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Processo eternit: due condanne

Il Tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere ciascuno il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier alla fine del processo Eternit. I due rispondevano di disastro doloso e rimozione di cautele.

Il tribunale, secondo quanto si ricava dalla lettura del dispositivo della sentenza ha ritenuto i due imputati colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria). Per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto.

"Non sono solito commentare le sentenze - dice Carlo Smuraglia, presidente nazionale ANPI - ma quella emessa oggi dal Tribunale di Torino sulla nota vicenda dell'eternit e dell'amianto, che ha cagionato una serie infinita di vittime è, in certo modo, una sentenza storica, perché afferma la responsabilità di imprenditori che hanno causato danni terribili e protratti nel tempo, pur avendo cognizione del rischio e della inadeguatezza delle misure prevenzionali adottate; e questo, in un caso in cui hanno partecipato, come parti civili, in quanto danneggiati, oltre 4.000 persone (un quadro che spiega ampiamente la severità della condanna , per un reato che non è solo colposo, ma presuppone,appunto, la consapevolezza)".

Un principio sottolinea il presidenmte dell'Anpi - in qualche modo già affermato dai Giudici di Torino anche nel processo della Thyssen; si conferma così una giurisprudenza che applica rigorosamente la legge, senza fare sconti a nessuno e tenendo conto della estrema gravità dei fatti. La sentenza è storica, peraltro, anche perché - nel caso specifico - non sono stati colpiti solo i lavoratori dipendenti dell'azienda, ma anche i cittadini di Casale Monferrato e della zona vicina; e, purtroppo, non è finita, perché si tratta di malattie a lunga latenza e quindi sussiste tuttora una grave situazione di pericolo".

"Certo, le sentenze sono importanti, ma quando il danno è gravissimo ed è - al tempo stesso - lavorativo e ambientale, è chiaro che occorre realizzare una forte e seria politica di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Bisogna attuare finalmente - conclude Smuraglia - un sistema di sicurezza dei luoghi di lavoro e dell'ambiente, perché non è concepibile che ancora ci si ammali e si muoia per il ripetuto impiego di sostanze dannose e per la mancanza di una adeguata prevenzione e di seri ed inflessibili controlli. Non è davvero tollerabile che si continui a morire, ad anni di distanza dalla cessazione dell'attività produttiva, per l'impiego - a suo tempo - di sostanze già allora note per la loro estrema pericolosità. Insomma, il problema non è solo giudiziario, ma anche e soprattutto "politico ", nel senso più alto della parola".





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