Salta al contenuto principale

Italo Balbo

Nato a Quartesana (Ferrara) il 6 giugno 1896, morto a Tobruk il 28 giugno 1940.

Negli anni delle origini del fascismo fu certamente uno dei massimi rappresentanti, insieme a Roberto Farinacci nelle campagne cremonesi, Dino Grandi a Bologna, Giuseppe Caradonna in Puglia, dell'ala più arretrata, intransigente e violenta della società agraria ferrarese. Presto al vertice della gerarchia del partito fascista, anche per il ruolo assunto durante la marcia su Roma, prese, pur senza conseguenze, posizioni discordanti da quelle ufficiali sulla emanazione delle leggi razziali e sull'alleanza con la Germania nazista.

Impegnato nella creazione di un corpo aereo moderno, guidò alcune trasvolate intercontinentali che gli portarono numerosi successi e una grande popolarità, anche internazionale, tale da creargli intorno gelosie e diffidenze, rivalità e profonde inimicizie. Venne allora emarginato e, in un certo senso isolato, con la nomina a governatore della colonia libica.

Italo Balbo nasce da genitori entrambi insegnanti elementari molto devoti alla monarchia sabauda e pieni di rispetto per le istituzioni militari. La famiglia, poco dopo la nascita del piccolo, si trasferisce a Ferrara e qui, anni più tardi, frequentando un caffè dove si scontrano in forti dispute i sostenitori della repubblica e quelli della monarchia, il giovane Balbo assume una posizione repubblicana. Tanto da fuggire di casa, è il 1911, per raggiungere Ricciotti Garibaldi che, a capo di una spedizione militare, vuole liberare l'Albania dal dominio turco. L'impresa non riesce e Balbo viene bloccato dalla polizia. Nel 1914 partecipa a Milano a un raduno di fautori dell'interventismo italiano nella guerra mondiale e in quell'occasione conosce Mussolini. È forse l'adesione al movimento interventista a determinare in Balbo la scelta definitiva dell'attività politica, alla quale si darà completamente dopo la guerra.

Assegnato all'inizio del conflitto a un reggimento di alpini, appena si apre la possibilità di partecipare a un corso per piloti aeronautici si trasferisce a Torino, ma è subito richiamato al fronte, dove resterà fino alla fine della guerra, che termina con il grado di capitano, una medaglia d'argento e una di bronzo.

Alla fine della guerra, Balbo si sposa e si laurea in scienze sociali all'Università di Firenze. Intende la politica come violenza e di ciò avrà modo di fornire parecchi esempi dopo l'iscrizione e la rapida ascesa gerarchica nelle file del fascismo, al quale aderisce prestissimo, quando è ancora il movimento fondato nel 1919. Balbo inizia subito la sua attività di "ras" dell'area ferrarese, con continue spedizioni contro uomini e cose del movimento di sinistra, assaltando, picchiando selvaggiamente, distruggendo Camere del lavoro e sedi del Partito socialista e delle leghe contadine.

Presto, a lui e alle sue bande di rozzi picchiatori, il territorio ferrarese non basta più. Dopo l'assalto al Castello Estense di Ferrara, la violenza, protetta dalle forze dello stato, delle squadre di Balbo si rivolge contro Bologna, Ravenna, Modena. E poi a Parma, con ventimila uomini venuti da tutto il nord per dare una lezione a chi resisteva ancora nell'agosto del 1922. Proprio qui, tuttavia, Balbo e i suoi trovano una resistenza tale che, dopo due giorni di assalti ai quartieri dell'Oltretorrente, devono desistere e ritirarsi. La città ha riportato numerosi danni, e tra gli assalitori vi sono trentanove vittime. Italo Balbo non è più soltanto il capo squadrista che semina terrore con le sue squadracce, è ormai un gerarca nazionale affermato che fa parte del vertice più ristretto del partito fascista e che partecipa a tutte le decisioni importanti.

Il mese di ottobre 1922 diventa determinante per la politica fascista: è infatti il 16 ottobre quando Mussolini riunisce a Milano i maggiori gerarchi – tra cui Balbo – e alcuni generali dell'esercito per decidere l'atto di forza che lo porterà al governo, dopo aver circondato di squadristi la capitale. In quella riunione, tra le altre cose, si decide di sciogliere la direzione del partito e di affidare tutte le responsabilità a un quadrumvirato composto da Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon. È uno degli atti di quella strategia congegnata per superare gli ultimi tentennamenti di Vittorio Emanuele III e far aprire a Mussolini le porte del governo. È, in sostanza, la decisione di compiere l'atto di forza finale schierando decine di migliaia di fascisti della "prima ora" intorno a Roma, nelle località di Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli, e da lì far partire l'ultima tappa della marcia su Roma, incontrastata dagli ambienti politici e militari nei quali si sono annidate le forti complicità che hanno facilitato, se non addirittura sollecitato, l'atto di forza di Mussolini.

A Balbo non tardano ad arrivare i riconoscimenti per la sua azione: nel 1923 viene nominato comandante generale della milizia ed entra a far parte del Gran Consiglio (contestualmente, lascia la Massoneria, alla quale aveva aderito nel 1920). Anche se nel 1924 è costretto a rassegnare le dimissioni da console della MVSN, dato il suo diretto coinvolgimento nell'assassinio di don Giovanni Minzoni, la carriera di Balbo non si arresta, e nel 1925 diviene sottosegretario all'economia. D'altra parte, Balbo gode dell'appoggio degli agrari padani e della borghesia medio-alta, fortemente compenetrate nel fascismo e tanto potenti da preoccupare lo stesso Mussolini. Il salto di qualità, tuttavia, Balbo lo compie il 6 novembre 1926 quando gli viene affidato, con la carica di sottosegretario al ministero dell'Aeronautica, il compito di creare una vera forza aerea militare, compito che assume con grande impegno data la sua passione per il volo. Un ulteriore riconoscimento arriva nel 1928 con la promozione a generale di squadra aerea, seguita qualche mese dopo dalla nomina a ministro dell'aviazione.

Nel periodo tra il 1930 e il 1933 è egli stesso a cimentarsi come trasvolatore, guidando dapprima una squadra di idrovolanti da Orbetello a Rio de Janeiro e, successivamente, un'altra squadra dall'Italia al Canada e poi negli Stati Uniti, dove è accolto trionfalmente, viene ricevuto dal Presidente Roosevelt, ha intitolato un viale a New York e in onore suo e dei suoi equipaggi viene organizzata una grande parata. È il secondo italiano a ricevere simili onori dopo quelli attribuiti ad Armando Diaz alla fine della guerra del '14-18. Il riconoscimento che Mussolini non può non tributargli è la promozione a Maresciallo dell'Aria.

Ripreso il suo lavoro di ministro, si concentra sugli aspetti militari dell'aeronautica, ma la sua posizione non è più così solida. I successi e la popolarità gli si ritorcono contro e Mussolini decide di “ricollocarlo”, assegnandoli un incarico apparentemente prestigioso come quello di governatore generale di Tripolitania e Cirenaica, che nel dicembre 1934 vengono unite, rendendo Balbo il primo governatore generale della Libia. In realtà, Mussolini ha relegato il gerarca ai confini dell'impero, forse perché Balbo non ha mai lesinato giudizi negativi su Mussolini stesso e la sua politica. Il duce, da parte sua, non ha mai esitato a compiere ritorsioni contro i suoi stessi uomini, ad esempio dicendo a Galeazzo Ciano che Balbo sarebbe rimasto sempre "il porco democratico che fu oratore della Loggia Girolamo Savonarola di Ferrara" (Diario di Galeazzo Ciano, nota del 21 marzo 1939, edizione a cura di U. D'Andrea, Milano, Rizzoli, 1950, vol. I, p. 63). Successivamente, Balbo non avrebbe nascosto la propria contrarietà rispetto a due decisioni fondamentali del fascismo: le leggi razziali e l'alleanza con la Germania, che avrebbe portato alla seconda guerra mondiale (Ciano avrebbe annotato: "Balbo non discute i tedeschi: li odia". Diario di Galeazzo Ciano, nota del 2 giugno 1940, edizione citata, vol. I, p. 274).

Balbo muore volando il 28 giugno 1940, colpito dalla contraerea italiana nel cielo di Tobruk, al ritorno da un volo di esplorazione. Muore, come nel mito della Nemesi, colpito dalla violenza della guerra, un alto gerarca fascista che aveva iniziato la sua carriera "politica" con la violenza e che in una politica di sola violenza aveva creduto.