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L'esempio di Giorgio Paglia

Intervento di Roberto Cenati nella ricorrenza del 69° anniversario del combattimento alla Malga Lunga del 17 novembre 1944.

Il nome della Malga Lunga è legato alla memoria di quanto accaduto il 17 novembre 1944 quando reparti fascisti della “Tagliamento” riuscirono a sorprendere e catturare una parte della squadra guidata da Giorgio Paglia (8 uomini, la sentinella era fuggita e gli altri erano in missione).

Nel 1944, alla Malga Lunga sui monti di Sovere si era sistemata la squadra di Giorgio Paglia, della 53° Brigata Garibaldi “13 Martiri di Lovere”, in onore dei 13 partigiani fucilati a Lovere il 22 dicembre 1943, fondata da Giovanni Brasi, conosciuto come il comandante Montagna, una figura di primo piano della Resistenza non solo bergamasca. La squadra di Giorgio Paglia era composta da 16 uomini (11 italiani e 5 sovietici evasi dal campo prigionieri alla Grumellina). Siamo nel tragico inverno del 1944-45. L'Italia era divisa in due parti: a sud della linea gotica le forze alleate, a nord i tedeschi appoggiati dai repubblichini. Il freddo cominciava a farsi sentire e di lì a poco sarebbe giunta la neve. Ma più che il freddo erano i continui rastrellamenti e il continuo stare sul chi va là a togliere il sonno e le forze ai partigiani. Tutti i paesi a valle erano occupati.

I giovani dovevano nascondersi per non essere arrestati e deportati in Germania, come renitenti alla leva, tutti i civili erano in continuo pericolo perché potevano essere presi come ostaggi in ogni momento.

Come se non bastasse giunge l'infelice proclama del generale Alexander con il quale si invitava i partigiani a smobilitare. Ma l'esercito partigiano rimase al suo posto e il Corpo Volontari della Libertà nella risposta ad Alexander affermava che ogni proposta di smobilitazione era assolutamente ingiustificata. Visto l'accentuarsi della vigilanza nemica e l'appressarsi del freddo, il comandante Montagna pensò che fosse opportuno frazionare la formazione in piccoli gruppi autonomi, dislocati sulle montagne della zona di Sovere, Lovere e Gandino e collegati costantemente al Comando della Brigata. Si stabilirono le modalità del frazionamento, si scelsero le varie località e la composizione dei gruppi, fissando un appuntamento dei capi ogni 10 giorni. Il sistema delle squadre autonome permise di mantenere in vita le formazioni anche in momenti molto difficili.

Ma quel 17 Novembre 1944, la Malga viene attaccata di sorpresa da ingenti forze della Legione Tagliamento. Secondo il comandante Giovanni Brasi “Montagna” l’azione era stata condotta dai brigatisti neri su esatte indicazioni e grazie al tradimento della sentinella russa la quale, anziché dare l’allarme, abbandonava il posto rendendosi tuttora irreperibile.

Dopo strenuo combattimento alle ore 15,15, Giorgio Paglia, sottotenente di 22 anni, e i suoi uomini, furono costretti ad arrendersi dalla sproporzione di forze e dalla presenza di due uomini feriti da una bomba a mano gettata all’interno della malga. Nonostante la promessa dei fascisti, che avrebbero avuto salva la vita, i feriti (Mario Zeduri “Tormenta” e il russo Starich) vennero subito “finiti” a colpi di pugnale, gli altri vennero portati a Costa Volpino e condannati a morte.
Fallirono i tentativi del comandante Montagna per la loro liberazione. Anche alla proposta di scambio di prigionieri il comandante della Tagliamento rispose negativamente.
Al tramonto del 21 novembre 1944 davanti al cimitero di Volpino furono fucilati dai militi della Tagliamento Giorgio Paglia “Giorgio”, Guido Galimberti “Barbieri”, Andrea Caslini “Rocco” e i tre russi “Donez” “Simone” e “Molotov”.

A Giorgio Paglia fu offerta la grazia in quanto figlio di medaglia d’oro. Giorgio non solo la rifiutò ma volle essere fucilato per primo. Gli verrà assegnata la medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

Dopo la liberazione il rettore del Politecnico di Milano Gino Cassinis, sindaco di Milano nel dopoguerra, conferì la laurea ad honorem a Giorgio Paglia e a Mario Zeduri, studenti universitari di quell'ateneo.
Nell'archivio del Politecnico di Milano si può trovare un commovente scambio di lettere tra il rettore Cassinis e la madre di Giorgio Paglia.
Nella lettera inviata alla madre di Giorgio Paglia il 23 giugno 1945, Cassinis scrive:
“Gentile Signora Teresa Paglia Pesenti,
lo studente Allocchio mi ha comunicato la notizia dell’avvenuta fucilazione del Suo figliolo Giorgio ad opera dei nazi-fascisti.
La morte del nostro caro allievo rattrista profondamente me e tutti del Politecnico, e, nell’esprimerLe la partecipazione sentita dalla scuola che egli aveva scelto e certo avrebbe onorata, io Le sono particolarmente vicino con affettuoso pensiero.
Giorgio si è sacrificato per il più alto ideale umano ed io ho fede che il suo sacrificio non sarà vano e che da esso e da quello dei tanti e tanti martiri Suoi compagni sorgerà un mondo migliore, nel quale il numero dei buoni supererà quello dei malvagi.
Con questo augurio, che certo, e lo so, non può essere un conforto adeguato al dolore di una Madre, La ossequio.
f.to G.Cassinis”

La madre di Mario Zeduri, trucidato alla Malga Lunga, così ringrazia, commossa, il 22 novembre 1945, il rettore Cassinis:
“Chiarissimo Sig. Rettore,
profondamente commossi per l’alta considerazione del nostro diletto Istituto, ringraziamo di vero cuore.
I ricordi che continuamente ci piovono da ogni luogo e da persone conoscenti ci rinnovano sì il dolore ma ci danno pure tanta soddisfazione perché ognor più si rivela l’anima ardente di fede purissima e alto senso d’amor patrio dei nostri veri partigiani.
Il documento prezioso sarà da noi gelosamente custodito e messo in posto d’onore.
Certo che egli avrebbe fatto onore al suo studio prediletto. Sebbene scarso di mezzi era risoluto a continuare a costo di lavorare di notte per la realizzazione del suo ideale.
Era la volontà che avrebbe avuto il sopravvento su tutte le altre difficoltà.
Le accludiamo un riassunto delle notizie più importanti trasmesse in copia al sindaco di Bergamo per la intitolazione di una via della città.
Ci permettiamo pure allegare una copia del giornale “Il giornale del Popolo” che ha pubblicato il fatto d’arme nel 1^ anniversario.
A Lei tutta la nostra riconoscenza e affetto.
L. Zeduri.”

Ricordare è un dovere, soprattutto di questi tempi, in cui la tentazione di cancellare la memoria è ricorrente, spesso mascherata dalla strumentale necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del passato e la sua cancellazione, comprese le iniquità e le infamie del fascismo e della Repubblica di Salò, la cui storia e i cui simboli vengono ripresi e rivalutati da rinascenti movimenti neofascisti e neonazisti che cercano sempre più di trovare spazio nei comuni della nostra regione che tanto hanno dato per liberare il nostro Paese dal nazifascismo.

I comuni della Lombardia non possono più tollerare manifestazioni antisemite, xenofobe e razziste che si pongono in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. Gli esponenti della pseudo repubblica di Salò, è bene ricordarlo a chi vuole ancora oggi mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini, furono definiti da una sentenza del 16 luglio 1945 della Suprema Corte di Cassazione, traditori e collaborazionisti del nemico, contro il quale, lo Stato legittimo aveva dichiarato guerra il 13 ottobre 1943.
Questi preoccupanti segnali, come la recente profanazione del sacrario del San Martino, hanno una spiegazione ben precisa: se il fascismo è stato sconfitto militarmente nel nostro Paese il 25 aprile 1945, non lo è stato culturalmente e idealmente. Molte persone non conoscono bene cos’è stato il fascismo, quali tragedie ha provocato al Paese e non sanno che il fascismo non promise mai l’emancipazione e la liberazione dell’uomo e tanto meno della donna.

Prima e dopo la conquista del potere il fascismo dichiarò sempre apertamente di considerare le masse un materiale da plasmare per conseguire gli obiettivi della sua politica di dominio e di potenza.
In questo quadro preoccupante, in cui il Paese è travagliato da una gravissima crisi economica, politica ed istituzionale e da una caduta etica senza precedenti, c'è un faro che deve illuminare il nostro cammino.

Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, di un’Europa politicamente e socialmente unita, stella polare dell'Italia repubblicana insieme alla Carta Costituzionale, con il suo forte richiamo ai valori della libertà, della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, della solidarietà, della pace, della politica che deve essere posta al servizio della collettività e del bene comune.

I problemi che abbiamo di fronte sono difficili e complessi e richiedono, impegno, rispetto dei principi, delle regole contenute nella Carta Costituzionale che non ha bisogno di essere modernizzata, ma che va difesa e attuata, e osservanza della impalcatura costituzionale fondata sull’equilibrio dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia repubblicana. In una intervista rilasciata il 19 gennaio 1996, al quotidiano “la Repubblica” il cardinale Martini manifestava la sua profonda preoccupazione, con queste parole: “L'impulso ad affidarsi a uomini della Provvidenza affiora sempre nei passaggi difficili della storia. Quando le situazioni appaiono troppo complesse, si vorrebbe qualcuno che quasi magicamente tirasse fuori la soluzione. In realtà occorre la pazienza di affrontare i passaggi difficili, utilizzando tutte le persone competenti, senza mitizzare nessuno.”

Non bisogna perdere la speranza. Altiero Spinelli nel suo libro, Come ho tentato di diventare saggio” afferma: “Nel tetro inverno '40-'41, quando quasi tutta l'Europa continentale era stata soggiogata da Hitler, l'Italia di Mussolini ansimava al suo seguito, gli Stati Uniti erano ancora neutrali e l'Inghilterra solo resisteva, proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme “un manifesto per un'Europa libera ed unita” e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente. Ero fra quelli che non capitolavano, che anche nei momenti più bui pensavano che la battaglia non era ancora persa; ero andato addirittura progettando quel che si sarebbe dovuto fare dopo l'abbattimento dell'orda nazista.”

Non dobbiamo perdere la speranza ma continuare la battaglia per la libertà, per la democrazia, per la difesa e attuazione della Costituzione, per la costruzione di una società più giusta,se vogliamo raccogliere l'eredità spirituale dei Combattenti per la Libertà. Questo è l'impegnativo compito che ci attende.