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Alcide Cervi

Nato a Campegine (Reggio Emilia) il 6 maggio 1875, morto nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1970 all'ospedale di San Ilario (RE), contadino.

Per gli italiani e gli antifascisti che, nel secondo dopoguerra, l'hanno conosciuto o, semplicemente, hanno saputo di lui, era affettuosamente "Papà Cervi". Eppure è stato una figura leggendaria tra quante hanno illustrato la Resistenza italiana. Di lui e dei suoi sette figli trucidati hanno scritto, tra i tanti, Piero Calamandrei, Renato Nicolai, Luigi Einaudi, Arrigo Benedetti; ma a dirne la tempra sono le sue stesse parole, pronunciate dopo che gli fu consegnata una medaglia d'oro, realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca l'effigie di Alcide e dall'altro un tronco di quercia tra i cui rami spezzati brillano le sette stelle dell'Orsa: "Mi hanno sempre detto 'tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta' la figura è bella e qualche volta piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo". A quello stesso ideale si richiamava il padre di Alcide, Gelindo, imprigionato nel 1869 per aver partecipato ai moti contadini contro la tassa sul macinato che, solo a Campegine, erano costati sette morti e dodici feriti tra i dimostranti e sessanta arresti. Lo stesso ideale, alla scuola dell'apostolo socialista Camillo Prampolini, Alcide Cervi seguì per tutta la vita. Durante la dittatura, quando con la sua famiglia si limitava a lavorare duramente i campi, subì perquisizioni e persecuzioni, ma non si piegò mai ai fascisti. Così, il 26 luglio del 1943, tutti Cervi erano a Reggio Emilia, alla manifestazione per esigere la scarcerazione dei detenuti politici. Dopo l'8 settembre i Cervi organizzarono la fuga dei prigionieri alleati dal campo di Fossoli, li accolsero nella loro fattoria e con loro, con la famiglia Sarzi, che gestiva una compagnia di teatro viaggiante, e con altri amici organizzarono una formazione partigiana della quale faceva parte pure un sacerdote, don Pasquino Borghi, che verrà catturato e fucilato. La notte del 25 novembre 1943 i fascisti accerchiarono la casa dei Cervi, che si difesero sparando dalle finestre sino a che ebbero munizioni. Costretti ad arrendersi furono tutti incarcerati a Reggio Emilia, dove i sette fratelli furono fucilati, con il patriota Quarto Camurri, all'alba del 28 dicembre. Alcide, che ignorava la sorte dei figli, rimase in carcere sino al 7 gennaio 1944, quando un bombardamento aereo smantellò l'edificio e gli permise di fuggire. Tornato a casa, la trovò distrutta, apprese che tutti i figli erano stati sterminati, ma non si piegò. Con la moglie, Genoeffa Cocconi, le quattro nuore e dieci nipotini riprese a lavorare per ricostruire la casa e condurre la terra. Il 10 di ottobre i fascisti tornarono e distrussero quel che i Cervi superstiti avevano ricostruito. Genoeffa non resse e un mese dopo morì. Alcide resistette ancora e per altri 14 anni, con quel che gli era rimasto della famiglia, continuò a coltivare il seme della libertà. Oggi la sua casa è museo della Resistenza.

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