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Emilio De Bono

Nato a Cassano d'Adda (Milano) il 19 marzo 1866, morto a Verona l'11 gennaio 1944

Dopo l'accademia e la scuola di guerra, è volontario in Eritrea nel 1887-1888, partecipa alla guerra di Libia del 1911-12 e ottiene il grado di tenente generale alla fine del primo conflitto mondiale. Nell'estate del 1918 scrive le parole della canzone Monte Grappa tu sei la mia patria, nota come Canzone del Grappa e musicata da Antonio Meneghetti.

Nel dopoguerra, deluso dalla “vittoria mutilata” – De Bono è anche un ammiratore e un sostenitore di D'Annunzio – e angosciato dai successi politici socialisti e dalle rivolte del biennio rosso, sceglie la vita politica, optando per il movimento fascista e dimettendosi dal comando del Corpo d'Armata di Verona.

Il recentissimo passato di generale lo colloca immediatamente nello staff di Mussolini. È uno dei quattro responsabili della marcia su Roma, riuniti in un quadrumvirato di cui fanno parte Italo Balbo, Michele Bianchi e Cesare Maria De Vecchi. De Bono offre un notevole contributo logistico alla preparazione della marcia, disponendo lo schieramento di migliaia di camicie nere secondo lo schema dell'assedio: una colonna a Civitavecchia che raggruppa le forze provenienti da Toscana, Liguria e Italia settentrionale; una seconda colonna a Monterotondo, con le schiere dell'Emilia, del Veneto e del Piemonte; a Tivoli, le squadre di Marche, Abruzzo, Lazio e sud Italia. Il comando generale è diviso in due sedi, a Perugia e a Foligno.

Roma è dunque accerchiata e minacciata da una forza centripeta che spinge in una sola direzione la soluzione della crisi politica: dare il mandato a Benito Mussolini per la costituzione di un nuovo governo, che immediatamente riserva a De Bono la carica di capo della polizia. Il quadrumviro contribuisce anche alla nascita della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, composta solo di membri del partito fascista e della quale egli stesso assume il comando generale. Con decreto regio del 14 gennaio 1923, la MVSN diviene ufficialmente un corpo dello stato, inglobando le squadre d'azione del partito, che cessano d'esistere autonomamente. In quello stesso anno Mussolini decide di inserire anche il nome di De Bono nell'infornata di nuovi senatori del regno.

De Bono, a carico del quale non risultano imprese squadristiche o terroristiche ante-marcia, come invece per Italo Balbo, Alessandro Pavolini o Renato Ricci, è capo della polizia quando viene ritenuto mandante dell'aggressione mortale a un illustre uomo politico liberale quale Giovanni Amendola, nonché coinvolto nell'omicidio del coraggioso deputato socialista Giacomo Matteotti, brutalmente pugnalato e affrettatamente sepolto nella campagna romana da un gruppo di scherani fascisti. È per l'assassinio Matteotti che, il 16 giugno 1924, il capo della polizia è costretto a dimettersi, tanta è l'indignazione del paese e tanto documentate sono le accuse, ad esempio, di Giuseppe Donati, direttore de “Il Popolo”, quotidiano del partito popolare.

De Bono, prosciolto dalle accuse nel 1925, a regime ormai instaurato, viene nominato governatore della Tripolitania e, nel 1929, ministro delle Colonie. Con gli anni Trenta cominciano a delinearsi più chiaramente gli "alti destini" riservati da Mussolini alla patria e si avvia il cammino verso l'impero: vittima principale delle ambizioni italiane sarà la nazione etiopica. Il duce incarica De Bono di recarsi in Eritrea e di iniziare a considerare la possibilità di un attacco all'Etiopia. L'Eritrea è il naturale trampolino di lancio per l'offensiva. Il vecchio generale ha quasi settant'anni quando viene nominato comandate supremo del fronte Nord, mentre Rodolfo Graziani dirige le operazioni al Sud.

Il comando di De Bono dura, però, solo qualche mese, poiché nel dicembre 1935, pur avendolo nominato maresciallo d'Italia in novembre, Mussolini, insoddisfatto per la lentezza delle operazioni, lo richiama in Italia, sostituendolo con Pietro Badoglio.

Al momento del varo delle leggi razziali, nel 1938, tra i fascisti del Gran Consiglio, di cui De Bono fa parte fin dalla sua costituzione in quanto ex-quadrumviro, vi è un po' di fronda, non determinata da un'opposizione di principio alla persecuzione, ma semplicemente da ragioni di opportunità politica. Balbo in modo più determinato, De Bono e Luigi Federzoni più blandamente, chiedono una mitigazione delle leggi e una maggiore ampiezza delle discriminazioni da applicare, in particolare agli ebrei che hanno partecipato alla guerra 1915-'18.

Mussolini scivola sempre più a rimorchio della Germania nazista e anche per l'Italia si prepara la guerra. Scrive Galeazzo Ciano nel suo diario che Balbo e De Bono "frondano" all'idea della guerra, soprattutto De Bono (Diario di Galeazzo Ciano, nota del 21 marzo 1939, edizione a cura di U. D'Andrea, Milano, Rizzoli, 1950, vol. I, p. 63). Mussolini, riferisce sempre Ciano in data 26 marzo 1939, definisce il quadrumviro “un vecchio cretino. Non a causa degli anni, che possono rispettare l'ingegno se c'è stato, ma perché è sempre stato cretino ed ora è anche invecchiato” (Ivi, p. 66).

Il 1939 è l'anno in cui tutto precipita verso la guerra. De Bono manifesta un tiepido dissenso, non ritiene la nazione pronta ad affrontare un'impresa bellica, ma non scinde i legami con il vertice, restando il fascista fedele che è sempre stato, corresponsabile fino in fondo di tutto ciò che è accaduto durante il regime.

Nel 1939 è nominato ispettore delle forze armate dislocate oltremare e nel giugno 1940 assume il comando delle truppe schierate nel Sud del paese. Nelle sue relazioni d'inizio guerra descrive con toni catastrofici lo stato dell'apparato militare in Sicilia. Dei battaglioni mobili dice: "Essi non hanno di mobile nemmeno le gambe." E non è da meno sulla difesa contraerea: "[...] mi dicono che le batterie Milimar siano migliori. Lo spero. Io, però, ne ho visitata soltanto una e non l'ho certo trovata un modello del genere: reclutamento caotico, con elementi di tutte le provenienze, in parte minima dai cannonieri. Questo dovuto al fatto che, fino a poco tempo fa, non potevano essere assegnati alla Milimar quelli non iscritti al Partito. Quadri mediocrissimi e con esperienza modesta. La mia impressione è che tanto alla Dicat come alla Milimar abbiano aspirato coloro che amano imboscarsi, rispettando le solite eccezioni. Quanto ho detto circa la Dicat e la Milimar, è pura, schietta verità, forse mai detta prima da altri per quella specie di deferenza paurosa che si ha per tutto ciò che può toccare il Regime [...] Per mio conto non temo smentite [...]” (la lunga citazione è tratta da Gianfranco Bianchi, 25 luglio crollo di un regime, Mursia, 1963, p.173) [Dicat e Milimar, correttamente Milmart, erano reparti della difesa contraerea e della milizia marittima a difesa delle coste, N.d.R.]

Sono punture di spillo, per il regime fascista, questi giudizi del vecchio quadrumviro, sufficienti soltanto a farlo mettere da parte; e defilato resta fino alla famosa seduta del Gran Consiglio del luglio 1943, quando si schiera contro Mussolini.

Viene arrestato nell'ottobre 1943, processato a Verona e condannato a morte. È fucilato l'11 gennaio 1944, a quasi 78 anni.