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Boldrini, il combattente per la libertà di tutti

Il 15 settembre alla Camera dei deputati si è svolta la cerimonia a ricordo di Arrigo Boldrini, a cento anni dalla nascita.

Pubblichiamo qui di seguito il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l'intervento del Sen. Giorgio Napolitano e quello di Carlo Smuraglia, presidente nazionale ANPI.

Messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla cerimonia in ricordo di Arrigo Boldrini a cento anni dalla nascita.

Arrigo Boldrini - comandante partigiano, deputato alla Costituente, a lungo parlamentare - ha contribuito, lungo tutta la sua vita, a costruire e radicare la democrazia nel nostro Paese. Per questo il centesimo anniversario della sua nascita è un'occasione propizia per riflettere sulla sua ricca personalità politica, e al tempo stesso sulla storia comune che è scaturita dalla lotta di Liberazione e che la Carta costituzionale ha instradato su un percorso di libertà e di crescita sociale.

Boldrini è stato con coerenza uomo di partito ma non è mai mancato in lui il senso di una responsabilità nazionale, di una fedeltà patriottica. Sin da quando, ancora molto giovane, scelse la Resistenza e organizzò le brigate di cui divenne comandante. Per il suo coraggio e la capacità di guida, le autorità alleate gli conferirono nella piazza di Ravenna appena liberata la medaglia d'oro al valor militare. E proprio la valenza unitaria di questo riconoscimento solenne divenne per lui una guida nell'impegno pubblico, a partire dall'Associazione nazionale partigiani di cui è stato presidente dalla fondazione fino a quando le forze lo hanno sorretto.

Dare continuità ai valori e agli ideali della Liberazione è stato il centro dell'azione politica di Boldrini e dell'Anpi, e anche della missione educativa e culturale volta a coinvolgere le nuove generazioni. La responsabilità nazionale comporta il riconoscimento e il primato del bene comune, e questo Boldrini lo ha dimostrato nella costante difesa delle istituzioni democratiche e nella fermezza con cui ha combattuto il terrorismo e l'eversione.

Ricordo di avere ascoltato ai funerali di Benigno Zaccagnini, il comandante Bulow dire che nei mosaici di Ravenna da quel momento in poi ci sarebbe stata una tessera di nome Benigno e che “nei momenti di sconforto e di amarezza”, passeggiando “assieme ai giovani”, sarebbe andato a riscoprire “quella tessera fra i colori delle antiche basiliche per essere fedeli a una scelta di vita”. Ora c'è anche una tessera con il suo nome e chi la vedrà ricorderà il suo testamento politico: “Abbiamo combattuto per la libertà di tutti”.
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Intervento del Sen. Giorgio Napolitano alla cerimonia in ricordo di Arrigo Boldrini a cento anni dalla nascita.
Camera dei Deputati, 15 settembre 2015

Vorrei partire, nel contributo di testimonianza e di riflessione che sono lieto di poter dare a questo incontro, da qualche parola su Arrigo Boldrini come persona. Mi consentono di farlo i molti anni di impegno comune e di vicinanza umana vissuti con lui nella politica e in Parlamento. Quel che di mitico e certamente di eroico suggeriva la sua figura di straordinario protagonista della Resistenza non si riflesse mai, negli anni seguiti alla Liberazione, nel suo modo di essere e di condursi. Sobrietà, semplicità e simpatia nei rapporti interpersonali, serietà nell'espletamento dei compiti affidatigli sul terreno politico e parlamentare: l'antiretorica per eccellenza. Con quanta modestia si applicò ai problemi della politica della difesa nella Commissione competente e in Assemblea, alla Camera e al Senato!
In quanto a temperamento, era, in fondo, sempre uomo di schietto e forte spirito romagnolo; non gli mancava l'ironia e anche il gusto dello scherzo e della beffa, perfino in tempi di clandestinità e di guerra, magari giuocando qualche affettuoso brutto tiro (che amava ancora raccontare tanti anni dopo) al suo amico e compagno partigiano Ennio Cervellati poi divenuto parlamentare di Lugo di Ravenna.
E ancora una parola va detta sull'equilibrio e la misura che sempre caratterizzarono Boldrini nelle discussioni interne di partito come nei rapporti politici e parlamentari: e forse in ciò si manifestava qualcosa che ci era comune e che motivava il calore della stima e dell'amicizia tra noi.
Ma vengo a quel che egli rappresentò come militante e comandante partigiano nella vicenda storica della Guerra di Liberazione. Se ne è detto già molto quest'oggi qui, e molto ne ha raccontato lo stesso Boldrini nella bellissima, e spesso commovente, testimonianza audio-visiva del maggio 1995 che ci ha lasciato.
Non tornerò dunque, ripetitivamente, su aspetti chiave della sua esperienza come l'intuizione e l'invenzione di una strategia e tattica della resistenza in pianura, o come la costruzione del rapporto con le Forze Alleate fino all'integrazione in seno ad esse delle formazioni partigiane.
Né tornerò troppo nei particolari sul momento di eccezionale valore simbolico che ebbe, anche per noi più giovani di allora fuori dei territori occupati dai tedeschi che erano teatro dell'azione partigiana; valore simbolico che ebbe in effetti e conserva per una più vasta opinione pubblica. Parlo della cerimonia del conferimento della medaglia d'oro, specie per l'eroico contributo alla battaglia della Liberazione di Ravenna, conferita a Boldrini e appuntatagli sul petto dal Generale Comandante della 8° Armata britannica. Quell'immagine consacrò come eroe della Resistenza italiana Bulow, nome di battaglia del comunista Boldrini.
Alcuni di quei nomi erano particolarmente evocativi. Così, Bulow-Boldrini incontrò (e vi fa cenno con un filo di ironia nella sua testimonianza audio-visiva) il vecchio amico Benigno Zaccagnini, come Presidente del CLN di Ravenna, col nome non meno suggestivo di Tommaso Moro.
Considero altresì molto importante quel che si ricava dalle pagine autobiografiche che Boldrini ci ha lasciato e quel che si è scritto da parte di altri sulla sua storia personale, e quindi sull'evoluzione che lo condusse all'impegno nella Resistenza. Credo si possa dire che il suo avvicinamento all'antifascismo avvenne per gradi e in virtù di particolari circostanze ambientali, senza acquistare organicità e approdare a un effettivo impegno politico.
Contarono, forse, soprattutto la formazione ricevuta dal padre di antico orientamento libertario e frequentazioni come quella di circoli cattolici legati alla figura di Don Minzoni. Meno significativi appaiono i suoi primi anni di formazione professionale e di attività lavorativa.
La premessa di quel che sarebbe stato il suo coinvolgimento nella lotta armata fu piuttosto il periodo del servizio militare che si concluse con la nomina a sottotenente di complemento dell'esercito. E decisivo fu l'irrompere della guerra. Fu la guerra - o concretamente l'entrata in guerra dell'Italia nel 1940 - a travolgere distinzioni e remore di ogni genere; vorrei dire che valse, nel caso di Boldrini, come in tanti altri, anche a colmare vuoti di formazione politica di tutto il tratto di vita precedente. Tornano in mente le parole della famosa lettera di Giaime Pintor al fratello, anche se riferite al passaggio che vissero essenzialmente giovani intellettuali: "La guerra ha travolto certi ostacoli, sgomberato il terreno da molti comodi ripari e mettendo brutalmente a contatto con un mondo inconciliabile".
Ma quale fu, in un uomo di quasi trent'anni come Boldrini, non coinvolto in una maturazione intellettuale come quella di non pochi giovani della sua generazione, l'impulso che gli fece rompere ogni indugio e lo spinse - nell'Italia in pieno marasma dell'8 settembre - a gettarsi nella mischia?
E mi si consentirà di dire come in questo senso siamo in presenza di un esempio importante per comprendere il processo ancor oggi indagato e discusso della confluenza di diverse componenti nella Resistenza. È stato, specialmente dopo la pubblicazione del libro di Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza), acquisito e sottoposto a verifica tra molteplici accentuazioni e dissensi, il concetto delle "tre guerre". La Resistenza come guerra patriottica, guerra civile e guerra di classe.
Si giunse a un dato momento quasi a un referendum pro o contro la tesi della guerra civile, e il primo a deplorarlo è stato proprio Pavone fornendo tra l'altro seri chiarimenti sullo stesso modo di intendere quella contestata espressione. E insieme con i suoi interventi, sono stati di recente raccolti - e concorrono a nuove riflessioni - quelli, relativi alla stessa materia, di Norberto Bobbio.
Da quest'ultimo, oltre che obiezioni e distinzioni sull'uso del termine "guerra civile" o del termine "guerra interna", la formula delle tre guerre viene riferita alla possibile identificazione, in ciascun caso, della figura del nemico o anche dei soggetti combattenti e protagonisti della Resistenza. Egli li cataloga rispettivamente come "movimento patriottico costituito in gran parte da militari rimasti fedeli al Re", "movimento antifascista guidato da élites intellettuali", "movimento rivoluzionario appoggiato dal partito comunista". Ma in quest'ultima tripartizione, piuttosto tagliata con l'accetta, dove mai si potrebbe collocare la figura di Boldrini? E possono egualmente separarsi schematicamente gli obbiettivi di ciascuna delle "tre guerre"?
In realtà la figura del giovane Arrigo Boldrini e l'esempio della sua adesione e fulgida partecipazione alla Resistenza ci inducono a una visione più duttile e ricca. È lo stesso Pavone ad aver scritto: "Il criterio delle tre guerre attraversa orizzontalmente la realtà resistenziale, e cerca di individuare elementi che in misure e combinazioni sono presenti in più formazioni, se non sempre in tutte, e sono entrati a far parte di quello che si potrebbe chiamare il senso comune resistenziale."
E Arrigo Boldrini fu certamente guidato dall'impulso della liberazione della sua terra e di tutta l'Italia occupata, si ispirò a questa motivazione pur non potendosi considerare un militare di sentimenti monarchici sol perché diventato ufficiale, richiamato alle armi e inviato sul fronte jugoslavo peraltro trattenendovisi solo per brevissimo tempo. Agiva certamente in lui anche la componente del senso della lealtà verso lo Stato legittimo e verso le forze armate nel quadro di un approccio autenticamente nazionale all'impegno nella Guerra di Liberazione.
Un valente giornalista e scrittore, Aldo Cazzullo, nella rappresentazione non solo appassionata ma esaustiva e obbiettiva che in un suo recente libro ha dato degli "uomini e donne della Resistenza", delle loro storie e delle loro gesta, senza rimuovere alcun punto oscuro, ha collocato Boldrini in una sorta di categoria - quella dei "comunisti patrioti" - su cui mi sentirei per la verità di avanzare qualche dubbio o obiezione. Ma possa o no Boldrini collocarsi in una speciale "categoria", egli fu certamente grande patriota, senza che si possa per ciò stesso pensarlo in contraddizione con la sua adesione al PCI o con l'orientamento generale di quest'ultimo. Ci dice in definitiva lo stesso Pavone: "L'unità della Resistenza, attorno alla quale è corsa tanta retorica, potrebbe forse essere recuperata come comune, ma differenziata, aspirazione a dar vita a un uomo libero e moralmente non in contraddizione con sé stesso, quale che fossero i contenuti, anche molto diversi, con i quali l'immagine del futuro veniva riempita."
Delusi, e radicalmente critici, per l'esito della Resistenza rimasero solo coloro che "l'immagine del futuro" - per dirla con Pavone - "riempirono con una velleitaria prospettiva di rottura rivoluzionaria".
Ad essi, Bobbio così si rivolse nel 1992: "Grazie alla Resistenza, il popolo italiano, a poco più di un anno dalla fine della guerra, poté scegliere il proprio destino in libere votazioni, con il referendum istituzionale prima, con le elezioni alla Costituente, poi, onde nacque la Costituzione repubblicana, discussa e approvata da uomini la cui stragrande maggioranza rappresentava i partiti antifascisti. La Costituzione fu anche prova suprema della pacificazione fra i partiti che avevano combattuto insieme un nemico comune pur divisi sulle prospettive del futuro."
Ecco definito con semplici e concrete parole di verità il debito storicamente incancellabile di gratitudine che l'Italia ha contratto e conserva verso la Resistenza, verso i suoi caduti, verso tutti i suoi artefici, tra i quali in primo piano Arrigo Boldrini, verso tutte le sue componenti - i militari che rifiutarono la resa dopo l'8 settembre, le ricostituite forze armate italiane, gli antifascisti storici, le formazioni partigiane di ogni tendenza, la popolazione solidale con i combattenti della libertà.
E il nostro, sempre attuale debito di gratitudine, siamo chiamati a onorarlo rendendo omaggio a figure come quella di Boldrini-Bulow, e assolvendo il dovere di raccontare la Resistenza e di riflettere sulla Resistenza. È il dovere che abbiamo nei confronti dei giovani e che l'omaggio a Boldrini ci ha oggi aiutato a compiere.

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Ricordo di Arrigo Boldrini.

Intervento di Carlo Smuraglia, presidente nazionale ANPI
Roma, 15 Settembre 2015

1. Un uomo straordinario
Non siamo qui a ricordare un eroe, anche se attorno al nome di “Bulow” si è creata, nel tempo, una specie di mito, o addirittura una leggenda.
Nell'era moderna, dicono le enciclopedie, eroe è colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che ha comportato o possa comportare, il sacrificio di sé stesso allo scopo di proteggere il bene comune.
Orbene, seppure è pacifico che Boldrini fu uomo d'azione, coraggioso e intrepido nella Resistenza, è tuttavia da riconoscere che la sua vicenda umana è ben più complessa e significativa.
Boldrini significa una vita spesa per la libertà e la democrazia; e rappresenta un pezzo, importante, della storia del nostro Paese. È questo che ne fa un uomo straordinario, meritevole di essere non solo ricordato, ma additato come esempio, in tutte le sue sfaccettature, che appartengono sempre ad una personalità libera, autonoma e collegata a valori imprescindibili.
Boldrini è stato partigiano, Comandante di Brigata, membro della Costituente, parlamentare, dal '46 al '94, tra Camera e Senato, Vicepresidente della Camera dal 1968 al 1976, Presidente della Federazione Volontari della Libertà per molti anni, Segretario dell'ANPI fin dalla nascita dell'Associazione e poi Presidente Nazionale dell'Associazione dal primo Congresso fino al 2006, quando fu eletto Presidente onorario dell'ANPI. Una vita intera, di una complessità e di una coerenza incredibili, quali– purtroppo – di questi tempi, non è affatto facile riscontrare.
Tutte queste cose, Boldrini, le ha fatte con semplicità, con coraggio, fermezza e coerenza, con una fede indomita nella democrazia e nell'antifascismo, senza iattanza, senza esibizionismi, perfino nel modo di presentarsi.
Lasciamo, dunque, da parte la leggenda e riconosciamo che in ognuna delle cose che Boldrini ha fatto, ha lasciato un segno, un'impronta così evidente e forte da avere suscitato simpatie, amicizie e stima durature, ma anche fomentato, come vedremo, l'odio di coloro che non vogliono accettare la storia.

2. Boldrini partigiano
Fin dal settembre 1943, Boldrini partecipò a diverse azioni partigiane, costituendo Gruppi di Azione Patriottica e formandosi ben presto l'idea che non fosse affatto vero che i GAP avevano spazi di azione solo nelle città, ma al contrario c'era largo spazio anche per agire nelle periferie e soprattutto nella campagna. Più in particolare si dedicò ben presto alla costruzione di raccordi tra diversi GAP, fino a costituirli in Brigata, contrariamente a qualsiasi esperienza fino ad allora realizzata. Con centinaia di persone costituì la Brigata “GAP” Garibaldi, poi divenuta Brigata Garibaldi, sempre intestata al nome del partigiano Mario Gordini. Aveva, così, dato luogo ad una epocale innovazione, anche sul piano organizzativo e dell'azione, come è stato giustamente rilevato in un recente libro, molto serio, di Santo Peli (“Storie di GAP”), che dedica particolare ed ampia attenzione all'esperienza romagnola e ravennate con un capitolo sui “Gappisti di campagna” in cui Boldrini aveva già un ruolo fondamentale; e con un altro dedicato interamente a “Quelli di Bulow”.
La scelta della “pianurizzazione”, dice lo storico Crainz, “militarmente appariva come un suicidio; al contrario fu una scelta vincente, anche perché ebbe il merito storico di dare forza al mondo contadino”.
Ampi e significativi riconoscimenti ci furono da parte degli inglesi dell'8° Armata, che inserirono la 28° Brigata “Mario Gordini” nella struttura stessa dell'Armata da loro diretta e presieduta. Fatto del tutto privo di precedenti, salvo – in certa misura – quello della Brigata della Majella.
Da ciò l'assegnazione, ancora durante la guerra, nel febbraio 1945, della medaglia d'oro a Boldrini, su esplicita proposta degli inglesi; da ciò la successiva assegnazione della medaglia d'argento al valor militare alla stessa 28° Brigata, come tale; due riconoscimenti davvero eccezionali.
La lettura delle motivazioni della medaglie chiarisce perché è giusto parlare di “straordinarietà” anziché di eroismo, perché quella di Boldrini faceva riferimento al suo altissimo entusiasmo ed alla sua eccezionale capacità organizzativa, oltreché all'arditissima azione “realizzata a Porto Corsini ed al contributo decisivo recato per la liberazione di Ravenna senza danno per una città così carica di valori artistici”; e quella assegnata alla bandiera della Brigata (30 Aprile 1945) era motivata in riferimento all'impegno nella lotta contro i tedeschi, prima alle dipendenze di unità alleate e poi in stretta collaborazione con una grande unità del rinnovato esercito italiano, “ispirandosi alle più pure tradizioni risorgimentali e del volontarismo garibaldino”.
Quanto alla “arditissima azione”, che poi fu quella che condusse alla liberazione di Ravenna, si trattò di un vero e proprio piano strategico-militare, predisposto da Boldrini, sottoposto da lui stesso – dopo aver attraversato il fronte – ai Comandi inglesi, ottenendone l'approvazione e poi concretamente realizzato con indiscutibile successo. Anche questo è un dato eccezionale, se si tiene conto del fatto che nel progetto la parte più rischiosa e dura veniva assunta dalla Brigata Gordini, come di fatto avvenne. Per cui, non ci fu solo l'efficace predisposizione strategica, ma anche l'orgogliosa volontà di assumersi la parte più “costosa”, in termini anche di sacrificio umano. Questo ed altro colpì molto gli inglesi, dei quali voglio riportare per tutte, la dichiarazione più significativa, del Maggiore Coulquhoun, che a proposito del conferimento della medaglia alla bandiera della Brigata affermò testualmente “quello che ha fatto la 28° Garibaldi è ormai storia, ma per noi che abbiamo seguito le sue azioni durante la campagna italiana, sembrava molto di più di una serie di brillanti successi militari. Era il simbolo di un'Italia nuova, del risveglio degli italiani dopo tanti anni di inganno e alla base del rinnovamento della resistenza della nuova Italia democratica”.
Dunque, Bulow è tutto questo e non tanto lo spericolato esecutore di azioni che di per sé richiedono coraggio e determinazione, quanto l'ideatore di un sistema, di nuove modalità di impegno, in pianura contro un nemico agguerritissimo, e lo stratega, il conduttore di uomini coraggiosi e disciplinati, il combattente orgoglioso che non si trincera dietro un fuoco di sbarramento che metterebbe in pericolo i tesori, oltre che gli abitanti di una città, come Ravenna, ma affronta la battaglia a viso aperto, in prima persona, per salvaguardare quello che appariva ed era il bene comune.
È per questo che “Bulow” divenne leggendario e costituì un esempio da far conoscere ed apprezzare; e va sottolineato il significato del comportamento degli inglesi, certamente poco propensi e poco predisposti verso i partigiani, non solo perché ne temevano l'inesperienza e l'improvvisazione, ma anche perché li consideravano tutti comunisti e dunque pericolosi; e invece, fu il Gen. Richard Mc Creery a proporre e poi consegnare la medaglia d'oro a Boldrini e certamente è anche da lui che venne l'iniziativa di attribuire una medaglia alla Brigata come tale.
C'è un altro dato interessante e significativo; in un libretto intitolato “Il gruppo di combattimento “Cremona” nella guerra di Liberazione”, edito a cura del Comando della Divisione, la brigata Gordini, condotta da Bulow è trattata alla stessa stregua dei reparti militari, senza alcuna concreta distinzione, ed anzi, con particolare rilievo alle azioni svolte e alla medaglia ricevuta.
Insomma, l'inserimento della “Gordini” nel sistema dell'8° Armata e nei rapporti con gli inglesi e con la “Cremona” fu a pieno titolo; la Brigata fu considerata, a tutti gli effetti come parte integrante. E questo non era mai successo e non sarebbe stato nemmeno pensabile per una qualsiasi Brigata partigiana.
D'altronde Boldrini fece tutto quanto stava in lui per dimostrare sempre che l'impegno della “Gordini” e dei partigiani non era di carattere insurrezionale e strettamente politico, ma ispirato alla realizzazione della libertà e della democrazia.
È il caso di ricordare un discorso di Boldrini per il 50° anniversario della costituzione del C.V.L. in cui egli si opponeva alla concezione della guerra di Liberazione come guerra civile e per la conquista di centri di potere; e sosteneva che si era trattato di un movimento popolare di partigiani e partigiane, sostenuti da una forte solidarietà popolare, con i militari delle tre forze armate; concludendo così: “abbiamo combattuto insieme per conquistare la libertà per tutti; per chi c'era, per chi non c'era e anche per chi era contro”.

3. Il dopoguerra (Boldrini politico, parlamentare, e Presidente dell'ANPI)
Dopo la guerra, come è noto, Boldrini fu chiamato a partecipare alla Costituente; e già questo fu significativo, perché non era indifferente che in quella importante e complessa discussione, ci fosse anche la voce autorevole della Resistenza.
Poi, fu parlamentare, come ho detto, per undici legislature, ebbe incarichi importanti nelle Commissioni e nella Presidenza della Camera.
Nel contemporaneo svolgimento della funzione parlamentare e della Presidenza dell'ANPI, Boldrini si dedicò interamente alle battaglie per non far affievolire i valori della Resistenza, per contrastare ogni rigurgito di fascismo, per mantenere l'unità delle forze resistenziali anche nei momenti più difficili, per ottenere garanzie sulle condizioni dei partigiani tornati alla vita civile, per ottenere una contribuzione dello Stato alle Associazioni partigiane (a tutte, non solo alla sua) affinché potessero tenere vivi quei valori. Contemporaneamente si impegnò per la democratizzazione dello Stato, nelle sue componenti più significative, l'esercito e i servizi segreti.
In Parlamento presentò disegni di legge, interpellanze e interrogazioni su questi temi e si attivò in diverse Commissioni, rappresentando anche l'Italia nei primi organismi di coordinamento dell'Unione Europea.
E fu, sempre, uomo di pace, nella ferma convinzione che fosse necessario opporsi, non solo ad ogni pericolo di guerra o di fascismo, ma anche alla separazione del mondo in blocchi contrapposti. Al 3° Congresso dell'ANPI (1952), disse: “È fondamentale la lotta per la pace, perché non dimentichiamo che l'antifascismo fu fatto ed operò per la pace”.
Uomo di pace e uomo di dialogo.
C'è una testimonianza preziosa, sul punto, in un libro del Presidente emerito Scalfaro (“La mia Costituzione”), in cui a pag. 37, parlando dei tempi in cui lo scontro politico era divenuto particolarmente acceso, riferisce: “Ricordo un colloquio con Arrigo Boldrini, Comandante partigiano, medaglia d'oro, comunista convintissimo. Ci trovammo per strada a Roma e facemmo una lunga chiacchierata. Mi colpì allora, quando la polemica era durissima, una sua frase: “Scalfaro - mi disse - che scontri anche in aula, a volte, che scontri, ma che stima reciproca abbiamo noi”; e commenta, Scalfaro, nel libro, che fu una cosa veramente bella, perché metteva in primo piano, il rispetto.
Come è noto, a partire dal '48 cominciarono le scissioni e si ruppe l'unità delle associazioni resistenziali; Boldrini si battè in ogni occasione e in ogni momento, perché quella unità non andasse perduta e si ricostituisse, magari in altra forma, ed anche con posizioni diverse, ma conciliabili, sulle questioni di fondo, come era accaduto – del resto – durante la Resistenza.
Questo vale anche per la Presidenza dell'ANPI, la più lunga della storia dell'Associazione, protrattasi per decenni, senza problemi.
Boldrini non esitò ad occuparsi di politica, anche come Presidente dell'ANPI, tutte le volte in cui venivano messi in gioco la Resistenza, l'antifascismo, la democrazia.
Sono numerosi, negli anni, i documenti dell'ANPI, in cui si esprimono con chiarezza posizioni fermissime, su questi temi.
Si afferma in più occasioni che “l'Italia non è una democrazia qualsiasi, ma quella specifica democrazia nata dalla Resistenza”; che il successo della Resistenza è dovuto soprattutto al fatto che “il fronte era stato unito”; che “i partigiani sono stati l'avanguardia e guida del riscatto dell'Italia”; che “l'errore fu commesso quando non si volle continuare ad andare avanti sulla strada unitaria espressa dai C.L.N.”; che “non vi può essere democrazia senza libertà e senza il rispetto della legge”; e si sottolinea la necessità che tutti i partigiani svolgano una particolare azione politica “per ottenere che la Costituzione sia applicata in ogni sua parte, ma soprattutto perché le libertà siano rispettate e fatte rispettare ovunque, nei posti di lavoro e siano abrogate le leggi fasciste che sono in pieno contrasto con lo spirito e la lettera della Costituzione”. Due sole volte l'ANPI di Boldrini, entrò a gamba tesa su questioni (apparentemente) di Governo: la prima fu quella della battaglia contro la “legge truffa”: Boldrini e l'ANPI ne fecero una questione di democrazia, come era giusto e si impegnarono a fondo perché non si approdasse ad un risultato che consideravano antidemocratico. La seconda è del 1960, quando si costituì un Governo Tambroni con l'appoggio dei fascisti; l'ANPI entrò in pieno nella battaglia, partecipando, promuovendo manifestazioni, mobilitando i propri iscritti, sostenendo i processi che furono instaurati contro i manifestanti. Un documento del 1960 dimostra che Boldrini non esitò a chiamare alla lotta i partigiani e tutta l'ANPI, con parole durissime e chiare: “nessuna fiducia della Resistenza ad un governo che tresca con chi abbandonò l'Italia ai nazisti invasori, affiancandone la feroce oppressione. Nessuna esitazione: non si va contro la storia; non si governa contro il popolo. L'avvenire, lo sviluppo democratico, le fortune del Paese, sono legate alla sua avanzata sulla strada indicata dalla Resistenza e tracciata dalla Costituzione repubblicana. Dell'una e dell'altra il fascismo è la negazione e chi si allea con esso è destinato a dividerne la vergogna e la responsabilità. L'ANPI chiama i partigiani di tutta Italia alla vigilanza e alla lotta democratica e unitaria contro questa pericolosa involuzione……”
E non mancarono occasioni in cui la posizione dell'ANPI, presieduta da un comunista come Boldrini, si distaccò chiaramente dalla linea del partito cui apparteneva il suo capo. Penso alla questione dell'invasione dell'Ungheria, che tante polemiche suscitò tra i democratici e all'interno dei partiti e movimenti di sinistra. Ebbene, c'è un documento approvato dagli organismi dirigenti dell'ANPI che, pur con qualche ambiguità e nel rifiuto di un attacco frontale ai comportamenti dell'Unione Sovietica, deplora la richiesta del Governo ungherese di un intervento esterno, anziché affidarsi alla volontà popolare, richiama con forza il diritto dei popoli all'autodeterminazione, auspica che prevalga la pacificazione, il dialogo e il rafforzamento del sistema democratico.
Del resto, la rivendicazione di un'autonomia e di una indipendenza di pensiero e di azione, fu ribadita anche sul piano politico-culturale, con la creazione di un periodico come “Patria indipendente”, inteso come tribuna e spazio di discussione, soprattutto sui temi della pace, del disarmo e dell'antifascismo.
Nell'attività parlamentare, così come in quella, lunghissima, alla presidenza dell'ANPI, fu costante la preoccupazione (presaga nei confronti dei rigurgiti fascisti), della difficoltà dello Stato di divenire davvero un punto di riferimento per tutte le forze antifasciste, resistenziali e democratiche.

4. Che dire di Boldrini come uomo, come persona? Il suo carattere, le sue qualità emergono da quanto si conosce della sua vita, del suo impegno nella Resistenza, in Parlamento, nella vita pubblica, nell'ANPI. Possiamo dire di più, noi che l'abbiamo conosciuto di persona, anche se solo in alcuni tratti della sua vita: era un uomo schietto, sincero, mite e deciso al tempo stesso, profondamente umano. Intransigente sui princìpi, rigoroso nei metodi anche con sè stesso, pretese molto dalla sua Associazione negli anni che lo videro Presidente, alternando durezza e fermezza con un calore umano che – specialmente quando riusciva a distrarsi dagli impegni e dal lavoro – riusciva a trasmettere. Una persona di profonda umanità, che ha molto amato la sua Associazione, cercando di renderla sempre più pluralista.
Inutile farne un eroe: il suo volto più vero emerge dai colloqui con gli inglesi, di cui seppe vincere le resistenze, conquistare stima e rispetto, dai rapporti con le altre Associazioni anche quando le divisioni si presentavano in modo netto e talvolta duro, emerge dal ricordo di Scalfaro; ed emerge, con vigore, da qualche episodio significativo sia della sua fermezza istituzionale, sia sulla sua intransigenza sulle questioni di fondo.
Ne ricorderò solo due, per rapidi flash: il primo riguarda la liberazione di Ravenna: alla vigilia, il comandante Bulow raccomandò prima di tutto l'adozione di simboli che richiamassero il tricolore e di saluti di tipo militare e raccomandò anche di non cantare l'Internazionale ed altri “canti” politici, piuttosto incitando ad “imparare” bene il Piave e gli inni garibaldini (Pavone – Una Guerra Civile - p. 356).
Il secondo è del 4 novembre 1994. In una manifestazione istituzionale, in piazza Venezia, con 1500 invitati, parlava il Ministro della Difesa; ad un certo punto Boldrini lo interruppe, esclamando “Vergogna – Lei è il Ministro della Difesa della Repubblica e dimentica completamente la Resistenza, una pagina di storia”. Forse non fu, come si dice, politicamente corretto, ma quanta fermezza e intransigenza nel rivendicare i valori della Resistenza!
Se ne potrebbero aggiungere altri, anche più privati ed intimi, ma non è il caso. Basterà dire che chi ha lavorato tanti anni per lui ed ha subìto anche i suoi momenti di irritazione e asprezza, ne ricorda soprattutto il lato di profonda umanità e lo rimpiange ancora oggi con commozione.
Naturalmente, una personalità come questa era destinata anche a subire inimicizie, livori, invidie ed odio.
Ci fu un attentato fallito, ci fu l'incendio della sua abitazione, minacce e tentativi di intimidazione, anche gravi. Ma soprattutto, il tentativo di sporcarne la figura, coinvolgendola in episodi drammatici e deprecabili, dai quali i fatti dimostrano inequivocabilmente che egli rimase assolutamente estraneo. In un caso, a fronte di una pesante accusa formulata da Cossiga, quest'ultimo fu costretto da una sentenza a ritrattare. Per altre vicende, invece, la diffamazione continua in varie forme, senza prove o agganci che abbiano un minimo di fondatezza; ed anche in questo caso sarà l'Autorità giudiziaria, a cui si è rivolto il figlio, a pronunciarsi, e – conoscendo le carte - non ho alcun dubbio circa l'esito.
Un accanimento così violento e vergognoso si spiega solo con la difficoltà di accettare la storia e la grandezza della Resistenza e la straordinarietà di uno dei suoi protagonisti. Purtroppo, si tratta di una delle anomalie del nostro Paese, forse l'unico al mondo, in cui ci si permetta il lusso di infangare le pagine e le figure più belle della sua storia, anziché esserne orgogliosi.

5. Concludo, ben sapendo che altri arricchiranno il quadro con argomenti di elevato respiro. Ricordiamo un protagonista della storia del nostro Paese, a più livelli; un protagonista straordinario ed eccezionale soprattutto per la sua fermezza, per la sua coerenza, per aver dedicato una vita intera alla causa della libertà; per aver recato un contributo saliente non solo alla liberazione del nostro Paese, ma anche alla conservazione e diffusione dei valori della Resistenza e della Costituzione, in ogni momento della sua vita.
Personaggi di questo tipo onorano un Paese, che dovrebbe menarne vanto, tanto più che essi – purtroppo - vanno sempre più scomparendo.
In un Paese tormentato e diviso come il nostro, il ricordo di Boldrini è importante e utile proprio se si riesce a trarre dalla sua vicenda umana una fondamentale lezione di vita, da trasmettere alle nuove generazioni, perché conoscano non il mito, ma la concreta realtà degli anni splendenti e difficili che abbiamo allora vissuto e tutto il complesso travaglio del dopoguerra.
A fronte di tante cittadine e cittadini, che appaiono silenziosi e indifferenti, l'esempio di un uomo come Boldrini non può che essere di grande utilità per lo sviluppo di una coscienza civile e di una cittadinanza attiva, proprio in virtù dell'insegnamento che deriva dalla sua coerenza, dal suo amore per la libertà, dalla sua concezione della storia, dalla sua tendenza al pluralismo, alla reciproca comprensione, alla unitarietà sui temi di fondo, ma senza cedimenti e senza compromessi, la sua dedizione ai valori per i quali aveva combattuto e il suo impegno perché concretamente si realizzassero.
L'ANPI dedicherà un libro ad Arrigo Boldrini, affidato alle cure di uno storico, non per celebrarlo, ma perché non vadano dispersi i contenuti, gli impegni della sua vita, perché da quell'esempio tragga alimento la volontà di partecipare che è, in definitiva (lo dicevano già gli ateniesi tantissimi anni fa), il contenuto fondamentale della democrazia.
Credo, peraltro, che il modo migliore per ricordare quell'uomo straordinario che è stato Boldrini sia quello di riportare una frase del messaggio che, ormai Presidente onorario dell'ANPI, novantaduenne, il 6 settembre 2007 inviò all'Associazione: “Nostro compito è raccontare la nostra esperienza partigiana, con le sue luci e le sue ombre. Perché possa essere di esempio e monito per far comprendere il valore della libertà, il rischio di perderla, il sacrificio che occorre per riconquistarla”.

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