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"È tempo di ritrovare e promuovere la più ampia unità e mobilitazione antifasciste"

Non siamo tantissime e tantissimi. Siamo molti di più! Grazie!
Quando il 26 di aprile 1945 Cino Moscatelli, Luigi Longo e Sandro Pertini parlarono in un comizio a Piazza Duomo, la Liberazione era già avvenuta, innescata dalla insurrezione iniziata due giorni prima e dall’ordine di insorgere proclamato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. 
Ci sono molte ragioni per cui Milano è stata denominata la capitale della Resistenza. Penso ad esempio alla repressione sanguinaria da parte dei nazifascisti: gli 8 fucilati all’Arena il 12 dicembre del 1943; i 5 fucilati al Poligono della Cagnola il 31 dicembre; la fucilazione dei 3 ferrovieri a Greco il 14 luglio del 1944; i 5 civili uccisi a Robecco sul Naviglio il 21 luglio; i 15 partigiani fucilati a Piazzale Loreto il 10 agosto e poi i 9 uomini fra partigiani e contadini uccisi a Galgagnano il 26 luglio; i 5 sappisti al Poligono di tiro a Lodi il 22 agosto e poi ancora i 4 garibaldini fucilati il 28 agosto ed ancora il 23 novembre i tanti della Pirelli deportati nei lager, 167 dei quali non tornarono più. L’elenco è del tutto parziale; ci sono i caduti negli scontri a fuoco; fra i tanti che non ho citato ricordo solo Eugenio Curiel, inseguito ed ucciso dalle Brigate nere il 24 febbraio 1945 a Piazzale Baracca. 
Milano, Medaglia d’Oro della Resistenza, fu una fabbrica di Martiri e, assieme, di temerarie imprese partigiane da parte dei GAP, pure più volte decapitati dai repubblichini, e da parte delle SAP, le Squadre di Azione Patriottica che operavano nelle fabbriche milanesi, protagoniste della Resistenza. Né posso dimenticare un nome che oggi è nel famedio, quello di Giovanni Pesce, volontario in Spagna nelle Brigate Internazionali, poi arrestato in Italia nel 1940 e confinato a Ventotene, poi organizzatore dei GAP di Torino e, infine, nel 1944 a Milano col nome di battaglia di “Visone”. E se ricordo Giovanni devo ricordare sua moglie, Onorina Brambilla, partigiana, torturata dalle SS, poi internata a Bolzano, da cui tornò a piedi il 30 aprile 1945.
Oggi, 25 aprile 2023, vorrei dire a tutte e a tutti che non abbiamo dimenticato nessuno di loro, nessun cognome ci è sconosciuto, nessuna memoria è caduta nell’oblio, nessun sacrificio di quelle donne e di quegli uomini è stato rimosso.
Viviamo un tempo buio; c’è la guerra, la crisi, la povertà, il riscaldamento globale, ancora gli effetti della pandemia. A maggior ragione in questo tempo è preziosa l’eredità morale e politica della Resistenza. È un tempo di revisionismi, diciamolo. Vogliono riscrivere la storia confondendo le vittime con i boia, gli iniqui con i giusti. E in questo tempo di revisionismo si cerca di ridimensionare il valore della Resistenza perché in fondo, si dice, la guerra l’hanno vinta gli alleati. 
Certo che l’hanno vinta gli alleati. Ma voi pensate che se non ci fosse stata la Resistenza avremmo avuto questa Repubblica e questa Costituzione? Gli alleati, ma in particolare gli inglesi, preferivano la monarchia. E mai e poi mai, senza la Resistenza, avremmo avuto una Costituzione così innervata di diritti e di tutele sociali, così attenta agli elementi di democrazia reale. 
Voi pensate che se non ci fosse stata la Resistenza ci sarebbero stati i Trattati di Pace di Parigi del 1947? La Germania fu fatta a pezzi letteralmente, il Giappone fu spento dall’infinito e mostruoso fuoco di due bombe atomiche. Da questo punto di vista la Resistenza fu un capolavoro politico. 
Dal punto di vista morale la Resistenza, con i suoi eroi (perché era un tempo in cui c’era bisogno di eroi), con i suoi martiri, i tanti che non parlarono nonostante le torture, disegnò la figura dell’esempio, restituendo alla politica una dignità civile che si era smarrita prima col regime fascista e poi con la Repubblica di Salò. Un esempio che continuò con gli uomini e le donne della prima Repubblica, i costruttori della rinascita della Patria. Un esempio che – diciamolo – oggi ci manca nella vita politica. 
Perché allora c’era chi viveva la politica come dovere civile, come orizzonte di cambiamento, come visione, come missione. Oggi troppo spesso la politica sembra aver smarrito se stessa. Se il 40% degli elettori non si reca alle urne, come è avvenuto il 25 settembre del 2022, se il 60% degli elettori non vota in occasione delle elezioni regionali in Lombardia, vuol dire che qualcosa si è rotto, che si è scollato il rapporto fra cittadini e istituzioni, vuol dire che l’elettore non si sente più rappresentato. 
Abbiamo bisogno di esempi positivi. Questa è la sfida più alta che ha davanti il nostro Paese: il ritorno alla buona politica, alla piena rappresentanza dei cittadini, a cominciare dai ceti popolari, il ritorno alla partecipazione. Ebbene, se è così, se il 25 aprile è festa di Liberazione, sia anche di Liberazione della politica dagli interessi personali, dal carrierismo, dal giorno per giorno, dalla mera conservazione dell’esistente; insomma, facciamo del 25 aprile la festa della buona politica. 
La Resistenza fu un fenomeno ampio e complesso, armato e disarmato, militare, civile e sociale, ci fu sulle montagne, nelle città, nelle campagne, nelle fabbriche. 
Ci fu nei presidi militari italiani all’estero come a Cefalonia. Ci fu nelle caserme delle Forze Armate, dei Carabinieri, della Finanza, della Pubblica Sicurezza. Ci fu Resistenza negli oltre 600mila Internati Militari Italiani che rifiutarono di prendere le armi per Salò e decine di migliaia di loro non tornarono a casa. Ci fu Resistenza in centinaia e centinaia di ebrei sia nella Brigata ebraica che contribuì a liberare Ravenna, che in tutte le Brigate partigiane: fra i tanti ricordo Umberto Terracini, Leo Valiani, Emilio Sereni, Emanuele Artom, lo stesso Eugenio Curiel; quegli ebrei prima perseguitati con le leggi razziali e poi definiti come stranieri nemici dal manifesto di Verona, che fu una sorta di costituzione della repubblica sociale italiana. Ci fu Resistenza nei tanti rom e sinti italiani che si organizzarono in Brigate partigiane. 
Ci fu Resistenza in tanti italiani che combattettero all’estero contro i nazifascisti. Ci fu Resistenza in tanti cittadini stranieri che combattettero nelle Brigate partigiane italiane. Proprio l’altro ieri stavo a Sarzana, dove in quei mesi, assieme  ai partigiani italiani combatteva Rudolf Jacobs, capitano della Marina tedesca, e con lui il suo sconosciuto attendente. Jacobs fu ucciso in battaglia mentre attaccava una postazione tedesca. Il buon tedesco, che prese le armi contro il nazismo, in nome di una umanità che il nazismo negava. Ci fu Resistenza nelle migliaia e migliaia di donne che, in armi o senza armi, appoggiarono il movimento partigiano, tante delle quali furono torturate e uccise. Delle 19 donne Medaglie d’Oro al valor militare alla Resistenza, 10 sono state conferite alla memoria. Più tardi, in tutta Italia, sotto le targhe che ricordano le partigiane torturate e uccise, poseremo una rosa.
Si sa che a Salò c’era Giorgio Almirante, c’era il Generale Rodolfo Graziani, c’era Junio Valerio Borghese. Almirante divenne segretario del Movimento sociale italiano. Rodolfo Graziani, noto come il “Boia di Addis Abeba” ne fu Presidente onorario. Junio Valerio Borghese, il capo della X Mas, il cui unico compito fu quello di uccidere i partigiani, fu anch’egli Presidente onorario del Movimento sociale italiano, oltre che – ma non si ricordano mai queste cose – autore di un fallito colpo di Stato nel 1970. Il Movimento sociale fu una specie di porta girevole in cui entravano e uscivano i personaggi più pericolosi dell’eversione nera come quei due che nel corso di una manifestazione del Movimento sociale il 12 aprile 1973 uccisero con una bomba a mano l’agente di polizia Antonio Marino. Altro che destra democratica, come continuano a sostenere alte autorità di governo!
E furono fascisti, come ci dice la magistratura, gli autori delle stragi da Peteano a Piazza Fontana, dalla Questura di Milano a Brescia, dall’Italicus a Bologna. Questo si sa: ciò che si sa di meno - ma si sa che è così - è che, in quella terribile stagione che fu seguita dal terrorismo omicida delle Brigate Rosse, c’erano molti burattinai, dai Servizi Segreti cosiddetti “deviati”, ai Servizi Segreti di altri Paesi, a Stay-behind alla P2. Proprio nei giorni scorsi la magistratura ha riconosciuto le responsabilità di Licio Gelli nel massacro alla Stazione di Bologna. Troppi insabbiamenti, troppi depistaggi, troppe menzogne. Io dico che è ora di fare chiarezza. Vogliamo sapere. Non ci basta sapere la manovalanza. Vogliamo sapere chi erano i registi di un film dell’orrore che è stato rimosso ed è scomparso dal dibattito pubblico. Lo chiedo alla magistratura, ma lo chiedo specialmente al Parlamento e al Governo. Lo chiedo oggi, il 25 aprile, perché sia davvero una liberazione da poteri oscuri che hanno condizionato e forse condizionano ancora la vita della Repubblica antifascista.
Oggi sono 78 anni da quel giorno. Viviamo in un altro mondo. Pensate che nel 1950 la popolazione mondiale era di 2 miliardi e mezzo di persone. Oggi sono più di 8 miliardi. Cina e India assommano poco meno di 3 miliardi di abitanti. L’Italia è in crisi demografica e c’è qualche ministro che dice sciocchezze sulla sostituzione etnica. Infuria la guerra in Ucraina qui vicino. La distanza fra Milano e il confine ucraino è più o meno la stessa che c’è fra Varese e Palermo. A fine anno si svolgerà una missione militare italiana con una squadra navale con la portaerei Cavour, gli F35 e le navi di scorta nelle acque dell’Oceano Pacifico sollecitata dagli americani – così ho letto – con funzione di deterrenza nei confronti della Cina. Ma mi spiegate cosa fa una portaerei italiana davanti alle acque territoriali cinesi? Funzione di deterrenza alla Cina? Ma stiamo scherzando? Questo è il mondo incredibile in cui viviamo. Il piano di riarmo del nostro Paese prevede nel prossimo triennio il traguardo del 2x1000 del Pil chiesto dalla Nato e si profila un programma pluriennale di riarmo dell’ordine di decine e decine di miliardi di euro. Chi pagherà questo riarmo? I 5 milioni e 600mila poveri assoluti del nostro Paese? Le centinaia di migliaia di precari? Coloro che vivono del reddito da lavoro dipendente al tempo del ritorno dell’inflazione? 
E ancora, lo dico a tutti, noi stessi, agli altri e specialmente alle autorità pubbliche: attenzione! Attenzione! Attenzione! Dopo l’invasione russa all’Ucraina che non smetteremo mai di condannare, si è innescato un inseguimento di azioni e reazioni di ordine finanziario, economico e militare all’interno di una escalation che non si è mai vista dal dopoguerra. Da questo punto di vista – il riarmo – il focolaio di guerra – la situazione è molto simile a quella che precedette entrambe le guerre mondiali. 
C’è ancora oggi chi mette l’accento sulla necessità e l’urgenza di rifornire di armi l’Ucraina e chi viceversa mette l’accento sulla necessità e l’urgenza di aprire le condizioni per un’azione diplomatica che porti a un negoziato. Attenzione, ho detto. Si stanno dividendo gli italiani. Continuare così, senza mai tener conto dei sentimenti di tanta parte dei cittadini non è una buona cosa. Divide il Paese in buoni e cattivi, in pacifinti come dicono alcuni, e in guerrafondai come dicono altri. Non è così che si salvaguarda la coesione sociale della collettività, il senso d’appartenenza territoriale, la stessa sicurezza del Paese. 
Qualsiasi osservatore non fazioso sa benissimo che a partire dall’invasione dell’Ucraina, assieme alla tragedia di un popolo che giustamente resiste, si è aperta una tensione mondiale che riguarda le aree di influenza, il dominio economico e finanziario, il carattere unipolare o multipolare del pianeta, i rapporti fra Paesi con diverse forme di governo. Questa guerra può finire in due modi: con la vittoria di uno dei contendenti o con un negoziato. Oppure può durare vent’anni, come in Afghanistan. Oppure può estendersi al mondo intero, come terza guerra mondiale. Oppure può terminare con una catastrofe globale, come una guerra nucleare. Le scelte che sono state fatte, si fanno e si faranno, sono e saranno responsabilità dei gruppi dirigenti. Per conto nostro pensiamo che in una situazione così incandescente bisogna fare di tutto perché si torni finalmente alla diplomazia, perché la politica è mediazione, è ricerca di soluzioni. Senza demonizzare nessuno, senza dividerci, senza contrapporci, senza immergerci in un clima di intolleranza e di caccia alle streghe, io dico: non dividiamoci, torniamo alla politica, restituiamo all’Italia e all’Unione Europea la sua vocazione alla mediazione ed alla soluzione dei conflitti. 
Viviamo un tempo buio, ho detto. Viviamo un tempo in cui si invoca la pacificazione nazionale condannando genericamente i totalitarismi e senza mai usare la parola antifascismo. Viviamo un tempo in cui autorevolissime personalità dello Stato denigrano l’attacco partigiano a via Rasella e sostengono infantilmente di non aver mai letto la parola antifascismo sulla Costituzione. Perfino Fini e Berlusconi prendono le distanze da chi si rifiuta di pronunciare la parola antifascismo. Eppure ho letto e riletto l’articolo della Meloni oggi sul Corriere. Quella parola non c’è. E aggiungo una preoccupazione: si sta andando a tappe forzate verso una revisione dei poteri delle Regioni, la cosiddetta Autonomia differenziata, che potrebbe dividere il Paese in due parti: la serie A e la serie B, per esempio sulla sanità e sulla scuola. Mentre avviene questo ci si prepara a una riforma presidenzialista che può cambiare i fondamentali della Costituzione del 1948, col pericolo di far saltare la divisione dei poteri e di relegare il Parlamento al ruolo di Cenerentola.
Questo è il tempo del nostro 25 aprile. È il tempo in cui ritrovare e promuovere la più ampia unità e mobilitazione di tutti i democratici, le associazioni, i sindacati, i movimenti, è il popolo delle mille forme di aggregazione sociale, dei laici figli dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese, della storia e della cultura del socialismo, dei cattolici di Aldo Capitini, di Giorgio La Pira, di Papa Bergoglio, dei ragazzi di Greta Tunberg e della Giornata della Terra. L’unità, anche fra opinioni diverse, è la bussola che dobbiamo seguire tutti. Una grande rete unitaria affinché sia finalmente e pienamente rispettata e applicata in ogni sua parte la Costituzione antifascista: i suoi valori fondamentali sono la persona e la sua dignità, il lavoro, la libertà, la democrazia, l’eguaglianza, la solidarietà, la pace. Si parla di patriottismo in questi mesi. E patrioti furono i partigiani. Ebbene, quella patria riconquistata e rinata con la Resistenza e che si chiama Italia, viene nominata solo due volte nella Costituzione. All’art. 1, L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. All’articolo 11, L’Italia ripudia la guerra. Questa è la nostra Italia, la nostra patria libera e liberata, l’Italia del lavoro e della pace nella democrazia. Questa è l’Italia che ci hanno consegnato le partigiane e i partigiani. Questa è l’Italia che abbiamo il dovere e il diritto di consegnare ai nostri figli.
Viva il 25 aprile! Viva la Resistenza! Viva le partigiane e i partigiani! Viva la Costituzione! Viva il nostro bellissimo Paese che si chiama Italia!

Gianfranco Pagliarulo
Milano, Piazza Duomo, 25 aprile 2023

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