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Lucia Sarzi attrice, antifascista, partigiana, donna

“Abbiamo solo fatto ciò che si doveva”, quante volte si legge o ascolta questa affermazione dalle donne che, in differenti e molteplici ruoli, hanno contribuito alla Resistenza?

In un'Italia repubblicana che a lungo si è dimenticata delle sue genitrici nel raccontarsi, loro per prime si sono sminuite, con pudore, genuinità e modestia, riconquistando solo decenni dopo la lotta di Liberazione un posto dovuto, grazie al lavoro di nuove leve di storici.
In tale contesto si inserisce l'oblio che ha circondato fino ad ora la figura di Lucia Sarzi. È infatti stata pubblicata nel mese di novembre la ricerca di Laura Artioli “Ma il mito sono io. Storia delle storie di Lucia Sarzi: il teatro, la Resistenza, la famiglia Cervi”.

Chi era questa donna il cui nome, fuori dal ristretto territorio della bassa emiliana, non risveglia alcun ricordo, non è facile sintetizzarlo.
“Lucia Sarzi non ha mai rilasciato interviste e ha scritto di sé una sola volta”, con queste parole l'autrice inizia il suo racconto.
Era un'attrice Lucia, per stirpe, professione ma soprattutto vocazione. Era voce e palcoscenico prima di tutto, di una famiglia che seguendo la scelta del nonno paterno si era data al teatro e ai burattini vivendo una vita girovaga, priva di certezze e stabilità quanto ricca di fascino, incontri e proprie regole di convivenza ereditate da una tradizione antica.

Ma Lucia fu anche tanto altro. Fu antifascista, di cuore, attiva fin da giovanissima; fu una militante comunista a cui si deve la tessitura di gran parte della rete che permise alle province di Reggio Emilia, Parma e Mantova di lottare culturalmente e armi in spalla il fascismo; fu una partigiana; fu esempio di emancipazione e impegno per tante ragazze di quegli anni, come raccontò Laura Polizzi 'Mirka'; fu moglie e madre ritirata a vita privata dal '45 fino alla sua morte prematura, avvenuta nel 1968. E se n'è andata con i tempi di una grande primattrice Lucia, due giorni dopo l'uscita del film di Gianni Puccini sui sette fratelli Cervi da lei fortemente voluto, da lei che nulla ha raccontato e tanto sapeva di quei contadini di scienza con i quali aveva condiviso progetti, azioni e affetto. Film che la ingabbiò nel ruolo, rassicurante e congeniale, di staffetta dei Cervi.

Lucia tuttavia, come emerge da “Il mito sono io” è colei a cui si deve molto del radicamento della rete clandestina che, fra case di latitanza, staffette, antifasciti e partigiani combattenti, rese possibile la Resistenza e la Liberazione in Emilia. Un ruolo praticamente da quadro di partito come sottolineava il ben più famoso fratello Otello - noto al mondo intero come burattinaio e dalla tumultuosa esperienza da partigiano -, e come possiamo immaginare dall'orazione tenuta al suo funerale da Giorgio Amendola, il quale l'aveva conosciuta quando, sfuggendo alla persecuzione del regime, redigeva l'Unità in un casale di Correggio a Reggio Emilia in cui aveva trovato rifugio grazie a lei.

Morendo Lucia ha lasciato solo uno scarso e quasi asettico scritto su di sé, breve contributo al convegno del 1965 “La donna reggiana nella Resistenza”, che fissa alcuni passaggi della sua biografia senza tuttavia chiarirla, ma quasi ingarbugliando ancora di più la matassa di un'esistenza che è arrivata a noi tramite aneddoti, leggende, impressioni e pochissimi documenti. Ciò che abbiamo di lei, restituisce una giovinezza vissuta con pienezza e consapevolezza, senza risparmio di sé e dei suoi affetti e forse per questo conclusasi nel silenzio. Dopo aver perso così tanti legami nel corso della Resistenza, il calore del focolare forse era il desiderio maggiore.
Forse...che di Lucia possiamo immaginare tutto ma resta sfuggente, come i fratelli Cervi, Don Pasquino Borghi, il controverso Dante Castellucci 'Facio', che intrecciarono la loro vita alla sua.

Aneddoti dunque, spesso “in decine di versioni diverse” è quanto si è trovata fra le mani Laura Artioli nel tentativo di ricostruire la vita di questa donna, 'la storia delle sue storie', su incarico dell'Anpi di Reggio Emilia e dietro decisa sollecitazione di Maria Cervi. E sorprendentemente Laura Artioli è riuscita a raccontare Lucia, a restituirla e a salvarla dalla dimenticanza. Non trascura le voci, le leggende, le contraddizioni, ma le utilizza per meglio presentarci questa ragazza e il suo carattere. E così il libro non si presenta come un saggio ma come un racconto di vita, dove i testimoni emergono dalle pagine, co-protagonisti di un quadro che parlando di questa donna rende più nitidi e vividi i contorni dell'esperienza di tutta una terra.
Una storia sempre sul filo del mitico, dell'incredibile e del verosimile, passata di bocca in bocca e che non si lascia definire una volta per tutte, e qui sta il suo fascino, e qui troviamo il talento dell'autrice, perché, come ha sottolineato Lidia Menapace nella prefazione: “Ne è venuta un'opera che si raccomanda per aver unito storiografia e narrativa, documentazione e interpretazione. Questo libro inaugura una nuova forma della storiografia (...)”.

“Ma il mito sono io. Storia delle storie di Lucia Sarzi”, realizzato grazie alla tenacia dell'Anpi provinciale di Reggio Emilia, pubblicato da Aliberti Editore, è stato reso possibile dal contributo di Istoreco, Istituto Alcide Cervi, Legacoop Reggio Emilia, Provincia di Reggio Emilia. Presentato il 9 novembre scorso, ha dimostrato quanto Lucia Sarzi sia ancora un personaggio che sa parlare e incuriosire, se la sala conferenze di Palazzo Magnani a stento riusciva a contenere le persone intervenute per ascolatare l'autrice, Lidia Menapace e, sicuramente, la piccola Gigliola Sarzi, una signora ormai ottuagenaria, depositaria delle memorie della sua insolita famiglia e del mondo degli artisti girovaghi.

Gemma Bigi