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Luigi Ranuschio

Nato a Gorzegno (Cuneo) il 12 gennaio 1920, deceduto a Cengio (Savona) nel marzo 2009, saldatore.

Conosciuto a Cengio come Aurelio, dopo l'armistizio Ranuschio era entrato a far parte, col nome di battaglia di "Freccia", della 16a Brigata Garibaldi della VI Divisione "Langhe". Aveva partecipato a molti scontri con i nazifascisti, ma nel luglio del 1944, durante un rastrellamento, era stato catturato dai tedeschi con altri cinque partigiani.
Incarcerati a Savona, Ranuschio e i suoi compagni, dopo essere stati portati nel campo di concentramento di Bolzano-Gries, il 5 ottobre 1944 furono deportati a Dachau. Soltanto Aurelio sopravvisse e, della sua dolorosa esperienza e della tragica fine dei suoi compagni di lotta, volle rendere testimonianza.
Ancora oggi, nelle biblioteche di molte scuole della Val Bormida, è possibile trovare il suo libro, semplicemente intitolato Per non dimenticare. Non fu facile per Ranuschio rivivere il peso di quei ricordi. "Capivo che era difficile credere a quello che avrei dovuto raccontare, quindi decisi di sotterrare i miei amici e il mio passato - si legge nel libro -. Con la mente e con il cuore ne ho sempre parlato il meno possibile, per evitare di vedere negli occhi della gente quello scetticismo che sempre mi ha bloccato. Speravo che i milioni di morti in quei lager avessero insegnato qualcosa al mondo. Mi sbagliavo. La stupidità e crudeltà umana non hanno memoria. Quei fili spinati, quei prigionieri emaciati, quelle donne stuprate, quei bambini morti e mutilati, fame, disperazione e rovina mi hanno costretto a ricordare e raccontare". Un'attività che da allora Aurelio aveva fatto diventare una ragione di vita.
È l'eredità morale che ha lasciato ai suoi cari e a tanti giovani. "Ripenso ai miei compagni morti e a tutti gli altri - scriveva il partigiano "Freccia" - li rivedo e parlo con loro, domando: Perché? A cosa è servito soffrire tanto, fino alla morte, per milioni di persone se non si è riusciti ad insegnare niente al mondo?".