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"Contro la corruzione e gli scandali bisogna prima di tutto rigenerare la politica"

Contro la corruzione e gli scandali, contro la degenerazione morale bisogna prima di tutto rigenerare la politica.

Come ho ricordato di recente, su un’altra news, il Comitato nazionale dell’ANPI ha approvato il 12 marzo 2014 un importante documento sulla riforma (o rigenerazione) della politica, come questione prioritaria rispetto ad ogni altra. In quel documento si ribadiva la necessità di un cambiamento radicale del modo di essere dei partiti, e dei comportamenti politici, nelle istituzioni e nella società, come premessa e presupposto per un riscatto ed un rilancio del Paese.

Naturalmente, non siamo stati ascoltati, anche quando abbiamo fatto un forte richiamo al documento, in epoca assai recente.

Ora siamo convinti, più che mai, della necessità e urgenza di un cambiamento radicale, perché la vita e la convivenza nell’intero Paese sono arrivate ad un livello veramente insostenibile di degrado, di corruzione, di crollo dei valori morali e politici fondamentali.

L’immoralità e la corruzione dilagano, la criminalità organizzata sta occupando, gradualmente, le nostre città e le nostre Regioni; la degenerazione non si mostra in modo palese solo a certi livelli, ma riguarda tutti i livelli e investe addirittura la vita quotidiana, mettendo a serio repentaglio la stessa convivenza civile.

Basta il richiamo a tre evenienze di particolare rilievo in tre diverse ed importanti Regioni italiane: lo scandalo dell’EXPO, a Milano, lo scandalo del “MOSE” a Venezia e lo scandalo enorme che è venuto alla luce a Roma.

Basterebbero questi fatti, con le loro caratteristiche allarmanti e gravissime, con le loro connivenze, con l’implicazione trasversale sia della società politica che di quella civile, per destare un allarme pari alle “allerte” per le alluvioni. Ma c’è ancora di più: il malaffare è presente in tante Regioni e in tante città e basta ricordare che, a fronte di alcuni fatti di corruzione e reati analoghi, in diverse città italiane, apparsi come episodici, oggi c’è una continuità territoriale e temporale diffusa, com’è dimostrato - se non altro - dal fatto che quasi tutti i Consigli regionali (in buona parte dei loro componenti) sono indagati o sotto procedimento penale per fatti talora perfino “banali”, ma diffusi.

Tutta colpa della politica? Certamente no.

Ma la politica c’entra non solo perché in quasi tutte le vicende che ho ricordato sono implicati soggetti politici o risultano connivenze politiche, ma anche perché essa non riesce ad opporre un argine a questi fenomeni ed a creare le condizioni perché si esca da una situazione che reca disonore a tutto il Paese e suscita serie preoccupazioni per l’avvenire. Ci sono leggi che non funzionano o che vengono applicate solo dalla Magistratura, non essendo riuscite ad entrare nel “cuore” della politica, quantomeno sotto il profilo della prevenzione. Ce ne sono altre che sarebbero necessarie, ma sono impantanate in Parlamento, spesso a causa di qualche veto o di qualche interesse contrastante (basti pensare al continuo rinvio delle norme sulla prescrizione, nonostante la semplicità dei provvedimenti da adottare, posto che – con ogni probabilità - basterebbe tornare all’antico, togliendo di mezzo alcune leggi troppo favorevoli per chi delinque).

Altri provvedimenti, infine, riescono a passare le forche caudine del Parlamento, ma dimezzate o svirilizzate e quindi, alla fine, inutilizzabili o comunque non adeguate alla bisogna. Ma poi ci sono i comportamenti politici, certe votazioni in Parlamento, certe leggi camuffate da benefici per l’economia, ma in realtà devastanti sotto il profilo del messaggio che ne promana, oltre che dei contenuti.

Basterà un paio di esempi. È stata approvata, recentissimamente, una legge per il rientro dei capitali dall’estero, inopinatamente, le misure sono state estese anche ai capitali rimasti in Italia ma occultati. Insomma, i benefici vengono estesi anche agli evasori fiscali “interni”; si parla, dunque, da parte di molti di condono. Ma poiché il condono sarebbe improprio, e suonerebbe male agli occhi dei cittadini, in una fase come quella che stiamo vivendo, ci si dice che non si tratta di un condono perché non c’è l’anonimato e perché non ci sono sconti, nel senso che si paga integralmente ciò che si è omesso.

Ma, a quanto risulta, non si pagano le sanzioni, abituali in caso di omesso o ritardato pagamento di quanto dovuto al fisco; e in diversi casi, che costituirebbero reato, è prevista la non punibilità. E allora, come si fa a non parlare di un condono, privo – peraltro – di qualsiasi giustificazione, in un momento in cui, invece, dovrebbe essere intensificata la caccia agli evasori? Per di più, chi si mette in regola, con i citati benefici, può farlo anche con comodo, disponendo di un anno per provvedere. Inoltre un provvedimento del genere è fortemente dannoso anche sul piano psicologico, perché convince – ancora una volta – i cittadini che si può anche evadere, tanto, prima o poi, arriverà un condono o, comunque, si potrà regolarizzare il tutto con poca spesa.

Insomma, un provvedimento forse ispirato dall’intento di fare cassa, ma a caro prezzo: creando forti disuguaglianze tra i cittadini che adempiono regolarmente agli obblighi fiscali e quelli che non lo fanno, ma poi sono ammessi a “riparare” pressoché senza danni; e creando altresì la convinzione che non convenga essere onesti e leali con lo Stato, perché poi ci sarà sempre un’ancora di salvezza per chi non lo è. Impressiona il fatto che un provvedimento del genere, contrario al diritto e all’etica (parlo essenzialmente per quanto riguarda le evasioni “interne”) sia stato approvato senza grande dibattito e con una larga maggioranza; e colpisce il fatto che anche gli echi sulla stampa siano stati molto modesti, a riprova del fatto che c’è una disponibilità diffusa a prendere atto anche di cose che giuridicamente ed eticamente non dovrebbero essere accettabili.

Non si pretende che lo Stato adotti la faccia feroce; basterebbe che facesse il suo mestiere di Stato, che fa pagare a tutti ciò che è dovuto, senza distinzioni, senza sconti e senza benefici, come vuole l’art. 53 della Costituzione. Secondo esempio: passa, infine, il reato di autoriciclaggio, ma ne restano escluse alcune rilevanti fattispecie, comprese quelle che consentono più agevoli e sicuri accertamenti. E non si riesce ad intervenire seriamente, come ho già accennato sulla prescrizione, troppo breve – oggi – per alcuni reati di rilievo politico-sociale-economico.

Tutto questo non è imposto da un governo di destra, ma è voluto o subito, in qualche modo, da quasi tutte le componenti governative e, per diversi aspetti, anche da quelle di opposizione. Sembra che ci si lavi la coscienza ricorrendo – in ogni occasione di particolare rilievo – al dott. Cantone, come se fosse onnipotente e potesse essere onnipresente e come se potesse bastare, da solo, a combattere e soprattutto a prevenire, fenomeni di tanta gravità ed estensione.

È in questo il “fallimento” della politica, non della politica tout court, ma di questa politica che deve assolutamente cambiare, prima di ogni altra cosa, sé stessa, se vuole assicurare al Paese una concreta possibilità di riscatto.

Ma non sembra che ne abbia molta voglia. L’altro esempio che intendo addurre è illuminante. Al Senato si discute se concedere o meno l’autorizzazione all’utilizzo di alcune intercettazioni, nei confronti di un Senatore (già del PDL ed ora di NCD), già Sindaco di Molfetta e implicato, in qualche modo, nello scandalo del porto “fantasma” di Molfetta. Sarà anche innocente, ma la Magistratura ha acquisito alcune intercettazioni e le considera utile elemento di prova. Che cosa dovrebbe fare un Parlamento che voglia combattere la corruzione e garantire che le indagini possano avere libero corso? Dovrebbe autorizzare – è ovvio – l’utilizzo di quelle intercettazioni e lasciar lavorare la Magistratura. E invece, il Senato dice di no e respinge la richiesta dei Magistrati di Trani, che dovranno dunque fare a meno di un importante elemento di prova, per il solo fatto che riguarda un Senatore.

Il fatto è singolare e grave; ma è ancor più significativa, la singolare maggioranza che ha sancito - scrive un quotidiano – la “morte” di quelle telefonate: una maggioranza molto ampia che va da Forza Italia e da Ncd fino al PD, comprendendo anche la Lega.

Che cosa deve pensare e dire il cittadino di fronte a tutto questo? Semplicemente che, se non si rigenera la politica, se non si torna, prima che alla repressione, alla prevenzione, se non si spezza la connivenza tra politica e criminalità, se non si ripristinano i valori su cui deve reggersi un Paese civile, saremo condannati ad assistere ancora, e peggio, al degrado, alla corruzione, alla immoralità dilagante.

Venga, dunque, quel cambiamento che l’ANPI ha invocato, anche per combattere l’antipolitica che da questa situazione è favorita e incoraggiata e che noi non vogliamo, perché un Paese come il nostro – a 70 anni dalla Liberazione da un’odiosa dittatura - ha il diritto-dovere di godere di una vera democrazia, nutrita e sorretta dagli ideali di allora e dai valori che giustamente sono stati trasfusi nella Costituzione.

Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi