gravissima depressione economica del nostro continente che rischia di provocare il disgregarsi della convivenza civile e la messa in discussione delle basi della stessa democrazia si è pericolosamente intrecciata con il preoccupante rifiorire di formazioni neofasciste, neonaziste e populiste, accomunate dalla scelta di scagliarsi contro un nemico esterno, di volta in volta identificato negli ebrei nei rom,o negli stranieri in genere. In Italia, nella nostra Regione e a Milano capitale della Resistenza, si sono manifestati e si stanno manifestando pericolosi rigurgiti neofascisti e neonazisti che offendono la memoria di chi ha sacrificato la propria giovane vita per la libertà.

I comuni della nostra Regione e Milano, Città Medaglia d'Oro della Resistenza, non possono più tollerare tali manifestazioni antisemite, xenofobe e razziste che si pongono in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Sabato 19 ottobre 2013 un attentato compiuto contro la sezione ANPI di Legnano, ha segnato un pericoloso salto qualitativo da parte di questi movimenti eversivi. Questi preoccupanti segnali che spesso vengono vissuti nella pressochè totale indifferenza dell'opinione pubblica, hanno una spiegazione ben precisa: se il fascismo è stato sconfitto militarmente nel nostro Paese il 25 aprile 1945, non lo è stato culturalmente, idealmente e storicamente. Molti non conoscono bene cos’è stato il fascismo, quali tragedie ha provocato al Paese e non sanno che il fascismo non promise mai l’emancipazione e la liberazione dell’uomo. Prima e dopo la conquista del potere il fascismo dichiarò sempre apertamente di considerare le masse un materiale da plasmare per conseguire gli obiettivi della sua politica di dominio e di potenza. Questo è il primo forte richiamo che ci proviene dal Campo della Gloria: recuperare il valore della Memoria per vincere l'oblio che tende a pianificare tutto, a cancellare le differenze, spesso mascherato dalla strumentale necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del passato e a vivere in un presente senza storia e senza futuro.

Ma un altro forte richiamo giunge a tutti noi da questo campo. Il compianto cardinale Carlo Maria Martini nella sua bellissima omelia letta in Duomo in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione, osservava che bisogna fare di tutto perché “I principi che costituiscono la stella polare della Repubblica italiana siano sempre alti all'orizzonte e affinchè non sia reso vano il sacrificio eroico di chi ci ha preceduto”. La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige quindi che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Libertà ci hanno lasciato.

Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in uno stimolante libro dedicato “A un giovane italiano” osservava: “Le ombre che offuscano ormai da troppo tempo l'orizzonte economico si allungano nello spazio sociale e civile della collettività; tanto che, sempre più spesso e con ansia crescente, mi ritrovo a considerare le conseguenze sulle generazioni più giovani”. Siamo di fronte, infatti, a una delicatissima crisi politica ed istituzionale, al rischio della dissoluzione delle regole e dei valori che rendono possibile la sopravvivenza dello stato di diritto e della democrazia stessa, ad una caduta senza precedenti dell’etica pubblica, al manifestarsi quasi quotidiano di fenomeni di corruzione, in una società che celebra ogni giorno, il rito dell’effimero, del successo individuale, della scomparsa della solidarietà.

La conseguenza inevitabile di questa deriva è costituita dal venir meno della speranza nella possibilità di cambiamento e da una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Occorre una vera e propria rivolta morale, alla quale ci chiamano i Combattenti per la Libertà, una vera e propria rigenerazione e rinascita etica della società. Bisogna rilanciare la cultura della legalità repubblicana, il richiamo alla Costituzione nata dalla Resistenza e ai valori dell’antifascismo.

Anche se il quadro che ci circonda è desolante, dobbiamo sconfiggere la diffidenza per la politica, che il fascismo ha instillato negli italiani, considerandola “una cosa sporca” e restituirle il suo significato di partecipazione e impegno disinteressati per il bene comune, come l'intera vicenda resistenziale ci ha insegnato. Ma soprattutto la politica deve essere capace di rinnovarsi profondamente se vuole affrontare seriamente i problemi del Paese. Non deve procedere per slogans od analisi superficiali, ridursi a giochi di potere, appiattirsi sui problemi dell'immediato, su iniziative di corto respiro, ma dotarsi di progettualità, di proiezione e tensione verso l’avvenire. La Carta costituzionale, all'articolo 3, nel quale implicitamente si riconosce il contributo dei lavoratori, pagato con arresti e deportazioni, alla lotta per liberare il Paese dal nazifascismo, con gli scioperi del marzo 1943 e del marzo 1944, ci suggerisce una strada, quella della democrazia fondata sulla partecipazione, laddove si dice che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In questo quadro preoccupante c'è un faro che deve illuminare il nostro cammino. Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, di un’Europa politicamente e socialmente unita, stella polare dell'Italia repubblicana insieme alla Carta Costituzionale, con il suo forte richiamo ai valori della libertà, della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, della solidarietà, della pace. I problemi che abbiamo di fronte sono difficili e complessi e richiedono, impegno, rispetto dei principi, delle regole contenute nella Carta Costituzionale che non ha bisogno di essere modernizzata, ma che va difesa e attuata, e osservanza della impalcatura costituzionale fondata sull’equilibrio dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana, evitando l'impulso, come avviene nei passaggi difficili della storia, ad affidarsi ad uomini della Provvidenza, utilizzando invece tutte le persone competenti, senza mitizzare nessuno.

Non bisogna perdere la speranza. Altiero Spinelli nel suo libro, Come ho tentato di diventare saggio” afferma: “Nel tetro inverno '40-'41, quando quasi tutta l'Europa continentale era stata soggiogata da Hitler, l'Italia di Mussolini ansimava al suo seguito, gli Stati Uniti erano ancora neutrali e l'Inghilterra solo resisteva, proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme “un manifesto per un'Europa libera ed unita” e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente. Ero fra quelli che non capitolavano, che anche nei momenti più bui pensavano che la battaglia non era ancora persa; ero andato addirittura progettando quel che si sarebbe dovuto fare dopo l'abbattimento dell'orda nazista.”

Non dobbiamo perdere la speranza ma continuare la battaglia per la libertà, per la democrazia, per la difesa e attuazione della Costituzione, per la costruzione di una società più giusta,se vogliamo raccogliere l'eredità spirituale dei Combattenti per la Libertà. Questo è l'impegnativo compito che ci attende.