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Ultimo scritto di Benito Mussolini

Gli articoli che seguono, a firma di Luigi Borgomaneri e Dario Venegoni, ricostruiscono le circostanze in cui Mussolini redasse quello che è considerato il suo ultimo scritto, e quelle del ritrovamento, molti anni dopo, di questo importante documento, consegnato dall'ex duce ai partigiani nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945, poche ore prima di essere fucilato.

Ultimo scritto - Le circostanze

di Luigi Borgomaneri

Come noto, Mussolini venne catturato a Dongo (Como) il 27 aprile 1945. Aveva abbandonato Milano nel tardo pomeriggio del 25 aprile e, con gli ultimi fedelissimi e il codazzo di gerarchi in fuga, aveva raggiunto Como sotto la vincolante custodia di una trentina di SS comandate dal tenente Fritz Birzer, incaricato – racconterà Nicola Bombacci (cfr. Franco Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Arnaldo Mondadori Editore, p. 155. La citazione è tratta dal rapporto redatto l'8 maggio 1945 dal maresciallo Francesco Nanci sulla scorta di quanto narratogli da Nicola Bombacci dopo la sua cattura in quel di Dongo.) – di "portarlo vivo in Germania o di lasciarlo morto in Italia".

Da Como il duce si era recato a Menaggio, poi a Grandola nel tentativo di seminare Birzer e i suoi mastini ma era stato subito ritrovato ed era dovuto ritornare a Menaggio dove, nella notte tra il 26 e il 27 aprile, si accodò con i suoi gerarchi ad una autocolonna della Luftwaffe che puntava su Chiavenna per raggiungere Merano attraverso il passo dello Stelvio.

Molto è stato scritto sulle sue reali o presunte intenzioni in quelle frenetiche ore, ma il dato di fatto è che, quando la mattina seguente la colonna venne bloccata dai partigiani in quel di Musso, il duce – che fino a poco prima aveva fatto di tutto per non seguire Birzer in Germania –, abbandonò il suo seguito, indossò un cappotto dell'aviazione tedesca e cercò di superare i controlli partigiani infrattandosi in un camion tedesco. Non gli andò bene.

Riconosciuto, venne fermato dai partigiani della 52ª brigata Garibaldi, trattenuto per alcune ore a Como e poi, per sottrarlo a eventuali colpi di mano fascisti e alle missioni alleate sguinzagliate alla sua ricerca, venne trasferito nella piccola caserma della Guardia di Finanza a Germasino, dove tra le 19-19.30 del 27 aprile e le 02.00 circa del 28 scrisse il documento in questione, più volte testualmente citato nel corso degli anni, ma di cui solo oggi compare finalmente l'originale.

Le fonti più attendibili per ricostruire le circostanze in cui il documento fu scritto sono, ovviamente, le dichiarazioni dei testimoni presenti quella sera nella caserma di Germasino, a cominciare dalla relazione dell'ex brigadiere della Guardia di Finanza Giorgio Buffelli, comandante la Brigata R. della Guardia di Finanza di Dongo, che suggerì il trasferimento di Mussolini a Germasino e al quale venne affidato il comando di una quindicina di partigiani incaricati di vegliare sul duce e sul segretario della Federazione fascista di Como, Paolo Porta, anche lui portato a Germasino.

Mussolini continua a passeggiare. Ho un'idea. Gli voglio far scrivere due righe di ricordo. Attendo che passeggiando mi giunga quasi vicino, prendo in mano la penna, spacco mezzo foglio di carta di protocollo e quando mi passa accanto gli dico: "Vi dispiace voler scrivere due righe?". Si fa quasi burbero e poi risponde: "Che è questo, un verbale di interrogatorio?". Lo rassicuro: "No, non ho ordini in proposito e me ne guarderei bene. Trattasi solo di una dichiarazione per far vedere che siamo noi della 52ª Brigata Garibaldina che vi abbiamo fermato". "Che, te ne fai un vanto?". Non so cosa rispondergli anche perché vedo che il fatto di scrivere gli secca moltissimo. "Sa, dispiacerebbe sentire dire, in un domani, che magari vi abbiamo fermato a Chiavenna … Merano … e dessero così alla storia cose non rispondenti al vero … se volete farlo …". Si fa più docile e vedo che gli dispiace non accontentarmi. "Sta bene" dice "ma solo sotto forma di cimelio storico". "Sia" rispondo. "Che debbo scrivere" chiede. "Scrivete così: (e scrive) La 52ª Brigata Garibaldina mi ha catturato oggi venerdì 27 aprile nella piazza di Dongo". Poi aggiungo: "Ora dite il trattamento che vi abbiamo usato". Ed egli aggiunge di sua iniziativa: Il trattamento durante e dopo la cattura è stato corretto. Indi lo firma e me lo porge. Prendo il foglietto, lo piego, ringrazio e me lo metto in tasca.

Il documento venne poi consegnato a "Pedro" (Pier Luigi Bellini delle Stelle, comandante la 52ª brigata Garibaldi), sopraggiunto a notte inoltrata a Germasino per trasferire Mussolini in un luogo ritenuto più sicuro. Questa la sua ricostruzione del dialogo con Buffelli:

[Pedro] "Sono venuto a portare via Mussolini. Lo conduciamo in un altro posto più sicuro […]. Ti porto via soltanto Mussolini: ormai tutti sanno ch'è qui. Invece, ora lo portiamo in un posto che nessuno potrà identificare". […] "Cosa ha fatto? Gli avete dato da mangiare?"

[Buffelli] "Oh! L'abbiamo trattato bene, non temere. Ha mangiato abbastanza di gusto poi ha chiacchierato un po' con noi. Mi ha chiesto di parlare con Porta e io l'ho accontentato, perché non ci vedevo nulla di male. Ho fatto bene?"

[Pedro] "Hai fatto benissimo. Gli sarà servito a distrarsi. E poi?"

[Buffelli] "Poi gli ho chiesto se poteva farci una dichiarazione in merito alla sua cattura. L'ha fatta subito volentieri ed ha aggiunto anche di sua iniziativa, che l'abbiamo trattato bene. Guarda".

Mi fa vedere un mezzo foglio di carta protocollo, sul quale è scritto a penna, con la inconfondibile calligrafia di Mussolini: "La 52ª Brigata Garibaldina mi ha catturato oggi, venerdì 27 aprile, sulla piazza di Dongo. Il trattamento usatomi durante e dopo la cattura è stato corretto. Mussolini. (Pier Luigi Bellini delle Stelle (Pedro) e Urbano Lazzaro (Bill), Dongo: la fine di Mussolini, Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1962. La citazione è attinta dall'edizione del 1975, p. 171-172).

Alle testimonianze di Buffelli e di Bellini delle Stelle si può aggiungere la ricostruzione curata da Giusto Perretta sulla scorta di quanto Michele Moretti ("Pietro", commissario politico della 52ª brigata Garibaldi) aveva presumibilmente raccolto da "Pierino" (Erminio Dell'Era, comandante del distaccamento Cravera della 52ª brigata Garibaldi), presente quella notte nella caserma di Germasino:

[…] in serata, a Germasino, mentre i partigiani erano di guardia ai due prigionieri [il duce e Paolo Porta, prefetto di Como, nda] sentirono per radio un comunicato che diceva: "Mussolini, è stato fermato oggi sul lago di Como, pare in località Nesso".

Fu per questo motivo che "Pierino" rivolgendosi al brigadiere Buffelli, disse: "Non senti cosa dicono? Non sarebbe meglio far fare una dichiarazione che è stato fermato da noi?".

Il Buffelli rispose: "Giusto!", e andò nella stanzetta attigua, nel suo ufficio, a prendere un foglio di carta, che porse a Mussolini invitandolo a dichiarare ciò che effettivamente era accaduto. Mussolini, non sappiamo se avesse anch'egli sentito il comunicato radio o se ne fosse stato messo al corrente dalla sua scorta, accettò di buon grado e scrisse: " Sono stato fermato oggi dalla 52ª Brigata Garibaldi a Dongo. Il trattamento usatomi prima e dopo l'arresto è stato corretto". Più tardi, quando "Pedro" salì a Germasino, il documento venne consegnato nelle sue mani. (Giusto Perretta, Dongo, 28 aprile 1945. La verità nel racconto di Michele Moretti "Gatti Pietro" Commissario politico della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" protagonista dell'esecuzione di Mussolini, Como, Editrice ACTAC, 1990, p. 153)

Bellini delle Stelle scrisse nel 1962 che il documento " fu consegnato al Comando del CVL ed ora si trova al Museo della Resistenza di Milano". A parte l'inesistenza, all'epoca e ancora oggi, del museo citato da "Pedro", si può invece affermare che non vi è motivo di dubitare che lo scritto sia stato consegnato al Comando del CVL, mentre risulta impossibile allo stato attuale ricostruire i motivi per cui sarebbe poi stato affidato alla custodia di Carlo Capece, collaboratore dello stesso comando.

A parte questo, e tralasciando le dissonanze testimoniali sulla paternità della richiesta e sull'iniziale riluttanza (o disponibilità) del duce a vergare la dichiarazione in questione, ciò che importa è che la corrispondenza tra il testo riportato, in anni non sospetti, da Buffelli, da Bellini delle Stelle e da altri e l'originale ritrovato – oltre naturalmente alla grafia – suffraga l'autenticità del documento rinvenuto, un documento che, se non aggiunge eclatanti rivelazioni alla conoscenza storica di quei momenti, rappresenta comunque l'ultimo atto ufficiale della storia dell'uomo che, con la complicità di molti altri rimasti impuniti, aveva imposto vent'anni di brutale dittatura e portato il Paese alla catastrofe.

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Ultimo scritto - Carlo Capece

di Dario Venegoni

Carlo Capece era nato a Turbigo (MI) il 30 ottobre 1909, ed è morto a Milano il 10 agosto 1977. Sua moglie, Silvia Codognotto, (che era nata a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, il 17 novembre 1913) è deceduta a Milano il 29 maggio 2001. Per 24 anni ha custodito le carte del marito, senza fare parola con nessuno del documento autografo di Benito Mussolini (che forse addirittura non sapeva di avere in casa).

Di Carlo Capece in realtà sappiamo poco. Di certo prima della guerra aveva lavorato in banca, come ragioniere. Poi era andato sotto le armi, e nel '45 aveva il grado di capitano. Nel dopoguerra ha lavorato per moltissimi anni come amministratore dei beni di una blasonata famiglia milanese.

Ignoriamo per quali vie Capece sia entrato in contatto con il Comando del Corpo Volontari della Libertà, ma di certo era a stretto contatto con il massimo vertice militare della Resistenza italiana nei giorni della Liberazione. Qualcuno lo ricorda addetto alle finanze: in giorni in cui tutta l'organizzazione statale della RSI stava crollando il Comando della Resistenza regolava i suoi conti quasi esclusivamente per contanti, e Capece era uno degli uomini che si occupava di questi aspetti amministrativi. Si spiega anche così il lasciapassare del 26 aprile 1945 trovato dagli eredi tra le sue carte private: un lasciapassare siglato personalmente da Cadorna ma rilasciato su istanza di Mattei. Vi è espressamente specificato che Capece "è autorizzato a circolare durante il coprifuoco ed armato", circostanza giustificata, appunto, dai delicati compiti finanziari che a Capece erano affidati in quei giorni.

Nel dopoguerra Capece continuò per diversi mesi a collaborare con il Comando del CVL che si era insediato a Milano e con l'Ufficio Stralcio per il riconoscimento della qualifica di partigiano che aveva sede nello stesso isolato e condivideva il cortile con la sede del Comando del CVL. Numerosi documenti ritrovati tra le carte di Capece testimoniano di questa frequentazione: il "Brevetto di partigiano" e il "Certificato al patriota" a lui rilasciati sono controfirmati dai massimi esponenti della Resistenza.

Non possediamo prove certe che indichino con esattezza le circostanze che hanno portato Carlo Capece ad entrare in possesso del biglietto scritto da Mussolini il 27 aprile 1945. Tra le sue carte, gli eredi hanno trovato proprio a fianco della busta con il biglietto di Mussolini una busta più grande, recante come mittente Mario Argenton, uno dei sei componenti il Comando del CVL, e arrivata a Capece – stando al timbro postale – alla fine del marzo 1972, cinque anni prima della scomparsa del destinatario. Il quale non fece mai parola con nessuno dei familiari o degli amici di questo documento.